«Recito contro la pestilenza morale»

«Recito contro la pestilenza morale»
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BIELLA - «Messere e messeri salute a voi». Pausa, lo sguardo che scorre sul pubblico. Le braccia, avvolte in maniche color verde acceso, che fanno una piroetta. Quindi, Panfilo prosegue: «Siam quivi giunti ne lo mutevole loco de lo teatral sentire, onde far dono alle eccellenze vostre d'alcune favolette carpite con benevolenza allo antenato nostro, messer Giovanni Boccaccio, acciocché di molto diletto vi siano in codesta serata». 

Ed è fatta. Basta un attacco, al capo-comico mastro di brigata, per trascinare chi ne sta traducendo il saluto dritto nel 1350, tra il profilo ideale delle colline fiorentine che diventa sagoma di un carro-furgone, dove salgono, scendono, entrano ed escono sei personaggi. A raccontare non cento, ma sette delle “favolette", le novelle, di “messer Boccaccio”. E, allora, a guardarlo bene, Panfilo ha il volto di Stefano Accorsi (in foto). E la scena è quella dello spettacolo, curato dal regista Marco Baliani per “Nuovo Teatro” di Marco Balsamo, che la “sgangherata compagnia” di attori in questione parcheggerà sul palco per narrare il suo “Decamerone - vizi, virtù, passioni”. Rilettura teatrale ospitata all’Odeon, pezzo forte della stagione “Biella in scena” proposta da “Il Contato del Canavese”, sabato 19 marzo alle ore 20.30. 

Stefano Accorsi se lo porta con sé, Panfilo. Quella lingua che stuzzica il fascino dell’italiano che è stato si mescola alle parole di ogni giorno, mentre l’attore racconta a “Eco di Biella” di un lavoro di più ampio respiro. Che celebra il capolavoro di Giovanni Boccaccio, certo, ma si fa anche pezzo di una trilogia - il progetto “Grandi Italiani” - nata con la trasposizione di “Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto e che si chiuderà con “Il Principe” di Niccolò Machiavelli. 

«Il progetto porta a teatro tre grandi tesori della letteratura italiana - spiega Accorsi - Testi che vanno riadattati, per i quali va fatto un lavoro drammaturgico non indifferente. Però, ci piaceva l’idea di tradurli in pièce di teatro».

La “pestilonza morale”. L’aggancio all’opera di ispirazione è altrettanto presente. Da lì, da quella che Marco Baliani chiama “progressiva perdita di un civile sentire” perché “oggi a essere appestata è l’intera società”, nel racconto di Accorsi spunta la “pestilonza”, la peste del Decamerone: «L’idea è che alla Peste Nera del 1350 possa corrispondere una peste morale che ha visto il nostro Paese soffrire, in vari anni, di cattiva gestione. Da questo, l’approccio che trovo significativo è che noi non ci poniamo come moralizzatori o come condannatori della “pestilonza morale”. Anzi, noi siamo qui, come dice il mio personaggio, a “far rimontar speranza”. Boccaccio si poneva sempre a livello dei suoi interlocutori e io stesso penso che il cosiddetto teatro di denuncia, che punta sempre il dito verso tutto ciò che non va, spesso diventa magari concettualmente condivisibile, ma teatralmente stucchevole. Quindi, è un testo che parte da questo spunto per poi arrivare all’essere umano, che è poi ciò che Boccaccio ha analizzato in queste novelle».

Lingua d’altri tempi. La sfida alla complessità di un tesoro come il Decamerone passa attraverso la cernita di sette racconti, in primis del linguaggio: «La lingua del Boccaccio presenta una costruzione del periodo complicata. Abbiamo giocato su un “italico de antiqua foggia”, mantenendo cioè le parole “in più terrestre favellar” . Direi in una lingua più del Sei-Settecento, se vogliamo. Si è trattato di un lavoro di copione molto intenso, fatto di continui aggiustamenti», spiega Stefano Accorsi. Necessario, però, a far vivere quelle sette novelle: «Due di queste sono un omaggio a Pier Paolo Pasolini (ndr. “Il Decameron”, 1971)», tiene a sottolineare l’attore.

 

Il messaggio. Tutto il resto starà alla riscoperta dello spettatore-lettore. Lo stesso Accorsi non lo nasconde: «Ammetto che c’è il desiderio di far venire voglia di leggere le restanti novelle. Personalmente sì, ne ho una che mi diverte interpretare in particolare. Premetto che siamo sei attori in scena, abbiamo diversi ruoli e l’azione è corale. In ogni caso, parlo del ruolo del marito geloso, la novella più faticosa, perché è affascinante lavorare sulla gelosia e sul fatto che non possa mai contenere l’istinto di vita che c’è nell’amore. L’amore sfugge, trova sempre modo di esprimersi». Anche quando a mutar, invariata la sostanza, non è che “la d’altrui favella”.

Info. Con Stefano Accorsi, reciteranno sul palco del Teatro Odeon gli attori: Silvia Ajelli (Fiammetta - l’innamorata); Salvatore Arena (Filostrato - il fedele); Silvia Briozzo (Elissa - la generosa); Fonte Fantasia (Pampinea - la giovine) e Mariano Nieddu (Dioneo - lo scaltro).

Per chi volesse prenotare, c’è ancora una decina di posti disponibili. Il prezzo del biglietto è di 20 euro, più 2 euro di eventuale prevendita. 

Giovanna Boglietti

BIELLA - «Messere e messeri salute a voi». Pausa, lo sguardo che scorre sul pubblico. Le braccia, avvolte in maniche color verde acceso, che fanno una piroetta. Quindi, Panfilo prosegue: «Siam quivi giunti ne lo mutevole loco de lo teatral sentire, onde far dono alle eccellenze vostre d'alcune favolette carpite con benevolenza allo antenato nostro, messer Giovanni Boccaccio, acciocché di molto diletto vi siano in codesta serata». 

Ed è fatta. Basta un attacco, al capo-comico mastro di brigata, per trascinare chi ne sta traducendo il saluto dritto nel 1350, tra il profilo ideale delle colline fiorentine che diventa sagoma di un carro-furgone, dove salgono, scendono, entrano ed escono sei personaggi. A raccontare non cento, ma sette delle “favolette", le novelle, di “messer Boccaccio”. E, allora, a guardarlo bene, Panfilo ha il volto di Stefano Accorsi (in foto). E la scena è quella dello spettacolo, curato dal regista Marco Baliani per “Nuovo Teatro” di Marco Balsamo, che la “sgangherata compagnia” di attori in questione parcheggerà sul palco per narrare il suo “Decamerone - vizi, virtù, passioni”. Rilettura teatrale ospitata all’Odeon, pezzo forte della stagione “Biella in scena” proposta da “Il Contato del Canavese”, sabato 19 marzo alle ore 20.30. 

Stefano Accorsi se lo porta con sé, Panfilo. Quella lingua che stuzzica il fascino dell’italiano che è stato si mescola alle parole di ogni giorno, mentre l’attore racconta a “Eco di Biella” di un lavoro di più ampio respiro. Che celebra il capolavoro di Giovanni Boccaccio, certo, ma si fa anche pezzo di una trilogia - il progetto “Grandi Italiani” - nata con la trasposizione di “Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto e che si chiuderà con “Il Principe” di Niccolò Machiavelli. 

«Il progetto porta a teatro tre grandi tesori della letteratura italiana - spiega Accorsi - Testi che vanno riadattati, per i quali va fatto un lavoro drammaturgico non indifferente. Però, ci piaceva l’idea di tradurli in pièce di teatro».

La “pestilonza morale”. L’aggancio all’opera di ispirazione è altrettanto presente. Da lì, da quella che Marco Baliani chiama “progressiva perdita di un civile sentire” perché “oggi a essere appestata è l’intera società”, nel racconto di Accorsi spunta la “pestilonza”, la peste del Decamerone: «L’idea è che alla Peste Nera del 1350 possa corrispondere una peste morale che ha visto il nostro Paese soffrire, in vari anni, di cattiva gestione. Da questo, l’approccio che trovo significativo è che noi non ci poniamo come moralizzatori o come condannatori della “pestilonza morale”. Anzi, noi siamo qui, come dice il mio personaggio, a “far rimontar speranza”. Boccaccio si poneva sempre a livello dei suoi interlocutori e io stesso penso che il cosiddetto teatro di denuncia, che punta sempre il dito verso tutto ciò che non va, spesso diventa magari concettualmente condivisibile, ma teatralmente stucchevole. Quindi, è un testo che parte da questo spunto per poi arrivare all’essere umano, che è poi ciò che Boccaccio ha analizzato in queste novelle».

Lingua d’altri tempi. La sfida alla complessità di un tesoro come il Decamerone passa attraverso la cernita di sette racconti, in primis del linguaggio: «La lingua del Boccaccio presenta una costruzione del periodo complicata. Abbiamo giocato su un “italico de antiqua foggia”, mantenendo cioè le parole “in più terrestre favellar” . Direi in una lingua più del Sei-Settecento, se vogliamo. Si è trattato di un lavoro di copione molto intenso, fatto di continui aggiustamenti», spiega Stefano Accorsi. Necessario, però, a far vivere quelle sette novelle: «Due di queste sono un omaggio a Pier Paolo Pasolini (ndr. “Il Decameron”, 1971)», tiene a sottolineare l’attore.

 

Il messaggio. Tutto il resto starà alla riscoperta dello spettatore-lettore. Lo stesso Accorsi non lo nasconde: «Ammetto che c’è il desiderio di far venire voglia di leggere le restanti novelle. Personalmente sì, ne ho una che mi diverte interpretare in particolare. Premetto che siamo sei attori in scena, abbiamo diversi ruoli e l’azione è corale. In ogni caso, parlo del ruolo del marito geloso, la novella più faticosa, perché è affascinante lavorare sulla gelosia e sul fatto che non possa mai contenere l’istinto di vita che c’è nell’amore. L’amore sfugge, trova sempre modo di esprimersi». Anche quando a mutar, invariata la sostanza, non è che “la d’altrui favella”.

Info. Con Stefano Accorsi, reciteranno sul palco del Teatro Odeon gli attori: Silvia Ajelli (Fiammetta - l’innamorata); Salvatore Arena (Filostrato - il fedele); Silvia Briozzo (Elissa - la generosa); Fonte Fantasia (Pampinea - la giovine) e Mariano Nieddu (Dioneo - lo scaltro).

Per chi volesse prenotare, c’è ancora una decina di posti disponibili. Il prezzo del biglietto è di 20 euro, più 2 euro di eventuale prevendita. 

Giovanna Boglietti

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