Il basket nella terra senza domani
BIELLA - Nella lingua dello Zambia non esistono parole per dire “ieri” e “domani”. Esiste solo l’oggi: «Non possono permettersi il lusso di parlare del passato o del futuro», racconta coach Michele Carrea, da poco tornato da Ndola, città di 400 mila abitanti al confine con il Congo.
Qui il progetto Slums Dunk ha fondato una scuola di basket, ha formato 50 tecnici e allenato 220 bambini. Perché questa è l’attività di Slums Dunk (fusione di “slum”, baraccopoli, e “slam dunk”, schiacciata): raccogliere fondi per ristrutturare o costruire campi in Africa, dove ogni anno giocatori del calibro di Bruno Cerella (due volte Campione d’Italia con l’Olimpia Milano) e Tommaso Marino (play di Treviglio in A2) assieme all’allenatore di Pallacanestro Biella e ad altri volontari si trasferiscono per alcuni giorni (da dieci a un mese) ad insegnare pallacanestro.
Coach Carrea, ci spiega perché è così importante la pallacanestro?
«Perché in queste zone del mondo la povertà è talmente diffusa da togliere qualunque prospettiva. Spesso i ragazzi passano le giornate a procurarsi da mangiare e guardare l’orizzonte senza sapere cosa fare. L’aspettativa di vita è di 38 anni, molti sono orfani perché i genitori sono morti di Aids. Questa situazione porta molti giovani a cadere nell’alcolismo o nella droga, che qui consiste nello sniffare colla. Ecco perché dare un’occupazione a questi ragazzi diventa importante, li stimola, gli dà nuove energie».
E ci riuscite?
«Spesso ci chiediamo se ne vale la pena. Insomma, gli anni passano, gli impegni sono sempre tanti. Se non ho perso il conto, questo è stato il mio quinto viaggio con Slums Dunk e l’ottavo personale. A darci la forza di continuare è l’accoglienza che ci riservano sul posto le altre associazioni umanitarie, che riconoscono l’utilità del nostro progetto. Quest’anno abbiamo collaborato con Cicetekelo Youth Project (“cicetekelo” significa “speranza” in lingua bemba, ndr), legata alla Papa Giovanni XXIII, con la quale stiamo progettando la ristrutturazione di un campo da basket».
Che situazione ha trovato a Ndola?
«Eravamo in una terra che vive di allevamento e agricoltura, ma senza le tecniche e l’industrializzazione che consentirebbero di rispondere ai bisogni reali. La povertà si traduce in malnutrizione e nella totale mancanza di assistenza sanitaria».
Matteo Lusiani
LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE SULL'ECO DI BIELLA DI LUNEDI' 11 LUGLIO 2016
BIELLA - Nella lingua dello Zambia non esistono parole per dire “ieri” e “domani”. Esiste solo l’oggi: «Non possono permettersi il lusso di parlare del passato o del futuro», racconta coach Michele Carrea, da poco tornato da Ndola, città di 400 mila abitanti al confine con il Congo.
Qui il progetto Slums Dunk ha fondato una scuola di basket, ha formato 50 tecnici e allenato 220 bambini. Perché questa è l’attività di Slums Dunk (fusione di “slum”, baraccopoli, e “slam dunk”, schiacciata): raccogliere fondi per ristrutturare o costruire campi in Africa, dove ogni anno giocatori del calibro di Bruno Cerella (due volte Campione d’Italia con l’Olimpia Milano) e Tommaso Marino (play di Treviglio in A2) assieme all’allenatore di Pallacanestro Biella e ad altri volontari si trasferiscono per alcuni giorni (da dieci a un mese) ad insegnare pallacanestro.
Coach Carrea, ci spiega perché è così importante la pallacanestro?
«Perché in queste zone del mondo la povertà è talmente diffusa da togliere qualunque prospettiva. Spesso i ragazzi passano le giornate a procurarsi da mangiare e guardare l’orizzonte senza sapere cosa fare. L’aspettativa di vita è di 38 anni, molti sono orfani perché i genitori sono morti di Aids. Questa situazione porta molti giovani a cadere nell’alcolismo o nella droga, che qui consiste nello sniffare colla. Ecco perché dare un’occupazione a questi ragazzi diventa importante, li stimola, gli dà nuove energie».
E ci riuscite?
«Spesso ci chiediamo se ne vale la pena. Insomma, gli anni passano, gli impegni sono sempre tanti. Se non ho perso il conto, questo è stato il mio quinto viaggio con Slums Dunk e l’ottavo personale. A darci la forza di continuare è l’accoglienza che ci riservano sul posto le altre associazioni umanitarie, che riconoscono l’utilità del nostro progetto. Quest’anno abbiamo collaborato con Cicetekelo Youth Project (“cicetekelo” significa “speranza” in lingua bemba, ndr), legata alla Papa Giovanni XXIII, con la quale stiamo progettando la ristrutturazione di un campo da basket».
Che situazione ha trovato a Ndola?
«Eravamo in una terra che vive di allevamento e agricoltura, ma senza le tecniche e l’industrializzazione che consentirebbero di rispondere ai bisogni reali. La povertà si traduce in malnutrizione e nella totale mancanza di assistenza sanitaria».
Matteo Lusiani
LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE SULL'ECO DI BIELLA DI LUNEDI' 11 LUGLIO 2016