Polenta di Oropa per il re Federico IX di Danimarca

Polenta di Oropa per il re Federico IX di Danimarca
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Dichiaro subito che questa non è una storia “nuova” come quelle che solitamente si leggono su queste pagine. Questa storia è già stata raccontata proprio su questo giornale, ma qualche anno fa, il 14 novembre 1955. L’articolo cui faccio riferimento non era firmato, ma è del tutto plausibile che sia stato scritto da Massimino Scanzio Bais (1919-2001), il noto autore di “Dai acqua!” e di altre opere di interesse storico locale. L’attribuzione al divulgatore candelese è poi suffragata anche da elementi di contesto: in effetti la simpatica vicenda in oggetto ha nessi forti con Candelo e vincoli parentali con lo stesso Scanzio Bais. Detto questo è altresì probabile che anche qualcun altro abbia avuto modo di richiamare in altre occasioni gli eventi che mi appresto a riproporre, ma tali avvenimenti costituiscono un insieme troppo curioso per non meritare un remake. Questa è una storia di mare, anzi di marinai, avvenuta circa un secolo fa. Dobbiamo infatti tornare alla metà degli anni Venti, in un clima di euforia per la grande considerazione di cui godeva da più lustri la Regia Marina. Le navi da guerra italiane erano ritenute fin dalla fine dell’Ottocento tra le migliori del mondo sotto tutti i punti di vista e con giusto orgoglio non si perdeva occasione di farne sfoggio in ogni dove. A titolo di premessa e per cogliere il milieu in cui si svolsero i fatti cito quanto riportato sul sito del Gruppo di Taranto dell’Anmi Associazione Nazionale Marinai d’Italia: “Sull’onda dei lusinghieri successi politici e positivi commenti della stampa estera sulle Crociere del 1924, il Ministro degli Esteri, in accordo con quello della Marina, sostenne presso il Capo del Governo l’opportunità di “mostrare Bandiera” nei porti non visitati dal R. Esploratore Mirabello”. Nel 1924 il Ministero della Marina era retto da Paolo Ignazio Maria Thaon di Revel (l’anno successivo sarebbe passato a Benito Mussolini), il Ministero degli Esteri era retto da Benito Mussolini, mentre il Capo del Governo era Benito Mussolini. Il sistema migliore per evitare incomprensioni e per sveltire le pratiche... Nel 1924 il Regio Esploratore “Mirabello” aveva raggiunto località dell’Europa del Nord in una crociera dimostrativa e l’idea era quella di ripetere l’esperienza con un numero maggiore di navi. Fu quindi allestita la Squadriglia “Pantera”. L’Amni di Taranto scrive: “La Squadriglia “Pantera” entrata in servizio alla fine dell’estate 1924, era quella che, per autonomia, efficienza e tenuta del mare, dava maggiore affidabilità e garanzie di riuscita nell’affrontare i cangianti umori dei Mari nordici. L’Ordine d’Operazioni prevedeva che, nella navigazione d’andata, fossero toccati i porti di Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Russia, Estonia, e Lettonia. Nella traversata di ritorno quelli della Germania, Olanda, Belgio, Francia, ancora Gran Bretagna, Algeria e Tripolitania”. Un gran bel giro! La Regia Nave “Pantera”, definita esploratore leggero e poi riclassificata come cacciatorpediniere, era comandata dal capitano di vascello Domenico Cavagnari. Le altre due unità gemelle che costituivano la squadriglia si chiamavano “Leone” (agli ordini del capitano di fregata Francesco de Orestis di Castelnuovo) e “Tigre” (agli ordini del capitano di fregata Inigo Campioni). “Leone”, “Pantera” e “Tigre“: era ovvio che quel viaggio passasse alla storia come la “crociera delle belve”.

Quella lunga escursione marittima durò più di cinque mesi. Quando il 22 settembre 1925 la squadriglia rientrò a La Spezia, da cui era partita il 4 aprile, aveva percorso 12.000 miglia e aveva attraccato in 30 porti stranieri (Valenza, Almeria, Malaga, Cadice, Lisbona, Vigo, Portsmouth, Bristol, Liverpool, Glasgow, Edimburgo, Stavanger, Oslo, Copenaghen, Leningrado, Helsinki, Tallin (Reval), Riga, Brema, Amsterdam, Gand, Ostenda, Le Havre, Lorient, Nantes, Santander, Gibilterra e Orano). Su una di quelle navi era imbarcato il tenente colonnello del Genio Navale Pierino Pandale, classe 1883 e candelese doc. Parente stretto di Massimo Scanzio Bais, Pierino Pandale, che si era formato alla Scuola Equipaggi di Venezia e che si era fatto un nome come macchinista, ebbe senz’altro modo di raccontare quella avventura alla giovane penna di “Eco di Biella”. L’ufficiale, al quale durante l’ultima guerra erano stati affidati compiti di alta responsabilità sull’Arsenale di Taranto, una volta in pensione risaliva la Penisola ogni anno per trascorrere l’estate a Candelo. Fu forse nei mesi caldi del 1955, sei anni prima di morire, che il tenente colonnello Pandale rievocò quel periodo lontano ormai trent’anni. Il primo evento memorabile riguardava una sigaretta. Durante il ricevimento che l’allora re di Danimarca Cristiano X volle offrire agli ufficiali della piccola flotta italiana, uno dei regali ospiti si avvicinò a Pierino Pandale chiedendogli in perfetto italiano una “Macedonia”, ossia una delle sigarette italiane di maggior diffusione tra la borghesia (meno micidiali delle “Nazionali” e delle “Popolari”). Sorpreso dalla richiesta e, soprattutto, dall’udirla nella sua lingua, il maggiore Pandale estrasse di tasca il pacchetto morbido e porse la “Macedonia” al giovane alto e dinoccolato che aveva di fronte. Ne nacque una breve chiacchierata con il danese, che era il principe Christian Frederik Franz Michael Carl Valdemar Georg (1899-1972), che salì poi al trono come Federico IX nel 1947. Il futuro re di Danimarca aveva studiato all’Accademia di Livorno ed era innamorato dell’Italia. Tanto da saper riconoscere l’accento piemontese nella voce dell’attonito ufficiale di macchina. A quel punto il principe, avuta conferma della sua intuizione, non espresse come ci si poteva aspettare visto il rango e il sito un dubbio amletico, ma assai più prosaicamente volle la ricetta della bagna cauda. E non solo: quando Pierino Pandale disse di essere biellese fece brillare gli occhi di Christian Frederik Franz Michael Carl Valdemar Georg che affermò di aver visitato Biella in incognito e di essere salito a Oropa come un semplice turista. Del santuario della Madonna Nera si ricordava più che altro la polenta concia (che Sua Altezza Reale tentò di pronunciare in dialetto con risultati non proprio eccezionali) e non si fece scrupoli nel chiedere la ricetta anche di quel piatto.

Ma il primogenito di Cristiano X dimostrò di essere non solo un buongustaio, ma anche un attento osservatore. Confidò al sempre più basito interlocutore di essersi stupito dell’operosità industriale della nostra città e delle sue vallate, ma di non aver capito la ragione della marchiatura “made in England” delle stoffe nostrane. Bella domanda... La questione del tessile biellese spacciato per inglese tornò a galla nel prosieguo del viaggio. Sulla via del ritorno sbarcarono in Scozia. All’epoca il tessuto scozzese andava per la maggiore in Italia e a Edimburgo i marinai delle “tre belve” erano intenzionati a procurarsene una scorta, contando sul fatto che lassù i prezzi fossero più accessibili. Rimasero, invece, piuttosto delusi. Il tessuto scozzese nella capitale della Scozia non c’era. Panni in tinta unita o spigati campeggiavano in tutte le vetrine. E una di queste, in pieno centro, vendeva solo stoffa “made in Biella” delle migliori marche. A prezzi doppi rispetto a quelli italiani. La doppia parentesi tessile fu solo un aspetto di quell’intenso e indimenticabile percorso. La buona memoria di Pierino Pandale non tralasciò di segnalare l’episodio poco piacevole di Leningrado. La nutrita colonia italiana residente nella vecchia San Pietroburgo fu invitata sul “Pantera” per una festa tra compatrioti. Al termine del ricevimento, una volta scesi a terra, gli invitati furono tutti tratti in arresto dalle zelanti autorità sovietiche che, con tutta evidenza, non avevano gradito quel contatto con gli emissari di una nazione occidentale non comunista e addirittura monarchica. A Tallin le cose andarono diversamente anche se la rappresentanza italiana in terra lettone era costituita da una sola persona, guarda caso una signora biellese, ossia una Boggio Lero di Lessona. Pierino Pandale, cui la parte gastronomica della vita doveva essere particolarmente cara, non lesinò critiche alla perfida Albione accrescendo il cospicuo novero di coloro che sostengono che in Gran Bretagna si mangia malissimo. A Londra fu il primo ministro Stanley Baldwin (nell’articolo del ‘55 è indicato Neville Chamberlain, ma si tratta di una svista) a invitare a pranzo i tre comandanti e gli ufficiali più alti in grado. Fu uno strazio. Il servizio scadente, il cibo scarso e tremendo.

Sopravvissuto a quel supplizio alimentare, l’esperto Pandale si mise al timone di un (de)nutrito drappello di affamati marinai e li condusse in un porto sicuro, ovvero alla trattoria di un certo Alessandro Scanzio, anche lui di Candelo, che a pochi passi dal 10 di Downing Street serviva veri maccheroni e vero barbera. Stando alla testimonianza resa dal macchinista l’etichetta non fu più tanto rigida e anche i capitani si allacciarono il tovagliolo al collo e piantarono i gomiti sul tavolo per far onore alle portate abbondanti e tipiche della Patria lontana. Pierino Pandale ai tempi della crociera nel Mare del Nord e nel Baltico era già stato nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia su proposta del Ministro della Marina in data 2 giugno 1924 e fu poi elevato al rango di ufficiale del medesimo ordine dallo stesso ministro in data 27 ottobre 1934. A 55 anni, il 17 giugno 1938, fu collocato in aspettativa per “riduzione di quadri”, ma il suo stato di riposo, per ovvi motivi, non durò a lungo visto che l’Italia entrò in guerra due anni dopo.

Come detto, gli fu assegnata la gestione dell’Arsenale di Taranto. Morì nel 1961 e fu sepolto nella tomba di famiglia a Candelo. Un ultimo fatto gli era rimasto in mente di quella marziale ma pacifica “sfilata” nautica del 1925. Avvenne a Copenaghen, appena prima dell’incontro con il principe goloso di bagna cauda e di polenta concia. L’equipaggio dei tre esploratori leggeri aveva scoperto il “Tivoli”, il giardino pubblico e parco di divertimenti famoso in tutto il mondo. All’interno della più nota attrazione della capitale danese gli stessi marinai si erano rivelati dei ludopatici. In Italia non esistevano ancora le “macchinette” in cui inserire spiccioli per azionare la leva che avrebbe consegnato una tavoletta di cioccolata, una gomma da masticare o una piccola “sorpresa”. Divenne una mania, specialmente quando i militari italiani scoprirono che le suddette “macchinette” non funzionavano solo con corone danesi, ma anche con soldini da cinque centesimi di lira. Non riuscivano a smettere, ma con quella trovata degna solo di noi italiani si stava frodando il fisco dell’integerrimo Regno di Danimarca. A bordo si cedeva una monetina contro una lira intera e il “cambio” andava crescendo fino a quando gli ufficiali si accorsero del fenomeno (o magari c’erano dentro anche loro?) e decisero di vederci chiaro. La verità si manifestò sotto forma di cassette piene di vile conio italiano al posto di pregiata valuta locale. La direzione del “Tivoli” accettò le scuse del comandante Cavagnari e con esse circa 12.000 lire, cioè la differenza conteggiata tra quello sarebbe dovuto essere l’incasso corretto e il più misero effetto della “furbata” dei commilitoni del maggiore Pandale. Secondo quest’ultimo “la marachella dei marinai aveva destato il divertito stupore dei danesi” e una certa invidia per la capacità di adattamento degli italiani, oltre che per l’onestà degli ufficiali nel denunciare per primi e nel riconoscere la propria colpa.
Danilo Craveia

Dichiaro subito che questa non è una storia “nuova” come quelle che solitamente si leggono su queste pagine. Questa storia è già stata raccontata proprio su questo giornale, ma qualche anno fa, il 14 novembre 1955. L’articolo cui faccio riferimento non era firmato, ma è del tutto plausibile che sia stato scritto da Massimino Scanzio Bais (1919-2001), il noto autore di “Dai acqua!” e di altre opere di interesse storico locale. L’attribuzione al divulgatore candelese è poi suffragata anche da elementi di contesto: in effetti la simpatica vicenda in oggetto ha nessi forti con Candelo e vincoli parentali con lo stesso Scanzio Bais. Detto questo è altresì probabile che anche qualcun altro abbia avuto modo di richiamare in altre occasioni gli eventi che mi appresto a riproporre, ma tali avvenimenti costituiscono un insieme troppo curioso per non meritare un remake. Questa è una storia di mare, anzi di marinai, avvenuta circa un secolo fa. Dobbiamo infatti tornare alla metà degli anni Venti, in un clima di euforia per la grande considerazione di cui godeva da più lustri la Regia Marina. Le navi da guerra italiane erano ritenute fin dalla fine dell’Ottocento tra le migliori del mondo sotto tutti i punti di vista e con giusto orgoglio non si perdeva occasione di farne sfoggio in ogni dove. A titolo di premessa e per cogliere il milieu in cui si svolsero i fatti cito quanto riportato sul sito del Gruppo di Taranto dell’Anmi Associazione Nazionale Marinai d’Italia: “Sull’onda dei lusinghieri successi politici e positivi commenti della stampa estera sulle Crociere del 1924, il Ministro degli Esteri, in accordo con quello della Marina, sostenne presso il Capo del Governo l’opportunità di “mostrare Bandiera” nei porti non visitati dal R. Esploratore Mirabello”. Nel 1924 il Ministero della Marina era retto da Paolo Ignazio Maria Thaon di Revel (l’anno successivo sarebbe passato a Benito Mussolini), il Ministero degli Esteri era retto da Benito Mussolini, mentre il Capo del Governo era Benito Mussolini. Il sistema migliore per evitare incomprensioni e per sveltire le pratiche... Nel 1924 il Regio Esploratore “Mirabello” aveva raggiunto località dell’Europa del Nord in una crociera dimostrativa e l’idea era quella di ripetere l’esperienza con un numero maggiore di navi. Fu quindi allestita la Squadriglia “Pantera”. L’Amni di Taranto scrive: “La Squadriglia “Pantera” entrata in servizio alla fine dell’estate 1924, era quella che, per autonomia, efficienza e tenuta del mare, dava maggiore affidabilità e garanzie di riuscita nell’affrontare i cangianti umori dei Mari nordici. L’Ordine d’Operazioni prevedeva che, nella navigazione d’andata, fossero toccati i porti di Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Russia, Estonia, e Lettonia. Nella traversata di ritorno quelli della Germania, Olanda, Belgio, Francia, ancora Gran Bretagna, Algeria e Tripolitania”. Un gran bel giro! La Regia Nave “Pantera”, definita esploratore leggero e poi riclassificata come cacciatorpediniere, era comandata dal capitano di vascello Domenico Cavagnari. Le altre due unità gemelle che costituivano la squadriglia si chiamavano “Leone” (agli ordini del capitano di fregata Francesco de Orestis di Castelnuovo) e “Tigre” (agli ordini del capitano di fregata Inigo Campioni). “Leone”, “Pantera” e “Tigre“: era ovvio che quel viaggio passasse alla storia come la “crociera delle belve”.

Quella lunga escursione marittima durò più di cinque mesi. Quando il 22 settembre 1925 la squadriglia rientrò a La Spezia, da cui era partita il 4 aprile, aveva percorso 12.000 miglia e aveva attraccato in 30 porti stranieri (Valenza, Almeria, Malaga, Cadice, Lisbona, Vigo, Portsmouth, Bristol, Liverpool, Glasgow, Edimburgo, Stavanger, Oslo, Copenaghen, Leningrado, Helsinki, Tallin (Reval), Riga, Brema, Amsterdam, Gand, Ostenda, Le Havre, Lorient, Nantes, Santander, Gibilterra e Orano). Su una di quelle navi era imbarcato il tenente colonnello del Genio Navale Pierino Pandale, classe 1883 e candelese doc. Parente stretto di Massimo Scanzio Bais, Pierino Pandale, che si era formato alla Scuola Equipaggi di Venezia e che si era fatto un nome come macchinista, ebbe senz’altro modo di raccontare quella avventura alla giovane penna di “Eco di Biella”. L’ufficiale, al quale durante l’ultima guerra erano stati affidati compiti di alta responsabilità sull’Arsenale di Taranto, una volta in pensione risaliva la Penisola ogni anno per trascorrere l’estate a Candelo. Fu forse nei mesi caldi del 1955, sei anni prima di morire, che il tenente colonnello Pandale rievocò quel periodo lontano ormai trent’anni. Il primo evento memorabile riguardava una sigaretta. Durante il ricevimento che l’allora re di Danimarca Cristiano X volle offrire agli ufficiali della piccola flotta italiana, uno dei regali ospiti si avvicinò a Pierino Pandale chiedendogli in perfetto italiano una “Macedonia”, ossia una delle sigarette italiane di maggior diffusione tra la borghesia (meno micidiali delle “Nazionali” e delle “Popolari”). Sorpreso dalla richiesta e, soprattutto, dall’udirla nella sua lingua, il maggiore Pandale estrasse di tasca il pacchetto morbido e porse la “Macedonia” al giovane alto e dinoccolato che aveva di fronte. Ne nacque una breve chiacchierata con il danese, che era il principe Christian Frederik Franz Michael Carl Valdemar Georg (1899-1972), che salì poi al trono come Federico IX nel 1947. Il futuro re di Danimarca aveva studiato all’Accademia di Livorno ed era innamorato dell’Italia. Tanto da saper riconoscere l’accento piemontese nella voce dell’attonito ufficiale di macchina. A quel punto il principe, avuta conferma della sua intuizione, non espresse come ci si poteva aspettare visto il rango e il sito un dubbio amletico, ma assai più prosaicamente volle la ricetta della bagna cauda. E non solo: quando Pierino Pandale disse di essere biellese fece brillare gli occhi di Christian Frederik Franz Michael Carl Valdemar Georg che affermò di aver visitato Biella in incognito e di essere salito a Oropa come un semplice turista. Del santuario della Madonna Nera si ricordava più che altro la polenta concia (che Sua Altezza Reale tentò di pronunciare in dialetto con risultati non proprio eccezionali) e non si fece scrupoli nel chiedere la ricetta anche di quel piatto.

Ma il primogenito di Cristiano X dimostrò di essere non solo un buongustaio, ma anche un attento osservatore. Confidò al sempre più basito interlocutore di essersi stupito dell’operosità industriale della nostra città e delle sue vallate, ma di non aver capito la ragione della marchiatura “made in England” delle stoffe nostrane. Bella domanda... La questione del tessile biellese spacciato per inglese tornò a galla nel prosieguo del viaggio. Sulla via del ritorno sbarcarono in Scozia. All’epoca il tessuto scozzese andava per la maggiore in Italia e a Edimburgo i marinai delle “tre belve” erano intenzionati a procurarsene una scorta, contando sul fatto che lassù i prezzi fossero più accessibili. Rimasero, invece, piuttosto delusi. Il tessuto scozzese nella capitale della Scozia non c’era. Panni in tinta unita o spigati campeggiavano in tutte le vetrine. E una di queste, in pieno centro, vendeva solo stoffa “made in Biella” delle migliori marche. A prezzi doppi rispetto a quelli italiani. La doppia parentesi tessile fu solo un aspetto di quell’intenso e indimenticabile percorso. La buona memoria di Pierino Pandale non tralasciò di segnalare l’episodio poco piacevole di Leningrado. La nutrita colonia italiana residente nella vecchia San Pietroburgo fu invitata sul “Pantera” per una festa tra compatrioti. Al termine del ricevimento, una volta scesi a terra, gli invitati furono tutti tratti in arresto dalle zelanti autorità sovietiche che, con tutta evidenza, non avevano gradito quel contatto con gli emissari di una nazione occidentale non comunista e addirittura monarchica. A Tallin le cose andarono diversamente anche se la rappresentanza italiana in terra lettone era costituita da una sola persona, guarda caso una signora biellese, ossia una Boggio Lero di Lessona. Pierino Pandale, cui la parte gastronomica della vita doveva essere particolarmente cara, non lesinò critiche alla perfida Albione accrescendo il cospicuo novero di coloro che sostengono che in Gran Bretagna si mangia malissimo. A Londra fu il primo ministro Stanley Baldwin (nell’articolo del ‘55 è indicato Neville Chamberlain, ma si tratta di una svista) a invitare a pranzo i tre comandanti e gli ufficiali più alti in grado. Fu uno strazio. Il servizio scadente, il cibo scarso e tremendo.

Sopravvissuto a quel supplizio alimentare, l’esperto Pandale si mise al timone di un (de)nutrito drappello di affamati marinai e li condusse in un porto sicuro, ovvero alla trattoria di un certo Alessandro Scanzio, anche lui di Candelo, che a pochi passi dal 10 di Downing Street serviva veri maccheroni e vero barbera. Stando alla testimonianza resa dal macchinista l’etichetta non fu più tanto rigida e anche i capitani si allacciarono il tovagliolo al collo e piantarono i gomiti sul tavolo per far onore alle portate abbondanti e tipiche della Patria lontana. Pierino Pandale ai tempi della crociera nel Mare del Nord e nel Baltico era già stato nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia su proposta del Ministro della Marina in data 2 giugno 1924 e fu poi elevato al rango di ufficiale del medesimo ordine dallo stesso ministro in data 27 ottobre 1934. A 55 anni, il 17 giugno 1938, fu collocato in aspettativa per “riduzione di quadri”, ma il suo stato di riposo, per ovvi motivi, non durò a lungo visto che l’Italia entrò in guerra due anni dopo.

Come detto, gli fu assegnata la gestione dell’Arsenale di Taranto. Morì nel 1961 e fu sepolto nella tomba di famiglia a Candelo. Un ultimo fatto gli era rimasto in mente di quella marziale ma pacifica “sfilata” nautica del 1925. Avvenne a Copenaghen, appena prima dell’incontro con il principe goloso di bagna cauda e di polenta concia. L’equipaggio dei tre esploratori leggeri aveva scoperto il “Tivoli”, il giardino pubblico e parco di divertimenti famoso in tutto il mondo. All’interno della più nota attrazione della capitale danese gli stessi marinai si erano rivelati dei ludopatici. In Italia non esistevano ancora le “macchinette” in cui inserire spiccioli per azionare la leva che avrebbe consegnato una tavoletta di cioccolata, una gomma da masticare o una piccola “sorpresa”. Divenne una mania, specialmente quando i militari italiani scoprirono che le suddette “macchinette” non funzionavano solo con corone danesi, ma anche con soldini da cinque centesimi di lira. Non riuscivano a smettere, ma con quella trovata degna solo di noi italiani si stava frodando il fisco dell’integerrimo Regno di Danimarca. A bordo si cedeva una monetina contro una lira intera e il “cambio” andava crescendo fino a quando gli ufficiali si accorsero del fenomeno (o magari c’erano dentro anche loro?) e decisero di vederci chiaro. La verità si manifestò sotto forma di cassette piene di vile conio italiano al posto di pregiata valuta locale. La direzione del “Tivoli” accettò le scuse del comandante Cavagnari e con esse circa 12.000 lire, cioè la differenza conteggiata tra quello sarebbe dovuto essere l’incasso corretto e il più misero effetto della “furbata” dei commilitoni del maggiore Pandale. Secondo quest’ultimo “la marachella dei marinai aveva destato il divertito stupore dei danesi” e una certa invidia per la capacità di adattamento degli italiani, oltre che per l’onestà degli ufficiali nel denunciare per primi e nel riconoscere la propria colpa.
Danilo Craveia

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