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Uomo del "Palazzo"
La pensione del segretario Marcuzzi

(18 apr) Il segretario del “Palazzo”. L’uomo di fiducia dei presidenti. Nell’ordine: Marsoni, Scanzio e Scaramal. Quarant’anni nella pubblica amministrazione a testa alta, ma senza orgoglio. Paolo Marcuzzi ha la stoffa di un professore all’antica, che non ama le polemiche (dei politici e dei giornalisti), concentrandosi sulla concretezza del suo lavoro: leggi, regolamenti e applicazioni varie.

Uomo del "Palazzo"
La pensione del segretario Marcuzzi

Il segretario del “Palazzo”. L’uomo di fiducia dei presidenti. Nell’ordine: Marsoni, Scanzio e Scaramal. Quarant’anni nella pubblica amministrazione a testa alta, ma senza orgoglio. Paolo Marcuzzi ha la stoffa di un professore all’antica, che non ama le polemiche (dei politici e dei giornalisti), concentrandosi sulla concretezza del suo lavoro: leggi, regolamenti e applicazioni varie. O meglio, ex lavoro. E’ infatti andato in pensione il primo febbraio scorso. Dopodiché la prima cosa che ha fatto è stata comprarsi un biglietto aereo per le isole Maldive, in cui s’è goduto una meritata vacanza. E ora? Fa il nonno, cura l’orto e si tiene aggiornato leggendo il “Sole24ore” e consultando Internet. Friulano di nascita, cresciuto a Roma e biellese d’adozione, Marcuzzi custodisce i segreti di quasi mezzo secolo di vita amministrativa tra Comuni e Provincia. Difende i tanti dipendenti della pubblica amministrazione, spiegando: «Ricordo quando nel 1995 nacque la Provincia di Biella. C’erano ragazzi straordinari con cui si fece un lavoro enorme. Si partiva da zero. Costruimmo pezzo per pezzo un ente complesso come una Provincia, con uffici e competenze diverse. Erano persone preparate e appassionate del proprio mestiere. Dei dipendenti pubblici c’è un’immagine stereotipata. Ricordo quel periodo di lavoro come uno dei più avvincenti della mia vita». Sembrano le parole di coach Luca Bechi, invece, appartengono a un uomo che ha sempre lavorato per Comuni (Cossato, per esempio) o per la Provincia di Biella, tra faldoni da archiviare, pratiche da sbrigare e consulenze da fornire.
A un uomo così, il ministro Brunetta e la sua presunta crociata anti-fannulloni fa un baffo, da sempre. «In Provincia lavorano circa 250 persone, di cui una decina sono super, per impegno e per professionalità e, altrettante, sono invece scansafatiche - spiega Marcuzzi -. Il resto del personale fa il proprio lavoro, con diligenza. La questione è che spesso, paradossalmente, alcune leggi finiscono per tutelare i lavoratori disonesti, quasi illicenziabili, anziché favorire la meritocrazia e quindi i premi per chi fa più del proprio dovere. Negli uffici dove ho lavorato c’erano tante persone meritevoli. Gli armadi della Provincia, al contrario, sono pieni di documenti e di provvedimenti disciplinari contro impiegati che sono venuti meno ai propri doveri, spesso finiti in un nulla di fatto tra ricorsi e appelli. Su questo bisognerebbe intervenire ai più alti livelli politici, per migliorare l’efficienza dei servizi pubblici».
Servizi nei quali Marcuzzi crede quasi ciecamente. «Burocrazia è una parola che sa di lentezza e di disservizi - spiega -. Invece l’apparato burocratico tutela i cittadini, uguali davanti alle leggi. Il lavoro della pubblica amministrazione è una garanzia del rispetto di norme e di procedure. Senza ci sarebbe il libero arbitrio di funzionari o di politici. Ricordo quando iniziai questa carriera, in un piccolissimo Comune della Valsesia, in cui l’unico impiegato era pure messo, guardia e necroforo. Il sindaco era una persona degna, ma a digiuno su ogni aspetto legale. E io avrei potuto fare e disfare quasi a mio piacimento su molte questioni importanti, potendo favorire amici e conoscenti... Il che dovrebbe essere impossibile, per legge... Oggi non è più così, anche perché sindaci e impiegati sono diplomati o laureati».
Nell’ultimo giorno di lavoro, durante il consiglio provinciale, a Marcuzzi è stata consegnata una targa ricordo, che un po’ s’aspettava. Non si aspettava, invece, che la gran parte dei dipendenti provinciali lasciassero le proprie scrivanie per andare nella sala giunta a testimoniargli affetto e stima: con un applauso e un po’ di commozione. Gesti che nella vita di un uomo valgono più di mille parole.

Paolo La Bua

18 aprile 2009

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