La seconda vita di Nadia

La seconda vita<BR> di Nadia
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Ci sono personaggi illustri dell’atletica azzurra che, fallendo il minimo olimpico, sono rimasti clamorosamente fuori dalle convocazioni per Londra. La biellese d’adozione Nadia Ejjafini (nella foto) alla fine ne aveva addirittura tre di pass per i Giochi e due conquistati dopo essere stata esclusa (con una decisione a molti parsa perlomeno discutibile) dalla squadra di maratona.

«Quando correvo per il Bahrein avevo la convocazione automatica per tutte le manifestazioni, non ho mai dovuto lottare per fare il minimo - racconta Nadia con la consueta vivacità -. Dopo essere andata male alla London Marathon di aprile ho detto al mio tecnico Andrea Bello: «Se non mi prendono nel team di maratona facciamo subito un altro programma e prepariamo un’altra gara!». Quello che mi ha dato fastidio è come è avvenuta la scelta, è sembrato quasi mi abbiano fatto un favore ad escludermi. Comunque se la salute regge voglio arrivare a fare la maratona della prossima Olimpiade, il mio obbiettivo è quello». Carattere. Questo fa capire la determinazione di questa donna di origine marocchina dalla storia particolare iniziata a Rabat nel novembre 1977 e che dal 2003 risiede nel Biellese. Trentaquattro anni vissuti intensamente tra Africa, Europa, Asia, gare, allenamenti e cambi di nazionalità per trovare il suo punto di approdo a Gaglianico. «Ho iniziato a correre da ragazzina alla fine degli anni 80 a Rabat accompagnando un’amica, il venerdì ho provato, la domenica successiva ho partecipato alla mia prima gara e sono arrivata seconda, poi un’altra corsa e di nuovo seconda, ad ogni gara c’erano dei premi, così ti incentivavano a proseguire». La carriera di Nadia proseguì sotto i colori del Marocco fino al 1999 quando, dopo aver debuttato in Nazionale Junior, a seguito di grossi problemi con la federazione, fece la sua prima “fuga” verso la Francia dove visse con la famiglia di un allenatore manager nella periferia di Parigi per un anno, poi a fine 2000 l’arrivo in Italia. A Genova Nadia si sposa con un concittadino di Rabat e smette per un po’ l’attività, ma il richiamo dell’atletica è troppo forte, nel 2002 torna in pista imponendosi in diverse corse su strada. Nel 2003 nello spazio di pochi giorni il Bahrein, sempre alla ricerca di atleti forti da nazionalizzare, le concede il passaporto, il 2003 è anche l’anno del suo arrivo a Biella grazie all’amica e compagna di allenamenti Fatna Maraoui che la mette in contatto con il tecnico Andrea Bello. «Ho corso per il Bahrein fino al 2007, anno in cui mi sono sposata con Andrea un ragazzo biellese che fa l’agente immobiliare, poi per tre anni ho rinunciato a qualsiasi tipo di competizione internazionale, incluse le Olimpiadi di Pechino, per poter rappresentare l’Italia appena ottenuta la cittadinanza che è arrivata nel 2009. Nel 2010 sono diventata mamma e nel 2011 ho fatto l’esordio in maglia azzurra ai Mondiali di cross a Punta Umbra a cui sono seguiti i titoli italiani di cross, 10.000 e mezza maratona». Ai Giochi Nadia sarà uno dei 24 atleti azzurri nati all’estero, quelli che chiamano i “nuovi italiani”, anche se ormai dopo quasi 10 anni passati all’ombra del Mucrone si è perfettamente integrata nel tessuto sociale biellese, pur mantenendo la fede musulmana che la vede in questo periodo impegnata nel Ramadan: «Amici del mio paese di origine praticamente non ne ho nessuno. A Biella mi sono subito trovata molto bene. Con Andrea, Paolo e tutto il gruppo di allenamento mi sono fatta una bella cerchia di amici. In paese a Gaglianico si sta bene, mi riconoscono tutti e di recente in occasione delle Olimpiadi il sindaco e l’assessore mi hanno anche mandato una bella lettera. Mi piacciono tante cose dell’Italia a partire dalla moda e poi mio marito è italiano e mia figlia è nata qui. L’inno di Mameli? Non lo so a memoria, ma nelle divise che ci hanno dato per le Olimpiadi c’è scritto su tutti i giubbini». Mamma. Nadia, che è tesserata per i colori del Cs Esercito, sarà anche una delle tante mamme azzurre presenti in nazionale a Londra come Valentina Vezzali e Josefa Idem e in questi casi avere il sostegno della famiglia è determinante per poter portare avanti una carriera ad alto livello: «Mia figlia Sara, che compirà 2 anni il 7 agosto giorno delle batterie dei 5000, è sempre stata bravissima, però è solo grazie ai sacrifici di mia mamma e di mio marito e l’aiuto dei miei suoceri se sono riuscita a farcela. Mia mamma per stare con me vive sempre lontano dalla sua casa in Marocco. Con mio marito Andrea non riusciamo a vivere come una famiglia normale, per la mia attività che mi vede spesso via da casa per le gare e quando sono presente, impegnata negli allenamenti». Al marito e al suo suocero Nadia deve anche la passione per il calcio: «All’inizio non mi interessava, anzi mi dava quasi fastidio, poi con loro che seguivano tutte le partite sono diventata tifosissima anch’io della Juventus e della Nazionale». Nadia sarà al suo secondo impegno olimpico avendo già preso parte alla maratona di Atene 2004 per i colori del Bahrein dove si ritirò dopo una manciata di km passati in testa al gruppo con Paula Radcliffe: «L’obbiettivo dei dirigenti del Bahrein era quello di avere visibilità quindi mi chiesero di fare gara di testa. Faceva molto caldo e dopo 12 km mi ritirai, mi spiacque molto perché ci tenevo a finire la maratona che si correva nel luogo leggendario dove era nata». A Londra con la presenza di tutte le fortissime atlete africane l’obbiettivo massimo sarà cercare di fare il proprio personale senza farsi staccare troppo dalle prime. Sui 5000 correrà insieme alla sua compagna di club Elena Romagnolo con cui condivide allenamenti e tecnico in un rapporto di amicizia e sana rivalità in pista: «Credo molto nell’amicizia, poi è logico che in gara ognuno pensa e cerca di dare il meglio per se. Ma l’amicizia va al di sopra, anche perché l’attività sportiva ad un certo punto finisce. Riuscire a creare dei rapporti duraturi è una cosa meravigliosa».

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