La parte rimanente di Gabriele Fioretti

La parte rimanente di Gabriele Fioretti
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L’uomo artefice della rinascita del basket biellese caduto in crisi dopo anni di vera gloria, se ne va prima del tempo, lasciandoci tutti sgomenti e più fatalisti.
Oggi, con l’ultimo saluto in Duomo, vivremo il doloroso atto conclusivo di quello che è stato in realtà un lungo addio.
La tenacia, il coraggio e la dignità con cui Gabriele Fioretti, morto a 39 anni sabato all’alba in una stanza del nuovo ospedale, ha combattuto ogni secondo contro il cancro, ci avevano tutti illusi che la partita più importante potesse essere vinta, in mezzo a tanto dolore che già aveva funestato questo maledetto autunno. 
Lui, casalese di nascita, che nel dna di generazioni aveva sviluppato gli anticorpi mentali per combattere il grande male, proprio in questi ultimi giorni aveva dovuto accogliere con sconforto e rabbia anche l’incredibile e ingiusta sentenza Eternit.
Ai tempi della prima condanna, Fioretti commentò la sentenza proprio per questo giornale, con profondo sentimento,  come una liberazione per una città intera.
 
Aveva le qualità dello scrittore e del giornalista Gabriele, tanto che a Biella, dalla Junior Casale, ci arrivò nell’estate 2007 scelto dal nuovo general manager  Daniele Baiesi con il ruolo di team manager con delega, non sapremo mai quanto gradita, all’ufficio stampa. Che i due ruoli siano incompatibili lo sapevamo tutti, lui per primo, ma in Pallacanestro Biella la moltiplicazione dei talenti era (ed è) all’ordine del giorno e così lui riuscì a diventare il primo punto di riferimento per i giocatori e a scontentare sovente, con educazione e correttezza proprie del galantuomo sabaudo, tutti i giornalisti che specialmente nei dopo partita gli chiedevano questo o quel giocatore da intervistare, come se fosse suo esclusivo potere portarlo in sala stampa. Decidevano Bechi o Cancellieri e magari anche il gm di turno ci metteva del suo, ma la faccia brutta ce la metteva in avanscoperta sempre Fioretti, anche nell’anno triste e duro da gestire della retrocessione.  Una gavetta che gli è servita molto, quella fatta alla scuola aperta a Biella da Marco Atripaldi, con le esperienze anche al fianco di Baiesi e Giuliani,  perchè quel giorno del 2013, quando la famiglia Angelico lo scelse per ripartire dopo aver sfiorato di tanto così la chiusura della società dopo una deleteria retrocessione, lui era già pronto. Sapeva cosa fare sotto l’aspetto tecnico e sapeva come trattare con la piazza, avendo assimilato negli anni vissuti a Biella, con pazienza e intelligenza, tutti i segreti del mestiere. Aveva cominciato a conoscerci tutti già nella primavera del 2007, quando nei dopo cena delle partite seguiva gli addetti ai lavori in compagnia dell’ancora team manager Baiesi; per mangiarsi una pizza coi giornalisti dopo la chiusura dei pezzi in redazione e magari per  commentare con calma uno scout o un fischio arbitrale poco ortodosso, il tutto davanti ad una Menabrea ghiacciata. O per magnificare  una magata di Sefolosha contro la Fortitudo. Sapendo che il suo futuro poteva essere a Biella, ascoltava le opinioni di tutti, senza sbilanciarsi più di tanto. Poi avremmo capito il perchè.

Il resto è storia sportiva che ancora scorre davanti agli occhi, lucidi. Lui scelse di testa sua Fabio Corbani quando la piazza invocava un altro allenatore e loro, insieme, costruirono una squadra che ha fatto sognare e soprattutto conquistato la prima Coppa in vent’anni di Pallacanestro Biella. Quando la squadra vinse in modo incredibile il trofeo a Rimini, lui era già costretto a casa con le flebo di antidolorifici, all’inizio di un calvario che allora forse lasciava ancora spazio alla speranza di uscirne vivo.  Il team manager Nicola Minessi, al ritorno da Rimini, scese dal bus e andò direttamente a casa Fioretti per fargli abbracciare la Coppa, che era anche e soprattutto sua (foto).
Il lieto fine non c’è stato, il perchè non ce lo può spiegare nessuno.

 Pochi minuti dopo la clamorosa vittoria europea con Le Mans, provato da un fisico già allo stremo delle forze, il gm Fioretti si è avvicinato al tavolo della stampa per dire con una voce roca, ma col sorriso: «Volevo chiamarti per rassicurare i delusi che questa squadra non era quella di Mantova, ma poi ho lasciato perdere, sapevo che ci avrebbero pensato loro».
E sono state le sue ultime parole ufficiali, quasi un manifesto firmato da chi quel gruppo l’aveva assemblato con l’intento di riportare Biella nel basket che conta.
La parte rimanente di Gabriele Fioretti, come suona beffardo, oggi, il titolo del suo primo romanzo, sarà patrimonio da ricordare negli anni a venire. La sua storia fortificherà quella di Biella cestistica.
Parlare di basket, giocarlo, guardarlo, commentarlo, per un po’ ci darà tutti alla nausea, malgrado sia la passione che muove la famiglia di Pallacanestro Biella.  Qualcuno, però, trovi la forza, soprattutto in campo, per non dilapidare quanto il general manager Fioretti  ha costruito con anni di dedizione alla causa rossoblu. Grazie.
Gabriele Pinna
pinna@primabiella.it

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