Radici e ali. A Trivero e nel mondo il welfare Zegna

Radici e ali. A Trivero e nel mondo il welfare Zegna
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C’è un luogo molto lontano da qui che si sta inesorabilmente e rapidamente desertificando. Si chiama Kulun Qi, una zona agricola della Inner Mongolia che si estende a circa settecento chilometri a nord-est di Pechino, nella Prefettura di Tongliao. Il Gobi, il grande deserto dell’Asia Orientale, sta avanzando portando la sabbia dove fino a pochi anni fa c’erano distese coltivate. Dalla città di Kulun-Hure lo sguardo a nord spazia su campi secchi e alte dune. Il destino di quella terra potrebbe non riguardarci. Ci riguarda, invece, il destino della Terra. Allora la sorte delle coltivazioni di Kulun Qi deve starci a cuore e non solo perché, come recita lo slogan “la Cina è vicina”, ma anche perché la costruzione del futuro può avvenire solo attraverso la consapevolezza globale di problematiche locali e viceversa. Non esistono più distanze di sicurezza. Oggi non c’è più nulla che non ci riguardi: nel “villaggio” ogni cosa ha lo stesso valore in ogni punto sulla mappa. Di tutti è il battito d’ali della farfalla di Lorenz, come di tutti è l’effetto che ne deriva, nel bene come nel male. C’è un progetto in pieno svolgimento dal 2007 che tenta di salvare l’area di Kulun. “Milion Tree Project” si inserisce nel più vasto programma di salvaguardia ambientale dell’organizzazione “Roots & Shoots” (radici e germogli), fondata da Jane Godall nel 1991. Piantare un milione di alberi per una Cina di nuovo verde è la mission che vede impegnato dal 2012 anche il Gruppo Ermenegildo Zegna, accanto ad altri “grossi calibri” dell’imprenditoria “ecosensibile” a livello mondiale. Al di là di qualsiasi considerazione, riflessione o speculazione etico-morale sull’operazione in sé (oggigiorno non è facile fare qualcosa di buono e di utile senza scatenare l’ironia dei cinici o suscitare le peggiori pulsioni dietrologiste) l’ingaggio del Gruppo Ermenegildo Zegna nella sperduta Mongolia Interna con la sua “My Zegna Forest” fa sorgere spontanea una domanda: perché? 

Si è già spiegato: perché quella grana dei contadini cinesi alla lunga sarà una nostra grana e, in parte, lo è già. Ma c’è di più. Gli Zegna stanno mettendo a dimora piante laggiù perchè lo hanno sempre fatto e lo fanno tuttora. Detta così sembra di aver preso una cantonata merceologica (gli Zegna non sono quelli che fanno tessuti e vestiti?), ma in realtà quello di piantare alberi è, da un certo punto di vista, il secondo “ramo d’azienda” della famiglia di Trivero, un’attività rilevante e presente accanto a quella tessile fin dall’inizio. Monsù Gildo ha costruito il paesaggio del Triverese e delle montagne biellesi con conifere e fiori, riforestando e impreziosendo un territorio esausto, brullo, desertificato dallo sfruttamento eccessivo dell’Ottocento. I suoi figli e i suoi nipoti non hanno cessato di occuparsi di ambiente e di piante trasformando un’idea in un’oasi. L’attenzione per la Natura non è mai stata marginale nel “mondo” Zegna anche quando l’ecologia era più una suggestione d’elite che un bagaglio culturale comune. E non si trattava di stabilire primati o vincere premi, bensì di dar corso senza enfasi a una buona pratica, a una sana abitudine. Il principio di fondo è tuttora valido così come il modus operandi. Ma negli ultimi anni è cambiato un po’ tutto. Il che non significa in peggio. Semmai si è prodotta un’ulteriore presa d’atto della necessità di tenere in equilibrio un sistema che non vive di sole piante, ma anche di segni e di simboli. Allora gli alberi diventano portatori di valori che non si discostano da quelli originari, ma ne amplificano il senso in un contesto comunicativo più esteso e li ricodificano alla luce di una coscienza ecologica tutta nuova, terzoparadisiaca, basata sulla restituzione e sul risarcimento. Quella di Kulun germoglia da un’esperienza precedente, locale in termini geografici, ma globale sotto il profilo tematico. La “Baby Forest” di Bielmonte dal 2010 accoglie i nuovi “bambini”, piccoli alberi nati da dipendenti del Gruppo Ermenegildo Zegna per testimoniare non solo un sincero sentimento ecologista, ma anche e soprattutto perchè è importante avere un luogo in cui mettere radici. Un luogo fisico, ma ancor più simbolico, dove le piante del futuro possano attecchire e opporsi alla desertificazione sociale che ci minaccia come e più del Gobi. Retorica? Sì, certo, ma solo strumentale. Funzionale a porre l’accento sulle fragilità del paesaggio antropologico che quasi un secolo fa il conte Zegna aveva già affrontato (all’epoca colmando le lacune strutturali della comunità di Trivero). 

Il punto è che gli “alberi” Zegna non sono mai stati (né lo sono oggi) solo quelli vegetali. Il discorso del radicamento e dell’accrescimento nell’habitat giusto è fondamentale per cogliere il gesto del volo. Proprio così. Per quanto possa apparire paradossale, senza radici non si vola. Le ali servono dopo, ma per spiccare il salto occorrono piedi saldi e un terreno adatto. Il presidio sanitario voluto da Ermenegildo Zegna a Trivero fa parte dello stesso investimento territoriale iniziato con le piantumazioni di conifere nei primi anni Trenta. Nascere e crescere a Trivero accomuna, assimila le piantine ai bimbi venuti al mondo nella “Opera Maternità Zegna” a partire dal 1940. Il 3 febbraio nacque il primo “figlio” del Centro Zegna: i genitori si chiamavano Alessandro e Margherita Pasciutti, erano originari di Landiona, nel Novarese, ma risiedevano in frazione Gioia. Sicuramente erano dipendenti del Lanificio Zegna e chiamarono il loro bambino Ermenegildo, guarda caso... Comunque non brillarono per anticonformismo nemmeno i coniugi Lampo e Baroni, rispettivamente, padri e madri del secondo nato e della prima nata: Mario il bambino e Nina Prassede la bambina (entrambi tuttora in vita). Quando nel 1965 la “Maternità” del Centro Zegna fu affidata all’Ospedale degli Infermi di Biella i nati a Trivero erano poco meno di 6.500 (con un picco di 369 parti avvenuti nel 1960). Quando nel 1971, il 3 giugno, il reparto ostetrico fu utilizzato per l’ultima volta, le nuove vite, i germogli triveresi, si contavano in poco meno di 8.000 unità. E il dato più notevole riguarda la mortalità infantile: dal 2,5% del primo decennio all’1,5% della metà degli anni Sessanta. Il quadro statistico attesta per Trivero una possibilità di sopravvivenza più che doppia rispetto alla media nazionale dello stesso periodo. Anche questo è un modo per difendere il territorio dalla desertificazione. Nel prossimo mese di settembre Casa Zegna proporrà un ricco spunto di riflessione sul welfare finalizzato alla tutela e allo sviluppo delle nuove generazioni. La “Maternità” del Centro Zegna non potrà non essere il punto di partenza per un cammino che, come sempre avviene negli appuntamenti triveresi, si snoderà dal ieri all’oggi e al domani, ma anche da Trivero al mondo. 

La mostra allestita nel polo culturale Zegna affronterà soprattutto il tema della formazione, anche in questo caso leggibile tramite la metafora dell’albero che affonda le sue radici nel qui e allora, ma che proietta i suoi rami e i suoi frutti in ogni direzione e nel futuro. La breve, ma feconda esperienza della Scuola Professionale aperta a Trivero nella seconda metà degli anni Cinquanta è il seme di una concezione precisa del ruolo della scolarizzazione. Quell’embrione si è evoluto verso forme più articolate e complesse di quel pur efficace istituto professionale. Adesso le sfide sono ad un altro livello e il “Programma Scholarschip” offre gli strumenti adeguati per accettare quelle sfide. Più concretamente “Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship mette a disposizione borse di studio per un importo fino a 50.000 Euro annui per consentire a un ristretto numero di italiani eccezionalmente promettenti di intraprendere un percorso di ricerca o specializzazione post-laurea all’estero“(www.zegnagroup.com). Attenzione, però, questa dotazione di ali non è un contributo a coloro che vogliono far volare il proprio cervello altrove. Infatti “sarà data priorità a donne e uomini che abbiano il potenziale per diventare leader nel loro settore e un sincero interesse a tornare in Italia per dare un contributo positivo all’Italia a seguito del completamento dei loro soggiorni all’estero” (stessa fonte). Radici lunghe, ma pur sempre radici! 

Lo stesso principio si ritrova nella correlazione tra un’iniziativa vincente come il “Gianni Zegna”, cioè l’Istituto Provinciale Assistenza Infanzia aperto a Caulera nel 1958 (e rimasto attivo fino alla metà degli anni Settanta) e l’attuale impegno nei confronti di realtà di disagio giovanile. Quella del “Gianni Zegna” era, allora, la migliore risposta possibile a diverse problematiche, riferite soprattutto a minori abbandonati o orfani che avevano raggiunto l’età scolare e che, esclusi dalle istituzioni pubbliche locali, avrebbero avuto prospettive davvero poco rosee. Anche i problemi della gioventù sono mutati e quello della tossicodipendenza rimane uno dei più gravi, specialmente perché il recupero e il reinserimento nella società comportano serie difficoltà e alto rischio di fallimento. Con lo stesso spirito che mosse Ermenegildo Zegna negli anni Cinquanta verso i giovani della allora Provincia di Vercelli, oggi i suoi eredi operano lungo un fronte più ampio, quello di San Patrignano. La casa, la famiglia creata da Vincenzo Muccioli nel 1978 oggi è un “laboratorio” formidabile capace non solo di salvare i ragazzi dalla droga, ma anche di mettere in valore i loro talenti grazie a un “Design Lab” cui collabora un mostro sacro come Peter Marino e grazie a veri e propri atelier di tessitura artigianale manuale. La Fondazione Zegna collabora con “Sanpa” dal 2013 e ne sostiene i percorsi educativi. Anche in questo non ci sono dissonanze, bensì armonie con l’habitus “indossato” da più di un secolo a questa parte dagli Zegna. Ermenegildo Zegna ha inoltre applicato fin dalle origini un criterio operativo, ma anche morale che, forse, ai suoi tempi non aveva il nome odierno, cogenerazione, ma che funzionava già nella stessa maniera. Così come avviene adesso, già decenni addietro le opere del conte di Monte Rubello di Trivero non erano solo “assistenziali”, ma anche proattive e stimolanti alla partecipazione. Le cospicue possibilità finanziare e la capacità di visione di Ermenegildo Zegna non servivano a soddisfare i bisogni comuni senza soluzione di continuità, bensì a innescare processi virtuosi di acquisizione di competenza e conoscenza. Il fondatore dava l’abbrivio e, pur garantendo sempre la sua “presenza”, tendeva a ritirarsi in maniera che le sue realizzazioni potessero tentare di “stare in piedi da sole”, magari affidandole ad amministrazioni private o enti pubblici. La cogenerazione è responsabilità crescente e autonomia gestionale perchè la filantropia moderna è, sì, ausilio diretto, ma più ancora è crescita collettiva, partecipata. La kermesse di settembre sarà tutto questo, ma non solo. Una scoperta di memorie, ma anche e soprattutto di prospettive. Ma come per la mostra sulle colonie alpine, Casa Zegna conta sulla gente di Trivero e del Biellese per arricchire l’allestimento e per infittire la trama delle notizie sul Centro Zegna. Vuoi sapere come? Dai un’occhiata al box pubblicato da oggi su “Eco di Biella” e contribuisci a costruire e a tramandare una bella storia.
Danilo Craveia

C’è un luogo molto lontano da qui che si sta inesorabilmente e rapidamente desertificando. Si chiama Kulun Qi, una zona agricola della Inner Mongolia che si estende a circa settecento chilometri a nord-est di Pechino, nella Prefettura di Tongliao. Il Gobi, il grande deserto dell’Asia Orientale, sta avanzando portando la sabbia dove fino a pochi anni fa c’erano distese coltivate. Dalla città di Kulun-Hure lo sguardo a nord spazia su campi secchi e alte dune. Il destino di quella terra potrebbe non riguardarci. Ci riguarda, invece, il destino della Terra. Allora la sorte delle coltivazioni di Kulun Qi deve starci a cuore e non solo perché, come recita lo slogan “la Cina è vicina”, ma anche perché la costruzione del futuro può avvenire solo attraverso la consapevolezza globale di problematiche locali e viceversa. Non esistono più distanze di sicurezza. Oggi non c’è più nulla che non ci riguardi: nel “villaggio” ogni cosa ha lo stesso valore in ogni punto sulla mappa. Di tutti è il battito d’ali della farfalla di Lorenz, come di tutti è l’effetto che ne deriva, nel bene come nel male. C’è un progetto in pieno svolgimento dal 2007 che tenta di salvare l’area di Kulun. “Milion Tree Project” si inserisce nel più vasto programma di salvaguardia ambientale dell’organizzazione “Roots & Shoots” (radici e germogli), fondata da Jane Godall nel 1991. Piantare un milione di alberi per una Cina di nuovo verde è la mission che vede impegnato dal 2012 anche il Gruppo Ermenegildo Zegna, accanto ad altri “grossi calibri” dell’imprenditoria “ecosensibile” a livello mondiale. Al di là di qualsiasi considerazione, riflessione o speculazione etico-morale sull’operazione in sé (oggigiorno non è facile fare qualcosa di buono e di utile senza scatenare l’ironia dei cinici o suscitare le peggiori pulsioni dietrologiste) l’ingaggio del Gruppo Ermenegildo Zegna nella sperduta Mongolia Interna con la sua “My Zegna Forest” fa sorgere spontanea una domanda: perché? 

Si è già spiegato: perché quella grana dei contadini cinesi alla lunga sarà una nostra grana e, in parte, lo è già. Ma c’è di più. Gli Zegna stanno mettendo a dimora piante laggiù perchè lo hanno sempre fatto e lo fanno tuttora. Detta così sembra di aver preso una cantonata merceologica (gli Zegna non sono quelli che fanno tessuti e vestiti?), ma in realtà quello di piantare alberi è, da un certo punto di vista, il secondo “ramo d’azienda” della famiglia di Trivero, un’attività rilevante e presente accanto a quella tessile fin dall’inizio. Monsù Gildo ha costruito il paesaggio del Triverese e delle montagne biellesi con conifere e fiori, riforestando e impreziosendo un territorio esausto, brullo, desertificato dallo sfruttamento eccessivo dell’Ottocento. I suoi figli e i suoi nipoti non hanno cessato di occuparsi di ambiente e di piante trasformando un’idea in un’oasi. L’attenzione per la Natura non è mai stata marginale nel “mondo” Zegna anche quando l’ecologia era più una suggestione d’elite che un bagaglio culturale comune. E non si trattava di stabilire primati o vincere premi, bensì di dar corso senza enfasi a una buona pratica, a una sana abitudine. Il principio di fondo è tuttora valido così come il modus operandi. Ma negli ultimi anni è cambiato un po’ tutto. Il che non significa in peggio. Semmai si è prodotta un’ulteriore presa d’atto della necessità di tenere in equilibrio un sistema che non vive di sole piante, ma anche di segni e di simboli. Allora gli alberi diventano portatori di valori che non si discostano da quelli originari, ma ne amplificano il senso in un contesto comunicativo più esteso e li ricodificano alla luce di una coscienza ecologica tutta nuova, terzoparadisiaca, basata sulla restituzione e sul risarcimento. Quella di Kulun germoglia da un’esperienza precedente, locale in termini geografici, ma globale sotto il profilo tematico. La “Baby Forest” di Bielmonte dal 2010 accoglie i nuovi “bambini”, piccoli alberi nati da dipendenti del Gruppo Ermenegildo Zegna per testimoniare non solo un sincero sentimento ecologista, ma anche e soprattutto perchè è importante avere un luogo in cui mettere radici. Un luogo fisico, ma ancor più simbolico, dove le piante del futuro possano attecchire e opporsi alla desertificazione sociale che ci minaccia come e più del Gobi. Retorica? Sì, certo, ma solo strumentale. Funzionale a porre l’accento sulle fragilità del paesaggio antropologico che quasi un secolo fa il conte Zegna aveva già affrontato (all’epoca colmando le lacune strutturali della comunità di Trivero). 

Il punto è che gli “alberi” Zegna non sono mai stati (né lo sono oggi) solo quelli vegetali. Il discorso del radicamento e dell’accrescimento nell’habitat giusto è fondamentale per cogliere il gesto del volo. Proprio così. Per quanto possa apparire paradossale, senza radici non si vola. Le ali servono dopo, ma per spiccare il salto occorrono piedi saldi e un terreno adatto. Il presidio sanitario voluto da Ermenegildo Zegna a Trivero fa parte dello stesso investimento territoriale iniziato con le piantumazioni di conifere nei primi anni Trenta. Nascere e crescere a Trivero accomuna, assimila le piantine ai bimbi venuti al mondo nella “Opera Maternità Zegna” a partire dal 1940. Il 3 febbraio nacque il primo “figlio” del Centro Zegna: i genitori si chiamavano Alessandro e Margherita Pasciutti, erano originari di Landiona, nel Novarese, ma risiedevano in frazione Gioia. Sicuramente erano dipendenti del Lanificio Zegna e chiamarono il loro bambino Ermenegildo, guarda caso... Comunque non brillarono per anticonformismo nemmeno i coniugi Lampo e Baroni, rispettivamente, padri e madri del secondo nato e della prima nata: Mario il bambino e Nina Prassede la bambina (entrambi tuttora in vita). Quando nel 1965 la “Maternità” del Centro Zegna fu affidata all’Ospedale degli Infermi di Biella i nati a Trivero erano poco meno di 6.500 (con un picco di 369 parti avvenuti nel 1960). Quando nel 1971, il 3 giugno, il reparto ostetrico fu utilizzato per l’ultima volta, le nuove vite, i germogli triveresi, si contavano in poco meno di 8.000 unità. E il dato più notevole riguarda la mortalità infantile: dal 2,5% del primo decennio all’1,5% della metà degli anni Sessanta. Il quadro statistico attesta per Trivero una possibilità di sopravvivenza più che doppia rispetto alla media nazionale dello stesso periodo. Anche questo è un modo per difendere il territorio dalla desertificazione. Nel prossimo mese di settembre Casa Zegna proporrà un ricco spunto di riflessione sul welfare finalizzato alla tutela e allo sviluppo delle nuove generazioni. La “Maternità” del Centro Zegna non potrà non essere il punto di partenza per un cammino che, come sempre avviene negli appuntamenti triveresi, si snoderà dal ieri all’oggi e al domani, ma anche da Trivero al mondo. 

La mostra allestita nel polo culturale Zegna affronterà soprattutto il tema della formazione, anche in questo caso leggibile tramite la metafora dell’albero che affonda le sue radici nel qui e allora, ma che proietta i suoi rami e i suoi frutti in ogni direzione e nel futuro. La breve, ma feconda esperienza della Scuola Professionale aperta a Trivero nella seconda metà degli anni Cinquanta è il seme di una concezione precisa del ruolo della scolarizzazione. Quell’embrione si è evoluto verso forme più articolate e complesse di quel pur efficace istituto professionale. Adesso le sfide sono ad un altro livello e il “Programma Scholarschip” offre gli strumenti adeguati per accettare quelle sfide. Più concretamente “Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship mette a disposizione borse di studio per un importo fino a 50.000 Euro annui per consentire a un ristretto numero di italiani eccezionalmente promettenti di intraprendere un percorso di ricerca o specializzazione post-laurea all’estero“(www.zegnagroup.com). Attenzione, però, questa dotazione di ali non è un contributo a coloro che vogliono far volare il proprio cervello altrove. Infatti “sarà data priorità a donne e uomini che abbiano il potenziale per diventare leader nel loro settore e un sincero interesse a tornare in Italia per dare un contributo positivo all’Italia a seguito del completamento dei loro soggiorni all’estero” (stessa fonte). Radici lunghe, ma pur sempre radici! 

Lo stesso principio si ritrova nella correlazione tra un’iniziativa vincente come il “Gianni Zegna”, cioè l’Istituto Provinciale Assistenza Infanzia aperto a Caulera nel 1958 (e rimasto attivo fino alla metà degli anni Settanta) e l’attuale impegno nei confronti di realtà di disagio giovanile. Quella del “Gianni Zegna” era, allora, la migliore risposta possibile a diverse problematiche, riferite soprattutto a minori abbandonati o orfani che avevano raggiunto l’età scolare e che, esclusi dalle istituzioni pubbliche locali, avrebbero avuto prospettive davvero poco rosee. Anche i problemi della gioventù sono mutati e quello della tossicodipendenza rimane uno dei più gravi, specialmente perché il recupero e il reinserimento nella società comportano serie difficoltà e alto rischio di fallimento. Con lo stesso spirito che mosse Ermenegildo Zegna negli anni Cinquanta verso i giovani della allora Provincia di Vercelli, oggi i suoi eredi operano lungo un fronte più ampio, quello di San Patrignano. La casa, la famiglia creata da Vincenzo Muccioli nel 1978 oggi è un “laboratorio” formidabile capace non solo di salvare i ragazzi dalla droga, ma anche di mettere in valore i loro talenti grazie a un “Design Lab” cui collabora un mostro sacro come Peter Marino e grazie a veri e propri atelier di tessitura artigianale manuale. La Fondazione Zegna collabora con “Sanpa” dal 2013 e ne sostiene i percorsi educativi. Anche in questo non ci sono dissonanze, bensì armonie con l’habitus “indossato” da più di un secolo a questa parte dagli Zegna. Ermenegildo Zegna ha inoltre applicato fin dalle origini un criterio operativo, ma anche morale che, forse, ai suoi tempi non aveva il nome odierno, cogenerazione, ma che funzionava già nella stessa maniera. Così come avviene adesso, già decenni addietro le opere del conte di Monte Rubello di Trivero non erano solo “assistenziali”, ma anche proattive e stimolanti alla partecipazione. Le cospicue possibilità finanziare e la capacità di visione di Ermenegildo Zegna non servivano a soddisfare i bisogni comuni senza soluzione di continuità, bensì a innescare processi virtuosi di acquisizione di competenza e conoscenza. Il fondatore dava l’abbrivio e, pur garantendo sempre la sua “presenza”, tendeva a ritirarsi in maniera che le sue realizzazioni potessero tentare di “stare in piedi da sole”, magari affidandole ad amministrazioni private o enti pubblici. La cogenerazione è responsabilità crescente e autonomia gestionale perchè la filantropia moderna è, sì, ausilio diretto, ma più ancora è crescita collettiva, partecipata. La kermesse di settembre sarà tutto questo, ma non solo. Una scoperta di memorie, ma anche e soprattutto di prospettive. Ma come per la mostra sulle colonie alpine, Casa Zegna conta sulla gente di Trivero e del Biellese per arricchire l’allestimento e per infittire la trama delle notizie sul Centro Zegna. Vuoi sapere come? Dai un’occhiata al box pubblicato da oggi su “Eco di Biella” e contribuisci a costruire e a tramandare una bella storia.
Danilo Craveia

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