L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI

L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI
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Tirate fuori il vostro racconto dal cassetto! E diventate protagonisti della nuova rubrica "L'incipit dei vostri racconti", che Eco di Biella pubblicherà ogni sabato sull'edizione cartacea nel suo inizio. Per leggere il resto del racconto, occorrerà collegarsi al sito nel pomeriggio di sabato. Tutti possono partecipare all'inziativa gratuita, in collaborazione con la casa editrice biellese Lineadaria. Inviate i vostri racconti all'indirizzo lineadariaeditore@gmail.com, la selezione verrà effettuata da Federica Ugliengo.
Buona lettura e buon esordio a tutti nella pagina, già cult per gli appassionati, L'Eco delle Parole.

 

OLEG RITORNA SEMPRE A MOSCA

di MASSIMO BRUSASCO

segue dall'edizione di Eco di Biella in edicola oggi, sabato 22 dicembre

 

Si è tenuto Oleg, clandestinamente, in reparto, restituendolo dopo cinque giorni al ghiaccio della città, dopo avergli amputato qualche falange assiderata e incancrenita, ma preservandogli quel braccio che, invece, un infermiere senza scrupoli avrebbe voluto tranciargli di netto “così non tornerà più a infastidirci. Intanto cosa se ne fa la società di uno così?”.

Alla domanda il medico non ha trovato risposta. Per evitare problemi ulteriori, ha congedato Oleg, dopo avergli offerto una doccia calda utile per cancellare, almeno in parte, lo sporco del passato, e due maglioni spessi, necessari a garantirgli, almeno un po', la sopravvivenza nel futuro.

Se Oleg può ancora sfidare il ghiaccio è per quei giorni in ospedale e i due maglioni nuovi. E così, ancora per un po', eviterà di finire in una delle fosse comuni dove vengono buttati, senza grazia né preghiera, tutti i cadaveri raccattati per strada, spesso da quelli della nettezza urbana, che poi lo fanno sapere agli uffici competenti, presso i quali Interfax va ad attingere le notizie.

Quasi tutti i morti vengono sotterrati, così come prelevati, senza convenevoli. Non c'è un nome, una lapide, una data, un fiore a ricordarli: solo quei numeri diramati dall'agenzia. E il peggio è che queste cifre non riescono a sorprendere nessuno.

Il destino di Oleg, a Mosca, è simile a quello di centinaia di persone, tutte bomzh. Tutte sporche, lerce, con le mani luride, per non dire delle unghie e dei denti, che non sanno sorridere perché non hanno motivi per farlo. Molti sono con la barba ingiallita, i capelli unti, che si fanno beffa di copricapi di pelo o di lana, trovati in chissà quale bidone. E poi maglioni o giubbe, ricettacolo di germi e pidocchi, pantaloni lisi, scuri non si sa quanto per il colore del tessuto, quanto per la sporcizia. Il resto sono scarponi di terza mano e guanti a brandelli.

I bomzh sono così. Di norma rannicchiati, per fare in modo che il corpo tragga calore da se stesso e che gli atomi di tepore vengano dispersi il meno possibile. Li trovi sulle panchine alle fermate dei bus, o su quelle tra la brina dei giardini, dove chi transita lo fa con passo rapido e sguardo fisso in avanti. E' opinione diffusa che soccorrere un bomzh sia una delle cose più inutili. Tutt'al più si lasciano cadere cinque rubli vicino a lui, perché è più sbrigativo e, con poco, ci si può mettere a posto la coscienza. E pazienza se quell'uomo, che a vederlo da lontano pare un mucchio di stracci, non li potrà raccogliere perché è già pronto per la fossa comune e per Interfax.

Oleg è finito così, senza quasi accorgersene. Era uno dell'esercito, uno di quelli che avrebbe voluto combattere per la Patria, senza mai sapere bene quale fosse il fine della sua missione, quale l'impresa da compiere o la terra da conquistare. Nelle notti di guardia, Oleg fissava le stelle del cielo e sognava le stellette sulla giubba, gli onori, la gloria. Sperava di finire nel novero dei grandi condottieri, attendeva, “per fargliela vedere”, un nemico che non arrivava o che forse non c'era o che, se c'era, chissà dove stava.

Poi la sua battaglia è finita, senza neppure iniziare, quando la vecchia Urss ha cambiato nome, estirpato le radici più rosse e cominciato a guardare all'Ovest. Gorbaciov ha preteso il disarmo, ha smantellato l'esercito e Oleg ha deposto il fucile senza riuscire a trovare un altro arnese da maneggiare. Quando è finita la guerra fredda di tutti ha preso avvio, a piccoli passi, la sua guerra col freddo. Sembrerebbe incredibile se non si tenesse conto di sprechi, investimenti sbagliati, di truffe immobiliari, di una disoccupazione arrivata nell'età in cui la 'riconversione nel mondo del lavoro' è solo teoria, tanto più in una Russia spietata dove cominciare a odorare la disgrazia equivale a imboccare la via del non ritorno. E a ritrovarsi in mezzo a una strada ci si mette molto poco, specie se ci si perde nell'abuso di alcolici o se, dopo affari andati male, per poca accortezza o per consigli sbagliati, l'unico riparo garantito è una baracca lontano dalla città, dove pochissimi vanno a vivere perché a Mosca, almeno, qualcuno che lascia cadere cinque rubli c'è. E poi nella metropoli si possono raccogliere bottiglie vuote, che vengono mal pagate da chi le ricicla, e se si è in forze si possono scaricare casse di verdura al mercato, svuotare i treni merci. Infine non mancano in cassonetti in cui frugare.

Se tutto va per il verso giusto, a fine giornata si ha il corrispettivo di venti dollari in tasca e una flebile speranza di vita, il che presuppone che si sia trovata gente generosa o generosi bidoni dell'immondizia. Col denaro, qualcosa da mangiare si recupera, ammesso che non lo si sprechi nel bere, che contribuirà a far sopportare il freddo, ma anche ad alimentare la cirrosi e ad aggiungere un malanno alle malattie congenite che un bomzh, inevitabilmente, porta con sé.

Malattie che nessuno cura e che ti portano, magari non oggi ma domani probabilmente, su quella lista di Interfax che neppure commuove. Oleg resiste, per quel medico, i maglioni nuovi, indossati uno sull'altro, qualche rublo trovato miracolosamente. Ogni tanto va a coricarsi sulle griglie dei condotti d'aria della metropolitana. Da lì esce qualcosa che pare calore e che, comunque, è sempre meglio della neve che imbianca la città e del ghiaccio che la cinge d'assedio. Alcune stazioni della metro di Mosca sono un capolavoro d'arte: ci vanno i turisti ad ammirarle, pagando per divertirsi. I bomzh restano in superficie, a carpire le briciole di caldo, finché dura, sperando di essere ignorati. Perché, a volte, chi si accorge di loro sono pochi misericordiosi, ma più spesso gli skinheads che picchiano duro, senza motivo, o gli agenti chiamati a ripulire la città: accade spesso prima di eventi sportivi, politici, militari, mondani, quando Mosca ha bisogno di mostrarsi al mondo coi lustrini, tirata a lucido. I bomzh allora finiscono su camion spartani, che li scaricano a un centinaio di chilometri dal Cremlino, in mezzo alla campagna, lontano dalle telecamere e dai turisti, dove non possono creare problemi e danneggiare l'immagine.

Oleg il tragitto lo conosce bene. C'è finito quattro o cinque volte laggiù, buttato in una specie di discarica. Qualche suo compagno non ha fatto ritorno, perché se il freddo è tremendo a Mosca, in periferia può essere mortale, anche se Interfax non lo farà mai sapere. D'altronde le sue competenze finiscono ai raccordi della superstrada.

Oleg rientra sempre a Mosca. Un po' trascinando gli scarponi, un po' coi treni, da clandestino, sperando in controllori compiacenti. Oleg rientra sempre a Mosca, città di storia e di fascino, ma che può essere crudele e bestiale. Il dollaro vale 22 rubli, la temperatura è di 24 sotto zero, si prevedono nevicate in giornata, e tre persone, anche la notte scorsa, sono morte per il freddo. Oleg non legge il dispaccio dell'agenzia, però sa tutto. E il resto lo immagina.

Oleg ritorna sempre a Mosca. Ma, se non lo facesse, non se ne accorgerebbe nessuno.

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