Minessi si racconta, rossoblu per sempre

Minessi si racconta, rossoblu per sempre
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Pareva una sceneggiatura scritta in anticipo, domenica scorsa, nell’ultima stagionale al Lauretana Forum dell’Angelico: Nicola Minessi, 38 anni, in campo negli ultimi secondi della gara (dopo aver giocato cinque minuti importanti a metà partita).
La palla a lui, il fallo sistematico avversario per fermare il cronometro.
Due tiri liberi pesantissimi, che possono segnare la differenza fra una vittoria e una sconfitta. Era tutto vero invece. Il “Mine” era lì, pronto a scrivere un altro pezzetto di storia di Pallacanestro Biella.

 Che è sua, in primis. Capace di emozionare sempre, ad ogni appuntamento col campo. Il pubblico è con lui prima ancora che con chiunque altro sia passato da Biella in tanti anni: «Ho pensato - si confessa - di aver sognato tanto quel momento e mi son detto che la palla ce l’avevo in mano io. Mi sono trovato a 15 secondi dalla fine di un sogno e lì mi sono detto: “fai sti tiri liberi, non rompere le scatole e falli”». Minessi si racconta. Il basket, la vita. Due argomenti che sino ad ora hanno corso paralleli e molto vicini. Il futuro è tutto da scrivere, e non è detto che quello più recente non profumi ancora di pallacanestro.

Una lunga carriera, le serie minori e poi la Serie A. Cosa ha provato a ritornare professionista a 36 anni?
«In A ci vuole più impegno, le trasferte sono lunghe, viaggi molto. È lo stesso sport, ma è un altro modo di giocare. Fisicità e velocità sono diverse, ma anche l’impostazione. Ho dovuto, e non sono ancora capace (sorride, ndr), imparare a giocare i pick and roll. La pallacanestro del Canc impone tante cose che non avevo fatto e ho potuto approfondire».

Dopo l'infortunio, l'anno scorso, forse è scattato qualcosa di diverso, qualcosa in più. È solo un’impressione?
«Ho imparato a lavorare con Gigi (Talamanca, ndr) a livello fisico come non avevo mai fatto e sono arrivato ad approfondire certi aspetti: tanta palestra e non solo l'allenamento in campo. Ho sempre fatto di tutto, in questi anni, in funzione di dover giocare, compreso continuare ad allenarmi in estate».

Lo ammetta, quando è tonato a Biella non pensava solo di fare l’uomo spogliatoio vero?
«Quale giocatore al mondo va in una squadra solo per fare l'uomo spogliatoio? In ogni partita mi sono presentato con il pensiero e il sogno di giocare. Se non succedeva, tornavo ad allenarmi per questa squadra a cui tengo tantissimo. Alla fine è successo».

Che rapporto ha con Cancellieri?
«Lo rispetto tantissimo. Forse non c'è quella grandissima confidenza, ma il rispetto a me basta e avanza».

Di allenatori ne ha avuti molti... Ne scelga uno da buttare giù dalla torre.
«Li salvo tutti».

Diplomatico...
«Sì, ma se proprio devo rispondere, di sicuro non butterei il Canc, perchè si è anche esposto per portarmi qua. Devo solo ringraziarlo, anche se tanti mi dicono che avrebbe potuto farmi da giocare di più. Credo invece che lui abbia fatto tanto per me».

Lei è stato ed è ritornato ad essere  il riferimento nello spogliatoio come Soragna lo è in campo. Che rapporto c’è fra voi?
«È un rapporto incredbile. Ci apprezziamo tutti e due anche senza dircelo. Ci capiamo guardandoci, senza spendere fiumi di parole. Ho un’altissima considerazione di lui. Finita la partita, mercoledì, è venuto in campo e mi ha detto bravo. L’ho ringraziato, dicendogli però che mi è dispiaciuto non poter giocare con lui,  cosa che ho sempre desiderato.

Non è detto che non possa ancora accadere, che ne dice?
«Di sicuro non domenica, ma mi piacerebbe...»

Ormai, raggiunta la forma e rotto il ghiaccio, tanto vale andare avanti. Sù, si sbilanci...
«Posso dire che continuerò anche quest'anno durante l'estate ad allenarmi, ma indipendentemente dal fatto che possa continuare, se ti alleni in questo modo, come succede  a Delpiero, è poi dura dire di no. È l'amore che hai per questo gioco. Se sei in forma e possiedi volontà e determinazione, di brutte figure in qualunque categoria non ne fai, nei limiti dell’impiego».

Compagni di squadra. Spogliatoio ieri e oggi. Più differenze o similitudini?
«A 23 anni avevo a che fare con Zamberlan che ne aveva 37. Bisognerebbe chiederlo a lui, ma fra noi non c'era una generazione di differenza. Come oggi io sono per Massimino (Chessa, ndr), io ero allora per Zambo. Sono sempre meno i ragazzi che a 23 anni si adattano al trentacinquenne. Il mondo va troppo veloce, cresce lo scarto generazionale, che si fa sentire nello spogliatoio. Lo vedo con i ragazzini, a cui voglio bene, ma con cui è difficile creare un vero rapporto».

Parlando di loro: Laganà e Lombardi ce la possono fare?
«Rispetto a 6 mesi fa, quando li ho visti arrivare, sono cambiati del 100 per cento. In meglio. L'unico segreto è che continuino questo miglioramento ancora per anni. Se dovessero fermarsi adesso avrebbero delle difficoltà. E ci metto anche Magarity che è molto bravo».

Un consiglio per loro?
«Lavoro, umiltà ma anche la faccia tosta: un mix di tutto, ascoltando i vecchi».

Minessi a Biella, come nessun altro, sa creare un'emozione al pubblico. Qual è il segreto?
«Credo che la maggior parte della gente mi veda parte del discorso, del progetto. Probabilmente possono pensare anche solo che se ce l'ho fatta io ce la può fare chiunque. E sognare».

Quanto è cambiato il basket nel corso della sua carriera?
«È cambiato totalmente, come tutti gli sport. In maniera esponenziale anche: la fisicità, il modo di giocare, la tattica. Una volta i 4 tiravano da 4 metri. Oggi se non sai tirare da tre non sei un 4. Cambia tutto. Però ce l'ho fatta a capire cosa vuol dire cambiamento e viverlo sul campo».

Minessi dopo il basket?
«Ci penso tutti i giorni. Mi è ancora troppo difficile vedermi altrove. Sono convinto che qualcosa farò perchè mi adatto a far tutto, ma mi sono bastati questi dieci minuti in due partite per pensare che sono ancora un giocatore».

Rimandiamo ancora un po' il ritiro allora?
«Si mi piacerebbe molto».

Politica dello sport: cambiamenti in corsa, wild card, riforme e riforme delle riforme. Che idea si è fatto da giocatore? Cosa servirebbe al basket per fare un salto di qualità?
«Secondo me il meccanismo non funziona già dal basso. Dalla B, con l'obbligo di far giocare un tot di italiani e che tutela i giovani.  È sbagliato, perchè il giovane sa che tanto gioca comunque.  Ho visto tanti ragazzi nelle serie minori che avrebbero potuto giocare in serie maggiori ma hanno preferito restare dov’erano...».

Per motivi economici intende?
«Non solo, ma anche per quelli: io ne sono un esempio. Ero coccolato e stracoccolato. Poi un giorno, troppo tardi, mi sono svegliato e ho preferito rinunciare a dei soldi e coltivare i miei sogni».

Qualche chiamata l'ha avuta negli anni dall A.
«Si dalla LegaDue, ma con meno stipendio. A 30 anni fai due calcoli: devo comprarmi una casa, quanto posso ancora giocare,  e fai i tuoi calcoli. E' un problema del sistema di oggi, che ti porta a questo. Senza incolpare nessuno».
 
C’è un giocatore che l'ha impressionata più di altri?
«Fra gli stranieri Drake Diener. Non suda neanche quando gioca... Ha dei tempi incredibili. Fra gli italiani un bresciano come me, anche se lo conosco poco, sicuramente  Aradori, che fa canestro con una semplicità disarmante, un grande talento».

Radio gossip la dà anche fidanzato. Minessi ha messo la testa a posto?
«Sì sono fidanzato da un anno. E sono felicissimo. Lei è una persona stupenda».

Conosciuta nel mondo del basket?
«Macchè, affatto. Una delle cose che mi ha fatto pensare che fosse la persona giusta, è stato quando l'anno scorso mi ha detto di aver sentito della partita contro Milano e che fosse contenta che avessimo pareggiato (ride, ndr). Poi però in queste due ultime partite lei era al palazzetto e saperla lì mi ha dato ancora più energia».
Fabrizio Ceria

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