Intervista

Silvia Avallone e Sassaia in "Cuore nero"

L'intervista alla scrittrice: "Esiste un posto dove si può tornare umani: è Sassaia"

Silvia Avallone e Sassaia in "Cuore nero"
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"L'unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi”.
Quando Silvia Avallone descrive, con queste esatte parole, il citato “puntolino” della Valle Cervo, che per i suoi protagonisti diventerà il mondo, dobbiamo immaginarla proprio come la sua Emilia, mentre comincia a percorrere quella strada sterrata, ripidissima, che l’avrebbe condotta esattamente lì, all’inizio della storia che racconta in “Cuore nero”, il suo ultimo romanzo uscito di recente per Rizzoli e che la scrittrice di origini andornesi presenterà a Biella il prossimo 28 marzo, ospite del festival “Contemporanea. Parole e storie di donne” (il luogo e l’orario non sono ancora stati resi noti).

Una scoperta

Sì, perché Sassaia è per Emilia come per Silvia un posto di approdo e ripartenza, come spiega lei stessa: «Da una parte, ho reinventato parte dei luoghi, per esigenze narrative, però Sassaia doveva assolutamente esserci, così certi scorci e i boschi sono reali». Sono il nostro Biellese, che dopo “Marina Bellezza” torna prima ambientazione dei romanzi di Avallone: «Adoro la Valle Cervo, ma non conoscevo Sassaia. L’ho scoperto dopo la pandemia, quando, assetata di natura, ho ripreso a fare lunghe passeggiate nei boschi e, una volta arrivata imboccando un sentiero nuovo, mi sono innamorata di questo nido di case, che, per quanto disabitato, è perfettamente vivo, un paradiso incontaminato. Lì ho respirato, sentivo di essere nella carne del mondo. Un luogo dove poter tornare perfettamente umani».

Oltre il male

E questo è il pensiero che accompagna il destino di Emilia, colei che ha compiuto un grande male in adolescenza (l’età cara a Silvia Avallone) e che si ritrova, dopo aver scontato la sua pena, libera nel mondo. Emilia sceglie di «seppellirsi» a Sassaia, ma quello sarà il luogo in cui due personaggi di segno opposto si incontrano. E l’incontro è vita: «Ho voluto, con questa storia, interrogare il Male, ma sapendo di voler trovare la luce. Questo non significa ridimensionare il Male, ma prendere consapevolezza che solo non nascondendosi si può costruire il Bene. Coltivavo Emilia da lettrice da molto tempo e l’ho voluta portare in un libro in modo diametralmente opposto alla cronaca, che ansia di gridare al mostro e poi al dimenticarlo. E quel Male che lei ha compiuto in adolescenza non può che, da una parte, chiamare in causa l’intera società, che ha il dovere di orientare i giovani».

Centrale, allora, è la domanda: chi ha finito di pagare la colpa commessa, quando va nel mondo, come fa a ricominciare davvero? Lo sguardo non poteva che essere esterno ad Emilia: è lo sguardo di Bruno, mediatore di domande paradossali che si devono porre alle coscienze, perché se è questione d’amore, la loro, nello stesso tempo, di mezzo c’è il fardello di una colpa non sua: «Bruno è l’uomo buono, e buono non vuol dire perfetto e senza difetti. Volevo scrivere di una società maschilista e patriarcale, inserendo però un uomo capace di prendersi cura di un femminile colpevole. Non a caso Bruno è un maestro, rappresenta il valore della cultura come riscatto».

Foto: G. Previdi

Intervista completa in edicola oggi, giovedì 15 febbraio, su Eco di Biella.

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