Il procuratore dei big Acquadro: «Bernal e Carapaz top, vi dico chi sarà il prossimo»
Giovedì a Oropa l'arrivo del GranPiemonte con i big. Intervista al biellese definito il Mino Raiola del ciclismo.
Il 10 ottobre il grande ciclismo ritorna a Oropa con il 103° GranPiemonte, che partirà da Agliè per arrivare al Santuario. Un arrivo in salita che stuzzica gli scalatori, compreso il vincitore dell’ultimo Tour de France, Egan Bernal (insieme nella foto). Ad accompagnare il 22enne del Team Ineos non mancherà il suo procuratore, il biellese Giuseppe Acquadro, 52 anni, che nel 2017 ha puntato sulle sue qualità vincendo la scommessa a mani basse. Il corridore colombiano è solo uno dei tanti corridori di cui il manager cura gli interessi. Al via ci sarà anche Richard Carapaz, vincitore del Giro d’Italia 2019, un altro degli “Acquadro Boys”.
Chi è Giuseppe Acquadro
Pur non faticando in sella ad una bici, l’accoppiata dei suoi ragazzi lo ha consacrato a procuratore dell’anno, dandogli grande visibilità. Eppure l’ex panettiere originario di Andorno Micca, che ha lasciato l’azienda di famiglia, ormai chiusa, quasi vent’anni fa, non è nuovo ad imprese (nel “palmares” ha un altro Giro con Nairo Quintana, una maglia iridata e una Sanremo con Michal Kwiatkowski). Ma la sua vita, negli ultimi mesi, è davvero cambiata. Così, tra firme, viaggi e impegni professionali, con centinaia di telefonate e messaggi ricevuti in una giornata tipo, lo schivo Acquadro si racconta ad Eco di Biella: «Altro che celebrazioni per le vittorie, la mia festa è il lavoro».
Acquadro, lo ha visto il Mondiale?
«Certo. L’ho detto che vinceva un corridore a sorpresa (Pedersen, ndr). Peccato per Trentin, difficile che gli ricapiti l’occasione. Avere o no la maglia iridata di campione del mondo ti cambia la vita».
La sua è sicuramente cambiata...
«Diciamo che faccio un lavoro che mi piace e non mi pesa».
La sua famiglia che dice?
«I miei genitori seguono le corse da pochi anni, è normale. Le mie figlie, Astrid ed Eleonora, sono contente per me ma non sono grandi appassionate».
Ora che vive a Montecarlo riesce a tornare nel Biellese?
«Qualche fine settimana per restare in famiglia. Domenica con me c’era anche Egan (Bernal, ndr) poi siamo ritornati a Monaco per la sua residenza. A breve nel Principato si trasferirà anche il quartier generale del suo team».
Già, Bernal. È veramente un fenomeno?
«Un fuoriclasse. E non ha punti deboli».
Dicono sia il Messi del ciclismo...
«Direi anche Cristiano Ronaldo».
Se lo aspettava che potesse vincere il Tour così giovane?
«Quest’anno no, visto che puntava al Giro d’Italia. Ma si è fatto male poco prima della partenza, dunque ha dovuto ricominciare daccapo la preparazione. Al Tour non era brillante nelle prime due settimane, forse non lo è mai stato. Ma se hai grande recupero e talento fai la differenza».
Anche Carapaz è stata una sorpresa?
«Ero convinto che potesse lottare per il podio al Giro, per la vittoria c’erano grandi campioni al via come Dumoulin, Roglic, Nibali e Lopez. Anche lui è stato bravo e mi ha sorpreso la sua gestione della corsa, la tranquillità e la convinzione che ha avuto».
Oggi gestisce una quarantina di corridori. Ma come è nato il rapporto con il ciclismo?
«Correvo da giovane e sono rimasto in sella fino a 19 anni. Poi vincevo troppo e ho dovuto smettere! Scherzi a parte tra il 2003 e il 2004 ho iniziato a seguire qualche atleta dilettante grazie ai contatti nell’ambiente. Poi, dal 2005, è diventato un vero e proprio lavoro con la firma di Josè Rujano».
Perché cura gli affari di tanti corridori sudamericani?
«Loro sono la nuova frontiera del ciclismo. Vivendo in altura potevano avere benefici enormi in questo sport. Un po’ come i keniani nell’atletica. E poi perché mi piacciono gli scalatori, gli atleti che sanno emozionare».
Eppure sappiamo che ha voluto a tutti i costi un ragazzo polacco...
«Kwiatkowski. Dopo che vinse il Mondiale Juniores. Se ci fosse una grande corsa a tappe con meno salite potrebbe vincerla».
E un uomo per il futuro?
«Alessandro Verre, domani firmiamo. Ha vinto 12 corse quest’anno, sentirete parlare di lui».
Ha molti amici nel ciclismo?
«È un mondo difficile a livello professionistico. Con i corridori sì, con altri hai un rapporto di lavoro. Con le squadre c’è più stima che amicizia. Ad esempio sono amico di Dave Brailsford, il capo del Team Ineos che nel 2020 avrà anche Carapaz. Con gli spagnoli è più difficile, ad esempio Eusebio Unzuè, capo della Movistar, dice ai giovani di non prendere il procuratore che non serve. È come se oggi comprassi una macchina e mi dicessero che non serve il navigatore...».
Al GranPiemonte per vincere?
«Egan Bernal punta a vincere qui e al Lombardia due giorni dopo. Nutro speranze anche per Ivan Sosa (altro suo assistito, ndr). Comunque sono contento che si torni a correre nel Biellese, un evento così porta grande visibilità. E Oropa è diventato un traguardo molto ambito dai ciclisti. Visto che a livello sportivo siamo un po’ deficitari è bello vedere qualcosa di buono».
Intende lo sport in città?
«Si, un vero peccato. Ecco, in futuro mi piacerebbe portare novità in ambito sportivo a Biella, facendo dei programmi con persone disponibili».
Bernal sarà al Giro 2020?
«Valuteremo con la squadra. Prevediamo un percorso durissimo quindi ci può stare».
L’hanno paragonata a Mino Raiola (procuratore di calcio, ndr), le piace?
«Sì, anche se alcuni vedono i procuratori come il male dello sport. Ma è ormai naturale occuparsi degli atleti. E io faccio soltanto il mio lavoro».
Le caratteristiche per diventare un campione?
«Doti naturali e testa sulle spalle. Non tanto per vincere, quanto per non perdersi».
Con pane e dolci ha chiuso?
«Sì. Anche se Bernal adora i torcetti».
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