L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI

L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI
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Tirate fuori il vostro racconto dal cassetto! E diventate protagonisti della nuova rubrica "L'incipit dei vostri racconti", che Eco di Biella pubblicherà ogni sabato sull'edizione cartacea nel suo inizio (incipit). Per leggere il resto del racconto, occorrerà collegarsi al sito nel pomeriggio di sabato. Tutti possono partecipare all'inziativa gratuita, in collaborazione con la casa editrice biellese Lineadaria. Inviate i vostri racconti all'indirizzo lineadariaeditore@gmail.com, la selezione verrà effettuata da Federica Ugliengo. Buona lettura e buon esordio a tutti nella pagina, già cult per gli appassionati, L'Eco delle Parole.

 

IL RIPORTO DI AGENORE

di Paolo Ferrari

 

segue da Eco di Biella in edicola questa mattina 26 gennaio 2013

 

Il professore non è minimamente interessato alle battute e ai sorrisi suscitati dal suo cognome.

Quando al liceo (dove ha insegnato per 38 anni) entrava in una nuova classe e si presentava, subito tra i banchi si levava uno scoppiettio di risate contenute a stento. Ma già dopo pochi minuti, l’attenzione degli studenti era catturata da altro, e non si trattava solo della spiegazione di un sonetto del Petrarca o della vita di Manzoni.

Perché la fama del professor Scazzi, oltre che alla sua cultura poetica, capace di trasmettere sempre delle emozioni a chi lo sta ascoltando, è legata al clamoroso riporto che troneggia sulla sua testa. Uno strato sottile di capelli che dalla tempia sinistra gli avvolge tutto il cranio, fino a sfiorargli l’orecchio destro.

A prima vista la sua sembra una capigliatura come tante, compreso il ricciolo ribelle che gli cade vicino all’occhio destro, ma basta poco, un colpo di vento, un urto inavvertito o un movimento un po’ brusco per scoperchiargli la testa, che si trasforma inaspettatamente in una liscia e lucente palla da biliardo, mentre il riporto si affloscia lungo il lato sinistro del collo, come un lenzuolo rovesciato sul davanzale di una finestra per dargli aria.

Talvolta, a causa di un refolo capriccioso, il riporto resta per qualche secondo fluttuante a mezz’aria.

Per i più che si trovano ad essere testimoni dell’evento, in quegli istanti il professore viene ad assomigliare ad un fumetto, con tanto di nuvoletta per il testo. Per coloro che provano un rispetto quasi religioso per le sue affascinanti argomentazioni, quelle ciocche ondeggianti appaiono come la solidificazione dei suoi pensieri profondi.

Nessuno sa dire da quando il professore sia provvisto di quel riporto. Chi lo conosce da più tempo giura di averlo sempre visto; qualcuno è arrivato ad azzardare l’ipotesi che così ci sia nato.

Una cosa certa è che i cambiamenti dei suoi capelli, nel corso degli anni, hanno riguardato solo il colore. Dal castano chiaro dei primi anni di insegnamento si è passati al sale e pepe della maturità, per approdare all’attuale grigio perla.

Tutti concordano poi che il professore, nonostante i ripetuti (e vani) tentativi del barbiere di provare acconciature alternative, tenga al suo riporto con la stessa intensità che manifesta per i libri della sua biblioteca.

Essendo allergico a lacca, gel e a qualsiasi ritrovato chimico che possa contribuire a mantenere fermo il riporto per molte ore, il professore si affida esclusivamente alle virtù fissanti dell’acqua, con risultati molto più limitati nel tempo.

E allora accade.

Può essere nel bel mezzo di una discussione sul rapporto fra arte, vita ed eternità: “Per Foscolo l’arte rende eterni i poeti; per Yeats è la poesia stessa che è eterna, in quanto opera dell’intelletto, unica qualità umana che possa superare il limite biologico del decadimento fisico e della morte”.

O mentre mangia una pizza (sempre alla marinara, con molto aglio, apprezzato dal professore, meno dai suoi commensali).

Oppure sta scrivendo l’ennesima poesia; ultimamente ha abbandonato le similitudini per le metafore, alcune piuttosto ermetiche: “Nel mio petto canta una botte ebbra di mosto, costretta a distillare fiele”.

Comunque sia, ad un certo punto il professore, veloce e preciso, si inumidisce con la lingua i polpastrelli di una mano e se li passa sui capelli. È un gesto che ripete frequentemente.

C’è chi si è preso la briga di contare il tempo che intercorre fra una passatina e l’altra: dagli otto ai dieci minuti. Perché il conteggio non restasse fine a se stesso, si è ritenuto opportuno calcolare quante volte in un giorno il gesto viene compiuto: togliendo le otto ore canoniche di sonno, e basandosi su un intervallo medio di nove minuti, il risultato è di circa 107 volte (il numero esatto è 106,6 periodico).

Ovviamente questo gesto è stato ripetuto dal professore innumerevoli volte durante le lezioni a scuola (chi volesse, potrebbe calcolare approssimativamente quanto in tutta la sua carriera).

Assomigliando molto al movimento che usualmente si fa per passare da una pagina all’altra di un libro, per generazioni di studenti il professor Agenore Scazzi è noto semplicemente come il professor Voltapagina.

 

Molti credono che il mio riporto esista da sempre. È proprio vero che gli uomini non hanno memoria, se non per se stessi. Di noi ricordiamo tutto, se dimentichiamo qualcosa è perché lo vogliamo, perché il ricordo sarebbe troppo doloroso. Ma verso gli altri la nostra percezione è più superficiale, anche se siamo abituati a vederli da sempre. È un problema di osservazione. Perché il più delle volte guardiamo senza vedere, udiamo senza ascoltare. Troppo presi da noi stessi per capire veramente gli altri.

Il mio riporto risale a quasi quarant’anni fa. E non fu il frutto di un’alopecia precoce, bensì di una scelta, improvvisa quanto definitiva. Iniziai a radermi i capelli a mo’ di tonsura, lasciandoli crescere ai lati, così, per fare qualcosa di strano: la prima e unica stranezza in una vita tutta bella ordinata, scandita dal lavoro e dall’amore per l’arte, vera ragione di vita, oggi come allora.

Un po’ alla volta la chioma prese la forma odierna. Affinché il riporto fosse completo, rasai anche i capelli sul lato destro. Nessuno ha mai sospettato alcunchè. Solo il mio barbiere, lo stesso da una vita, è al corrente di questo mio capriccio. Ha proposto delle alternative, ma non mi ha mai chiesto il perché. Anche perché un motivo vero non esiste. Le cose talvolta succedono così, per caso. Poi, diventano una scelta, una maschera, con cui nasconderci dagli altri e allo stesso tempo rapportarci. Il riporto è la mia maschera. Ormai è parte di me , è me. Se non l’avessi non sarei più il professor Voltapagina, ma semplicemente Agenore Scazzi, insegnante in pensione. Con un cognome ridicolo e il pallino della poesia.

Invece sono un membro riconosciuto della comunità, apprezzato per la conoscenza di liriche e canti, ma soprattutto unico nel raccontarli con quel tocco delle dita inumidite sulle ciocche ribelli. Se usassi un fissatore quel gesto non servirebbe: ecco perché ho fatto credere di essere allergico a lacca e gel.

Ebbene, sì, mi sono costruito un personaggio. Che gli altri hanno accettato e metabolizzato, fino a convincersi che sono sempre stato così.

Invece la mia vita è divisa in un prima e un dopo. Ma sono sempre io: innamorato della poesia e della vita che da essa traspare, consapevole di scrivere versi di scarso valore.

E se alla mia età è più facile guardarsi indietro che pensare al futuro, sento di avere ancora molta energia da spendere, per educare alla bellezza. Con il mio riporto.

E quando sarà il momento, come l’imperatore Adriano della Yourcenar, voglio entrare nella morte ad occhi aperti.

 

Poco meno di un mese fa il professore ha invitato nella pizzeria “Nu ragg’e sole”, luogo di ritrovo abituale, i suoi amici più cari. La serata è scivolata via come tante altre volte fra ricordi e discussioni profonde sul senso della vita. Poi, verso la fine, il professore, battendo un coltello sul bicchiere, ha chiesto un momento di attenzione. Una cosa che ha spiazzato i presenti: in tanti anni mai il professore aveva in modo così palese chiesto la parola.

Anche se durante queste serate i suoi interventi facevano sempre la parte del leone, aveva un modo di porsi piuttosto dimesso. Entrava nelle discussioni quasi in punta di piedi, con un tono pacato e sofferto, come se la ricerca delle parole più adatte alle sue argomentazioni gli costassero una fatica fisica. Sembrava che i termini usati non si trovassero in alcun vocabolario, e iniziassero ad esistere solo nel momento in cui li pronunciava. Poi, il suono suadente della sua voce, unita a quel movimento delle dita sul riporto, facevano il miracolo, e il professore diventava sempre il centro dell’attenzione. Quella sera fu diverso.

Signori, ho il piacere di comunicarvi che fra una settimana partirò per l’isola di Creta, dove passerò una vacanza di quindici giorni.” Il silenzio si allungò fino a diventare palpabile; nessuno ebbe il coraggio di fare una qualsiasi domanda. Fu lo stesso professore a sciogliere l’impasse. “Vi chiederete come ciò sia possibile, visto che in tanti anni ho sempre trascorso le mie vacanze in quel di Grado.” Seguì una piccola pausa in cui il professore abbassò il capo, come se si vergognasse di quello che stava per dire. “Ho vinto un viaggio premio.” Un lieve brusio si alzò fra i convitati. “Proprio così. Ho ordinato delle bottiglie di vino per corrispondenza. L’ordine consentiva di partecipare all’estrazione di un viaggio a Creta. Ho spedito la cartolina e due giorni fa mi hanno comunicato che ero il vincitore. E pensare che non ho mai partecipato ad alcuna lotteria. Al massimo a qualche pesca di beneficenza, con risultati sempre deludenti.” Disse queste cose con un tono di voce basso, quasi a volersi scusare della propria fortuna. Ci fu un breve silenzio, poi l’architetto Basenti, compagno di tante dispute irrisolte sulla possibilità che l’urbanistica sia una forma d’arte, alzò il bicchiere e propose un brindisi: “Ad Agenore e alla sua vacanza nel cuore della civiltà classica”. Tutti i convitati si unirono. Anche persone di altri tavoli alzarono i bicchieri all’indirizzo del festeggiato, una volta informati. Il professore ringraziò arrossendo.

 

Nei primi giorni di vacanza il professore ha fatto amicizia con alcuni turisti inglesi: mrs e mr Hopkins, 137 anni in due, in luna di miele, e miss Harriet, rotonda e gioviale sessantacinquenne, sorella della sposa, con una gran voglia di seguirne le orme. Con loro ha trascorso gran parte del tempo, fra visite ai siti archeologici e lunghi bagni in mare. Un po’ in inglese, un po’ in greco classico, è riuscito anche a fare discorsi di spessore culturale, spaziando da Omero ai preraffaeliti.

Il riporto è stato messo a dura prova dal meltemi, il vento dell’isola. Dopo circa una settimana miss Harriet gli ha regalato un cappello di paglia a larghe tese, con un elastico passante sotto il mento per impedirgli di volare via. Ogni tanto il vento gli sollevava il cappello, che restava appeso dietro la nuca, mentre il riporto si alzava sulla testa come un cavallo imbizzarrito, dando al professore un’aria vagamente western.

La scorsa settimana il giornale, nelle pagine di cronaca, riportava la seguente notizia:

Dramma a Creta: anziano turista italiano attaccato e divorato da uno squalo

La tragedia è avvenuta davanti alla spiaggia di Falasarna, gremita di bagnanti.

La vittima è Agenore Scazzi, 71 anni, insegnante in pensione. L’uomo stava prendendo il sole su un materassino, insieme ad una amica inglese, a poche decine di metri dalla spiaggia, quando uno squalo ha sbalzato i due dal materassino, trascinando l’uomo sott’acqua, mentre la donna riusciva fortunosamente a guadagnare la riva. Il tutto è avvenuto sotto lo sguardo attonito di decine di turisti, che hanno assistito impotenti al dramma. Alcune motovedette della polizia, subito intervenute, hanno cercato a lungo ma senza esito di recuperare il corpo o quello che ne restava dello sventurato anziano.

Il consolato italiano a Iraklion ha provveduto ad avvisare i parenti.

In un’intervista rilasciata ad un’emittente televisiva locale, il professor Cornell Dreyfuss, uno dei massimi esperti mondiali di squali, ha affermato che dalle immagini filmate da un turista sulla spiaggia, appare chiaro che lo squalo assassino è della specie Galeocerdo cuvier, vale a dire uno squalo tigre. E’, questa, una notizia di assoluta importanza. Mentre la presenza dello squalo bianco nel Mare Nostrum è ormai assodata, e ne sono testimonianza i 31 attacchi accertati, di cui solo alcuni mortali, avvenuti negli ultimi due secoli, non si era ben certi, fino ad oggi, della presenza anche dello squalo tigre, pesce che predilige maggiormente le acque tropicali. Ora, dalla sciagura di Falasarna, il professor Dreyfuss trae la conclusione che, per effetto del riscaldamento globale, il Mediterraneo si sta tropicalizzando. In futuro, la presenza di squali tigre nelle nostre acque è destinata ad aumentare.

 

Le immagini della morte del professore sono finite sul Web. Immagini cruente, rese ancor più drammatiche dal fatto che sono state riprese con un potente zoom. Ma quello che impressiona di più è che il professore non sembra emettere nemmeno un grido quando viene attaccato, mentre sulla spiaggia si sentono urla di raccapriccio. Addirittura si può fermare un fotogramma, un attimo prima che lo squalo trascini il professore sott’acqua, in cui questi ha una mano sul riporto e con l’altra tiene dietro di sé miss Harriet, come a proteggerla. Gli occhi fissano la bestia in un modo che appare per nulla terrorizzato.

 

Ieri sera gli amici del professore si sono riuniti per commemorarlo: in pizzeria, come avevano fatto molte volte per altri amici.

L’architetto Basenti, gli occhi lucidi e la voce rotta dalla commozione, ha tenuto l’orazione funebre.

Agenore è andato avanti, come lui stesso direbbe, così come è vissuto: con tanta dignità. E con un gesto di estrema generosità verso un altro essere umano, un’amica. È questo il suo lascito. Lui, che non guardò mai al cielo né al denaro, ma visse come se fosse il sacerdote di una religione particolare, tutta centrata sull’arte della poesia. Solo di fronte agli autori contemporanei si mostrava perplesso. Non riesco a scorgerne l’anima - diceva, aggiungendo però con la sua solita onestà - probabilmente è un mio limite, sono figlio di un’altra epoca.

Ebbene, Agenore ci ha insegnato che la vita va vissuta con misura e stile, con dignità appunto. Aveva le sue idee, e sapeva difenderle. Ma senza mai alzare la voce, ascoltando sempre le ragioni degli altri. Mai che ci sia stata una volta in cui abbia interrotto chi aveva la parola.

Un gentiluomo d’altri tempi.

Addio, Agenore, ci mancheranno le tue parole, e ci mancherà quel tuo buffo gesto sui capelli. Il Basenti alza il proprio calice di vino per un brindisi in onore del professore. Tutti gli altri lo imitano, chi alzando un altro calice, chi un boccale di birra, chi un bicchiere d’acqua per disposizione tassativa del proprio medico.

Ad Agenore!”, propone l’architetto. “Ad Agenore!”, rispondono all’unisono gli altri.

Segue un minuto di silenzio.

Dalla sala attigua giunge il vocio di una scolaresca in gita. Nello strepito generale si ode una voce più alta: “Prof, dove si va domani?”. L’interpellata, con voce ancora più alta, tipica di chi è abituato a parlare in ambienti piuttosto rumorosi, risponde: “Innanzitutto all’acquario, c’è la vasca degli squali che è veramente interessante! C’è anche un esemplare di squalo tigre”. “Un galeocerdo cuvier”, esclama la voce di prima. “Bravo”, risponde soddisfatta la prof.

Un brivido percorre la schiena dell’architetto e degli altri convitati.

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