Il calcio secondo Sollier

Il calcio secondo Sollier
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(22 feb) Sollier. Basta la parola. Una vita dentro il mondo del calcio, con i piedi e con la testa. Da giocatore ieri e da allenatore oggi. In mezzo politica e libri. Da protagonista nel passato, da osservatore privilegiato adesso. Sollier è un uomo sereno, che convive con i suoi vent’anni al centro dell’attenzione nazionale, osservando il mondo dalle finestre di una mansarda a Vercelli, di fronte all’ospedale. Allena, perché certe passioni non hanno età. Sollier. Basta la parola. Una vita dentro il mondo del calcio, con i piedi e con la testa. Da giocatore ieri e da allenatore oggi. In mezzo politica e libri. Da protagonista nel passato, da osservatore privilegiato adesso. Sollier è un uomo sereno, che convive con i suoi vent’anni al centro dell’attenzione nazionale, osservando il mondo dalle finestre di una mansarda a Vercelli, di fronte all’ospedale. Allena, perché certe passioni non hanno età.

Quarant’anni fa giocava tra i dilettanti, prima di spiccare il volo verso i professionisti. Come e quanto è cambiato il mondo del calcio e il calcio di provincia?
«Molto. Oggi c’è una spaccatura enorme tra le due realtà. Una volta c’era la grande differenza tecnica, certo. Ma oggi c’è una distanza pure nei riti, nei ritmi, nell’impatto sociale. I professionisti vivono in una dimensione più vicina a quella dello spettacolo che non a quella dello sport. E non mi piace».

Evoluzione o involuzione dovuta a che cosa?
«Alla televisione. Trovo incredibile che esistano canali tv solo dedicati ad una squadra, la squadra del cuore. E’ un’intrusione nel privato. Un avvicinarsi che in realtà allontana. La passione va vissuta allo stadio, non in poltrona».

E’ sempre juventino?
«Ricordo di esserlo stato. E di esserlo stato di una Juve che non c’è più: quella di Sivori. Ero juventino contro mio padre, granata. Ricordi e sensazioni sacre. Entrato nel meccanismo, però, fin da giovane, contrastai il sistema e il potere che la Juventus rappresentava».

Va a vedere la serie A o la guarda in televisione?
«Allo stadio non ho il tempo di andare, allenando. In tv un po’. Ma soprattutto leggo. Sono all’antica: mi piacciono le cronache giornalistiche del lunedì».

Quindi niente stadio.
«L’ultima volta mi hanno controllato tre volte. C’erano tornelli e poliziotti dappertutto. No, grazie».

La sicurezza è importante.
«Sì, certo. Ma non si fa solo con la repressione. La tessera del tifoso? La trovo una soluzione inutile».

Novara in serie B, bella storia.
«Un fatto entusiasmante. Che fotografa una società che lavora bene. Che programma. Che fa piccoli ma calcolati passi in avanti. C’è lungimiranza e competenza».

Ci saranno benefici sulle squadre minori del Piemonte?
«Nel tempo, sicuramente. Nel Novarese sento che c’è un grande orgoglio. I miei ragazzi ad Oleggio ne parlano spesso. La società guarda avanti: il campo sintetico, il centro sportivo di “Novarello”».
C’è il Novara ma c’è anche la crisi economica?
«Che colpisce tutti, ma avvantaggia qualcuno. Non tutte le aziende vanno male. E chi va bene, ringrazia la crisi generale...».
Le capita di vedere qualche buon talento, in Eccellenza e in giro?
«Non molti. Qualche buon giocatore, sì. Talenti veri no».

Un bel guaio per il movimento!
«L’obbligo di far giocare i giovani è un errore, perché i ragazzi si contendono il posto tra pochi coscritti. Una soluzione burocratica, che non serve. Lo sport deve essere una sfida. Meritocrazia».

I suoi ragazzi e i suoi avversari cosa sanno del suo passato?
«Molto poco. Spesso nulla. E la considero una fortuna».

Non esageri.
«Figuriamoci. Non sono mica uno che dice: ai miei tempi».

Dirigenti e colleghi?
«C’è il fattore età. Qualcuno mi chiede. E allora dico la mia».

Allena sempre la Nazionale scrittori?
«Certo. Manca il ricambio, ma il gruppo è affiatato. Ci divertiamo».

Dia un consiglio a Prandelli.
«Chi? L’allenatore della Nazionale?»

Certo.
«E’ uno scherzo?»

Tutti in Italia siamo potenziali allenatori degli azzurri...
«Lasciamo perdere... Diciamo che fa quello che può. I giocatori sono quelli che sono. E torniamo ai vivai, che non vengono curati».

Un problema non di oggi.
«Nelle grandi squadre non ci sono giovani italiani nei ruoli chiave. Da dieci anni non c’è un difensore di valore in una squadra di vertice. In passato sarebbe stato impensabile. Questo conferma che oggi esordire in serie A è difficile. Molto di più rispetto alla Spagna o all’Inghilterra. Un Gianni Rivera, adesso, andrebbe incontro a molte difficoltà per trovare il giusto spazio in una formazione importante».

Addirittura. E perché?
«Per la pressione esterna sui ragazzi. Il peso sociale è enorme».

Da uomo di sinistra, da ex professionista e da allenatore di lungo corso: Balotelli è italiano? E soprattutto è il nostro futuro?
«Sono cresciuto negli anni Settanta. Per esperienze di vita, educazione e idee politiche penso che il colore della pelle di un uomo non conti. E’ nato in Italia? Allora è italiano. Dopodiché ha fatto degli errori. E tende ad esagerare».

Come calciatore?
«Ha talento fisico e calcistico notevoli. Ma non è puntiglioso. Gli ho visto dei difetti anni fa, che continua ad avere. Può diventare un campione. Ma può anche rimanere un eterno potenziale campione». Nell'immagine (foto Damiano Andreotti) Sollier nella sede della Pro Vercelli
Paolo La Bua

22 febbraio 2011

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