Monsignor Leto, quel vescovo accolto con le odi

Monsignor Leto, quel vescovo accolto con le odi
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Il 3 marzo 2012, dalle colonne dell'Eco di Biella, ci facevamo un’idea di come fosse stato accolto il neo-eletto vescovo della rinata Diocesi di Biella, frate Bernardino Bollati, nell’aprile del 1819. Dopo quattro anni, senza rischio di annoiarci, possiamo tornare sull’argomento, ma cambiando presule, ovvero soffermandoci sull’arrivo di un successore del Bollati: Basilio Leto che nel 1819, il 29 settembre, nasceva in quel di Masserano. Per chi mastica un po’ della storia nostrana, il nome di monsignor Leto evoca subito due scenari complicati quanto interessanti. Il primo riguarda il fatto di aver preso possesso della Diocesi di Biella dopo monsignor Losana, il che, con il dovuto rispetto e senza fare paragoni fin troppo scontati in ambito ecclesiastico, era un po’ come ereditare la panchina di Mourinho dopo il triplete dell’Inter o, se volete un parallelo di piu? alto profilo, come prendere il posto di Pertini al Quirinale. Il rischio di non risultare all’altezza, anche e soprattutto davanti all’inflessibile tribunale della Storia, era assai elevato. Il secondo e? relativo al celeberrimo quanto infelice divieto di accesso (decretato nel 1874) alle bandiere delle societa? operaie nelle chiese per le funzioni religiose, specie in occasione di esequie di soci defunti.

Con l’aria che tirava, il vescovo non solo vide calare la frequenza ai sacramenti, ma vide anche aumentare le cerimonie civili e la distanza gia? notevole tra i lavoratori “rossi” e la Chiesa. Possiamo dire che, senza andar troppo per il sottile, monsignor Leto ebbe modo di concretizzare il primo rischio con il secondo decreto, il tutto per passare ai posteri come uno dei peggiori pastori che il gregge biellese si sia mai meritato. Ovviamente l’episcopato di chi subentro? a monsignor Losana fu molto meno negativo di quanto possa apparire e chi lo ha “conosciuto” meglio sa che la sentenza non e? solo ardua, ma anche in buona parte ingiusta. In ogni caso, quest’oggi, non ci preme riabilitarne la memoria, bensi? richiamare il momento del suo insediamento. Basilio Leto, laureatosi in teologia nel 1845, prese possesso della grande parrocchia di Trino Vercellese nello stesso anno e vi rimase fino alla nomina episcopale a Biella 28 anni dopo. Si ritiro? alla fine del 1885 e mori? a Torino nel 1896. Saliva a Biella per prendere il timone di una nave che attraversava acque agitate, per non dire tempestose. L’ottantenne suo predecessore, morto il 15 febbraio 1873, aveva navigato bene, spesso a vista, con istinto e intelligenza non comuni (doti che il Leto aveva, invece, comuni affatto) e passava idealmente la barra al nuovo timoniere privo di bussola e di carte, con cielo coperto, in una notte senza stelle. Eppure, vuoi per esercizio di stile, vuoi per buone maniere, vuoi per vera speranza, monsignor Leto fu accolto con tutti gli onori.

Forse c’era, nei piu? giovani, il desiderio di cambiare registro con un viso diverso da quello severo di quel fin troppo infallibile vecchio brontolone che era diventato monsignor Losana. Forse, nelle anime piu? belle, c’era anche l’illusione che il livello gia? eccelso potesse addirittura crescere. Forse, nei piu? avveduti, c’era solo la paura di ritrovarsi al cospetto di un uomo di statura normale e non di quel gigante che, quando la burrasca saliva, sapeva prendersi il Biellese sulle spalle e condurlo a riva. In un clima del genere nacque l’idea di ricevere monsignor Leto con un ricco spiegamento di parole ben augurali, auliche, autentiche poesie e prose degne di pontefici e sovrani. I vari componimenti, che adesso andiamo a (ri)scoprire, furono poi raccolti in un libercolo che i torchi dell’immancabile tipolitografo Giuseppe Amosso consegnarono alle generazioni seguenti. In copertina lo stemma semplice del vescovo al motto di “Laetitia” che il cognome
del masseranese riecheggiava. In frontespizio la data, la dedica e il motivo: “A Monsignor Basilio Leto novello vescovo di Biella nel di? del faustissimo ingresso alla sua sede 7 Settembre 1873 il Capitolo della Cattedrale, il Clero della Citta? e Diocesi”. Seguono un’ottantina di pagine contenenti allocuzioni, discorsi, canzoni, sonetti, odi, carmi e versi, inni, epigrafi e iscrizioni. E un’avvertenza: “Molte altre poesie vennero presentate per la stampa, a cui non si pote? dar luogo in questa raccolta, stante la loro molteplicita?. Esse furono inserite manoscritte in apposito Album offerto pure a Monsignor Vescovo”. A cernere e a metter ordine nella massa informe di cotanti tributi fu una Commissione Capitolare composta dai canonici Davide Riccardi, Pietro Magnani, Pietro Tarino e Pietro Berizzi. Ben venti furono coloro che vollero omaggiare il “novello vescovo”, chi persino con un doppio scritto.

Non ci resta quindi che sfogliare e cogliere qualche petalo da tanti fiori. Al decano can. Fortunato Bora tocco? iniziare con l’allocuzione. Non troppi fronzoli e un invito quasi scaramantico a durare a lungo: “Voi siete il quarto Vescovo di Biella, al cui solenne ingresso assisto... Che io non abbia piu? da assistere alla venuta di alcun altro!”. All’epoca di quella prolusione il canonico Bora aveva 72 anni e fu esaudito: mori? 5 anni dopo con monsignor Leto ancora in episcopio. A seguire il canonico Davide Riccardi, che scomodo? la lingua di Cicerone con un elegante: “Hisce humanis, maxime vero divinis auxiliis fretus excelsum magisterium tuum adgredi jam non verearis”. Piu? o meno alla lettera: “Affidati fiducioso agli aiuti umani e, a maggior ragione, a quelli divini perche? tu non debba temere l’alto magistero cui vai ad accingerti”. Monsignor Leto poteva stare tranquillo: erano tutti con lui. Dopo i due scritti in prosa ecco il “Serto poetico” la cui prima parte si intitola “L’apostolato cristiano”, ovvero il “Carme che il Capitolo della Cattedrale  di professori del Seminario dedicano all’amatissimo e novello loro pastore”. In calce alla lunga “canzone” si coglie la firma di don Antonio Cinquino che volle cosi? l’ultima strofa: “Or tu, Basilio, cui la fonte Iddio/ Segno? del Crisma (...)/ Vieni fidente, e spera./ Sotto il Biellese tetto/ Ardon nobili sensi in ogni petto:/ Qui, in mezzo al moto ardente/ Dell’astri industri, brilla/ Di religion l’immortal favilla;/ Che? la Vergin gloriosa/ Dall’Orope?e pendici/ Su noi veglia amorosa/ Ed arti e fede viver fa sorelle./ Vieni... desiosi T’attendiam; al tempio/ Devoti moveremo la parola/ Che avviva, e che consola,/ Ad ascoltar dal tuo paterno labbro:/ Nuovo Mose?, Tu per l’Orebbe ascendi,/ E pe’ tuoi figli al cielo/ Ognor le braccia supplicanti stendi;/ Ne? la spietata guerra,/ Che move a Dio l’errore,/ Mai non infesti la Biellese terra;/ Ma brilli in ogni core/ Ognor la pura, immacolata face/ Di veritade e pace”.

Il susseguente sonetto e? del canonico Tarino che in una nota spiego? come il termine Basilio in greco significasse, oltre che re o sovrano, anche pastore. Nomen omen, ver- rebbe a dire, visto che gli agnelli biellesi attendevano una lieta guida. Ecco allora i tre versi finali: “Il nome tuo ben ci impromette, o Leto/ Che un giorno al fin del greg- ge e del pastore/ Sara? nel Ciel ogni desir completo”. Quella del canonico Tua e? un’ode saffica, nella quale il nuovo vescovo, scelto tra il clero eusebiano, e? descritto in que- sti termini: “Egli e? Basilio, gia? al ceto unito/ De’ figli d’Eu- sebio, Ei fu l’esempio/ De’ suoi coevi, di virtu? fornito/ L’atterrator dell’empio”.

Il teologo canonico Gio- vanni Battista Ramella uti- lizzo? nel suo sonetto la metafora marinara per rivolgere il suo saluto e un pensiero al defunto monsignor Losana: “Mentre era il Cielo irato e discorrea/ Minaccioso lo Spirito di procella/ La fidente Biellese navicella/ Il suo vecchio Piloto, ahime?, perdea!/ Voce del Sommo Pio allor dicea:/ Vanne, o Leto, nocchiero alla mia Biella,/ E non temer: del mar benigna stella/ T’arridera? la Vergine Oropea”. Anche il prevosto di Coggiola e Pray, don Costantino Cigolini, fece cenno al vescovo precedente invitando “a lagrimare sull’esangue spoglia/ Anco una volta del Pastore amato”. Sulla stessa nota don Annibale Viola, vicario di Carisio, con la sua ode: “Tu dunque la gramaglia,/ O Sionne, alfin deponi;/ Il lutto lascia e il gemito,/ A gioia ti componi;/ E’ Leto il nuovo Antistite,/ Letizia a noi porto?”. E si potrebbe procedere su questa falsariga fino all’ultima pagina dell’opuscolo, promesse d’affetto, segni d’entusiasmo e continue rassicurazioni che, a forza di ripetersi, potevano sortire l’effetto contrario. Avesse saputo, ante e non post, il povero Basilio Leto che cosa il destino gli avrebbe riservato e quanta responsabilita? a suon di rime e latinorum gli stavano addossando...
Danilo Craveia 

Il 3 marzo 2012, dalle colonne dell'Eco di Biella, ci facevamo un’idea di come fosse stato accolto il neo-eletto vescovo della rinata Diocesi di Biella, frate Bernardino Bollati, nell’aprile del 1819. Dopo quattro anni, senza rischio di annoiarci, possiamo tornare sull’argomento, ma cambiando presule, ovvero soffermandoci sull’arrivo di un successore del Bollati: Basilio Leto che nel 1819, il 29 settembre, nasceva in quel di Masserano. Per chi mastica un po’ della storia nostrana, il nome di monsignor Leto evoca subito due scenari complicati quanto interessanti. Il primo riguarda il fatto di aver preso possesso della Diocesi di Biella dopo monsignor Losana, il che, con il dovuto rispetto e senza fare paragoni fin troppo scontati in ambito ecclesiastico, era un po’ come ereditare la panchina di Mourinho dopo il triplete dell’Inter o, se volete un parallelo di piu? alto profilo, come prendere il posto di Pertini al Quirinale. Il rischio di non risultare all’altezza, anche e soprattutto davanti all’inflessibile tribunale della Storia, era assai elevato. Il secondo e? relativo al celeberrimo quanto infelice divieto di accesso (decretato nel 1874) alle bandiere delle societa? operaie nelle chiese per le funzioni religiose, specie in occasione di esequie di soci defunti.

Con l’aria che tirava, il vescovo non solo vide calare la frequenza ai sacramenti, ma vide anche aumentare le cerimonie civili e la distanza gia? notevole tra i lavoratori “rossi” e la Chiesa. Possiamo dire che, senza andar troppo per il sottile, monsignor Leto ebbe modo di concretizzare il primo rischio con il secondo decreto, il tutto per passare ai posteri come uno dei peggiori pastori che il gregge biellese si sia mai meritato. Ovviamente l’episcopato di chi subentro? a monsignor Losana fu molto meno negativo di quanto possa apparire e chi lo ha “conosciuto” meglio sa che la sentenza non e? solo ardua, ma anche in buona parte ingiusta. In ogni caso, quest’oggi, non ci preme riabilitarne la memoria, bensi? richiamare il momento del suo insediamento. Basilio Leto, laureatosi in teologia nel 1845, prese possesso della grande parrocchia di Trino Vercellese nello stesso anno e vi rimase fino alla nomina episcopale a Biella 28 anni dopo. Si ritiro? alla fine del 1885 e mori? a Torino nel 1896. Saliva a Biella per prendere il timone di una nave che attraversava acque agitate, per non dire tempestose. L’ottantenne suo predecessore, morto il 15 febbraio 1873, aveva navigato bene, spesso a vista, con istinto e intelligenza non comuni (doti che il Leto aveva, invece, comuni affatto) e passava idealmente la barra al nuovo timoniere privo di bussola e di carte, con cielo coperto, in una notte senza stelle. Eppure, vuoi per esercizio di stile, vuoi per buone maniere, vuoi per vera speranza, monsignor Leto fu accolto con tutti gli onori.

Forse c’era, nei piu? giovani, il desiderio di cambiare registro con un viso diverso da quello severo di quel fin troppo infallibile vecchio brontolone che era diventato monsignor Losana. Forse, nelle anime piu? belle, c’era anche l’illusione che il livello gia? eccelso potesse addirittura crescere. Forse, nei piu? avveduti, c’era solo la paura di ritrovarsi al cospetto di un uomo di statura normale e non di quel gigante che, quando la burrasca saliva, sapeva prendersi il Biellese sulle spalle e condurlo a riva. In un clima del genere nacque l’idea di ricevere monsignor Leto con un ricco spiegamento di parole ben augurali, auliche, autentiche poesie e prose degne di pontefici e sovrani. I vari componimenti, che adesso andiamo a (ri)scoprire, furono poi raccolti in un libercolo che i torchi dell’immancabile tipolitografo Giuseppe Amosso consegnarono alle generazioni seguenti. In copertina lo stemma semplice del vescovo al motto di “Laetitia” che il cognome
del masseranese riecheggiava. In frontespizio la data, la dedica e il motivo: “A Monsignor Basilio Leto novello vescovo di Biella nel di? del faustissimo ingresso alla sua sede 7 Settembre 1873 il Capitolo della Cattedrale, il Clero della Citta? e Diocesi”. Seguono un’ottantina di pagine contenenti allocuzioni, discorsi, canzoni, sonetti, odi, carmi e versi, inni, epigrafi e iscrizioni. E un’avvertenza: “Molte altre poesie vennero presentate per la stampa, a cui non si pote? dar luogo in questa raccolta, stante la loro molteplicita?. Esse furono inserite manoscritte in apposito Album offerto pure a Monsignor Vescovo”. A cernere e a metter ordine nella massa informe di cotanti tributi fu una Commissione Capitolare composta dai canonici Davide Riccardi, Pietro Magnani, Pietro Tarino e Pietro Berizzi. Ben venti furono coloro che vollero omaggiare il “novello vescovo”, chi persino con un doppio scritto.

Non ci resta quindi che sfogliare e cogliere qualche petalo da tanti fiori. Al decano can. Fortunato Bora tocco? iniziare con l’allocuzione. Non troppi fronzoli e un invito quasi scaramantico a durare a lungo: “Voi siete il quarto Vescovo di Biella, al cui solenne ingresso assisto... Che io non abbia piu? da assistere alla venuta di alcun altro!”. All’epoca di quella prolusione il canonico Bora aveva 72 anni e fu esaudito: mori? 5 anni dopo con monsignor Leto ancora in episcopio. A seguire il canonico Davide Riccardi, che scomodo? la lingua di Cicerone con un elegante: “Hisce humanis, maxime vero divinis auxiliis fretus excelsum magisterium tuum adgredi jam non verearis”. Piu? o meno alla lettera: “Affidati fiducioso agli aiuti umani e, a maggior ragione, a quelli divini perche? tu non debba temere l’alto magistero cui vai ad accingerti”. Monsignor Leto poteva stare tranquillo: erano tutti con lui. Dopo i due scritti in prosa ecco il “Serto poetico” la cui prima parte si intitola “L’apostolato cristiano”, ovvero il “Carme che il Capitolo della Cattedrale  di professori del Seminario dedicano all’amatissimo e novello loro pastore”. In calce alla lunga “canzone” si coglie la firma di don Antonio Cinquino che volle cosi? l’ultima strofa: “Or tu, Basilio, cui la fonte Iddio/ Segno? del Crisma (...)/ Vieni fidente, e spera./ Sotto il Biellese tetto/ Ardon nobili sensi in ogni petto:/ Qui, in mezzo al moto ardente/ Dell’astri industri, brilla/ Di religion l’immortal favilla;/ Che? la Vergin gloriosa/ Dall’Orope?e pendici/ Su noi veglia amorosa/ Ed arti e fede viver fa sorelle./ Vieni... desiosi T’attendiam; al tempio/ Devoti moveremo la parola/ Che avviva, e che consola,/ Ad ascoltar dal tuo paterno labbro:/ Nuovo Mose?, Tu per l’Orebbe ascendi,/ E pe’ tuoi figli al cielo/ Ognor le braccia supplicanti stendi;/ Ne? la spietata guerra,/ Che move a Dio l’errore,/ Mai non infesti la Biellese terra;/ Ma brilli in ogni core/ Ognor la pura, immacolata face/ Di veritade e pace”.

Il susseguente sonetto e? del canonico Tarino che in una nota spiego? come il termine Basilio in greco significasse, oltre che re o sovrano, anche pastore. Nomen omen, ver- rebbe a dire, visto che gli agnelli biellesi attendevano una lieta guida. Ecco allora i tre versi finali: “Il nome tuo ben ci impromette, o Leto/ Che un giorno al fin del greg- ge e del pastore/ Sara? nel Ciel ogni desir completo”. Quella del canonico Tua e? un’ode saffica, nella quale il nuovo vescovo, scelto tra il clero eusebiano, e? descritto in que- sti termini: “Egli e? Basilio, gia? al ceto unito/ De’ figli d’Eu- sebio, Ei fu l’esempio/ De’ suoi coevi, di virtu? fornito/ L’atterrator dell’empio”.

Il teologo canonico Gio- vanni Battista Ramella uti- lizzo? nel suo sonetto la metafora marinara per rivolgere il suo saluto e un pensiero al defunto monsignor Losana: “Mentre era il Cielo irato e discorrea/ Minaccioso lo Spirito di procella/ La fidente Biellese navicella/ Il suo vecchio Piloto, ahime?, perdea!/ Voce del Sommo Pio allor dicea:/ Vanne, o Leto, nocchiero alla mia Biella,/ E non temer: del mar benigna stella/ T’arridera? la Vergine Oropea”. Anche il prevosto di Coggiola e Pray, don Costantino Cigolini, fece cenno al vescovo precedente invitando “a lagrimare sull’esangue spoglia/ Anco una volta del Pastore amato”. Sulla stessa nota don Annibale Viola, vicario di Carisio, con la sua ode: “Tu dunque la gramaglia,/ O Sionne, alfin deponi;/ Il lutto lascia e il gemito,/ A gioia ti componi;/ E’ Leto il nuovo Antistite,/ Letizia a noi porto?”. E si potrebbe procedere su questa falsariga fino all’ultima pagina dell’opuscolo, promesse d’affetto, segni d’entusiasmo e continue rassicurazioni che, a forza di ripetersi, potevano sortire l’effetto contrario. Avesse saputo, ante e non post, il povero Basilio Leto che cosa il destino gli avrebbe riservato e quanta responsabilita? a suon di rime e latinorum gli stavano addossando...
Danilo Craveia 

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