Eventi e Cultura

La strada a senso unico dei rifugiati verso la libertà

La strada a senso unico dei rifugiati verso la libertà
Aggiornamento:

BIELLA - L’immensa moltitudine si tramuta in una galleria di volti, che rappresentano la varietà dei sentimenti: gli occhi disperati di una donna tra la folla; il gesto amorevole di un padre che sorregge il figlio disabile; il pianto ininterrotto dei bambini...

«La prima volta che ho letto “Solo andata” di Erri De Luca, sono rimasto in silenzio per un bel pezzo. Ancora non avevo deciso di affrontare il tema dei migranti. Penso, in fondo, che questo lavoro, figlio di tre viaggi lungo la rotta balcanica, è anche un po’ merito suo. Ho scelto di partire perché ho sentito, nel profondo, la necessità di assistere con i miei occhi a questo evento epocale, esserne parte e raccontarlo come mi riesce spontaneo fare, con la mia macchina fotografica. L’idea principale era di mostrare le storie e le emozioni dei migranti. La disperazione. La gioia. La soddisfazione. La paura. Sullo sfondo, il viaggio, il loro passaggio, le migliaia di schiene e di piedi che calpestano sentieri e attraversano binari. Le mie fotografie sono sempre il frutto di un coinvolgimento e di una presa di posizione. Le ho avvicinate, queste persone. Le ho conosciute e ascoltate e abbracciate, mi sono mescolato a loro e da loro mi sono fatto catturare. Vorrei che le mie immagini facessero muovere lo spettatore, dalla dimensione generale di quello che sembra un fiume infinito e indefinito di persone, ad una dimensione più privata, dove ogni singolo individuo è parte di una tragedia più ampia». E’, questo, il testo che anticipa all’ingresso dello Spazio Cultura della Crb in via Garibaldi la mostra “One way only. Senza voltarci indietro”. Una sola strada, una sola occasione per cambiare vita, lasciandosi alle spalle guerra, morte e violenza, con dentro agli occhi del viaggio una sola e grande speranza: tornare a essere liberi, tornare a essere umani.

Il testo e, poi, le 30 immagini in grande formato appese alle pareti della sala sono di Stefano Schirato, 43 anni, bolognese di nascita ma pescarese di vita, fotoreporter di scuola Magnum, collaboratore con testate prestigiose come New York Times, Le Figaro, Geo International, Vanity Fair, Repubblica. Espone a Biella grazie alla Fondazione Crb e alla Caritas che promuove quel reportage con scopi educativi, gli stessi scopi che hanno indotto sabato Emma Bonino a spiegare al Lingotto alla platea ‘piddina’ alla corte dell’ex premier Renzi il fenomeno migranti «per smascherare la “grande bugia”: gli stranieri in Italia sono l’8% della popolazione e producono 100 miliardi di euro di ricchezza all’anno; il 60% della domande di asilo vengono respinte; 500 mila sono gli irregolari di cui 80mila sono le badanti alle quali affidiamo quanto ci è più caro: i nostri vecchi».

Alto impatto emotivo. Le fotografie di Schirato - per tornare alla mostra - non ti lasciano indifferente: i suoi reportage su Belgrado, Sarajevo, la Cambogia sono “pesanti”, ma in “One way only” c’è di più, un appello alla Storia. Cinque mesi in viaggio lungo la rotta balcanica, quella che dalla Turchia passa attraverso Grecia, Macedonia, Croazia, Serbia e arriva dritta nel cuore dell’Europa, addosso al “muro” ungherese, in Austria e Germania, a qualche centinaio di chilometri da Biella. Ed è così che i fumosi discorsi da bar si riempiono di contenuti, i migranti sono persone, volti, siriani, iracheni e afghani in transito.

Il viaggio di Schirato sta facendo il giro dell’Italia e non solo da un anno e nelle sue parole ci sono le risposte alle cinque domande con la “w” : chi, dove, come, quando, perché. «Com'è nato “One way only”? In modo spontaneo - ha raccontato -, come gran parte dei miei lavori. Nel settembre 2015 ho preso l'automobile e, con un collega, sono partito in direzione Tovarnic, in Croazia, per poi spostarmi verso il clou degli sbarchi, a Lesbo, in Grecia. E lì ho visto il non raccontabile: migliaia e migliaia di persone in arrivo dal mare, 40-50 sbarchi nell’arco di poche ore, un flusso umano impressionante. Siriani, iraniani, afghani in arrivo continuo quando, a differenza di adesso, non ancora c’erano i campi di accoglienza organizzati; migliaia di persone bloccate anche giorni e giorni a Mitilene (dopo aver camminato 30 km a piedi per raggiungerla), in attesa della nave che li portasse ad Atene. Al ritorno dal primo viaggio ho fatto vedere alcune foto alla Caritas, che, rimasta folgorata dal lavoro, mi ha finanziato i viaggi e i reportage successivi. Tutti noi pensiamo che i migranti siano dei poveracci, e invece la maggior parte delle persone che ho conosciuto, in particolare i siriani, è mediamente colta, parla inglese, laureata; ricordo alcuni giovani ragazzi che si informavano se le università di ingegneria fossero migliori in Francia o in Germania. Tutti a cercare la libertà, il riconoscimento alla propria dignità di essere umano».

Valutazioni, le sue, con lo sguardo accigliato, la consapevolezza che nessuno è esente. E’ dunque richesto un di più di responsabilità. «Un giorno potrebbe capitare a noi. I tempi che viviamo non tutelano nessuno, sono in atto trasformazioni strutturali, non siamo al sicuro da niente, ecco perché nel mio lavoro scelgo di dare volti e significato alle storie di persone che - per usare una bella immagine di Erri De Luca - potrebbero sembrare solo una moltitudine di schiene. Ricordo quando a Lesbo, in un giorno di sbarchi frenetici, vidi scendere da una nave, tra ragazzini, una bambina, sola e fradicia di pioggia: ho pensato a mia figlia, poteva essere lei, mi si è fermato il cuore, non ho potuto più scattare foto, mi sono avvicinato a lei e le ho accarezzato il viso. Quella immagine l’ha però scattata un mio collega, ed è il ricordo più toccante che conservo di “One way only”».

Info: allo Spazio Cultura di via Garibaldi a Biella fino al 25 aprile, dal lunedì al venerdì 10,30-12,30, 16-17,30; sabato, domenica e festivi 16-19. Chiuso il giorno di Pasqua.

Roberto Azzoni

BIELLA - L’immensa moltitudine si tramuta in una galleria di volti, che rappresentano la varietà dei sentimenti: gli occhi disperati di una donna tra la folla; il gesto amorevole di un padre che sorregge il figlio disabile; il pianto ininterrotto dei bambini...

«La prima volta che ho letto “Solo andata” di Erri De Luca, sono rimasto in silenzio per un bel pezzo. Ancora non avevo deciso di affrontare il tema dei migranti. Penso, in fondo, che questo lavoro, figlio di tre viaggi lungo la rotta balcanica, è anche un po’ merito suo. Ho scelto di partire perché ho sentito, nel profondo, la necessità di assistere con i miei occhi a questo evento epocale, esserne parte e raccontarlo come mi riesce spontaneo fare, con la mia macchina fotografica. L’idea principale era di mostrare le storie e le emozioni dei migranti. La disperazione. La gioia. La soddisfazione. La paura. Sullo sfondo, il viaggio, il loro passaggio, le migliaia di schiene e di piedi che calpestano sentieri e attraversano binari. Le mie fotografie sono sempre il frutto di un coinvolgimento e di una presa di posizione. Le ho avvicinate, queste persone. Le ho conosciute e ascoltate e abbracciate, mi sono mescolato a loro e da loro mi sono fatto catturare. Vorrei che le mie immagini facessero muovere lo spettatore, dalla dimensione generale di quello che sembra un fiume infinito e indefinito di persone, ad una dimensione più privata, dove ogni singolo individuo è parte di una tragedia più ampia». E’, questo, il testo che anticipa all’ingresso dello Spazio Cultura della Crb in via Garibaldi la mostra “One way only. Senza voltarci indietro”. Una sola strada, una sola occasione per cambiare vita, lasciandosi alle spalle guerra, morte e violenza, con dentro agli occhi del viaggio una sola e grande speranza: tornare a essere liberi, tornare a essere umani.

Il testo e, poi, le 30 immagini in grande formato appese alle pareti della sala sono di Stefano Schirato, 43 anni, bolognese di nascita ma pescarese di vita, fotoreporter di scuola Magnum, collaboratore con testate prestigiose come New York Times, Le Figaro, Geo International, Vanity Fair, Repubblica. Espone a Biella grazie alla Fondazione Crb e alla Caritas che promuove quel reportage con scopi educativi, gli stessi scopi che hanno indotto sabato Emma Bonino a spiegare al Lingotto alla platea ‘piddina’ alla corte dell’ex premier Renzi il fenomeno migranti «per smascherare la “grande bugia”: gli stranieri in Italia sono l’8% della popolazione e producono 100 miliardi di euro di ricchezza all’anno; il 60% della domande di asilo vengono respinte; 500 mila sono gli irregolari di cui 80mila sono le badanti alle quali affidiamo quanto ci è più caro: i nostri vecchi».

Alto impatto emotivo. Le fotografie di Schirato - per tornare alla mostra - non ti lasciano indifferente: i suoi reportage su Belgrado, Sarajevo, la Cambogia sono “pesanti”, ma in “One way only” c’è di più, un appello alla Storia. Cinque mesi in viaggio lungo la rotta balcanica, quella che dalla Turchia passa attraverso Grecia, Macedonia, Croazia, Serbia e arriva dritta nel cuore dell’Europa, addosso al “muro” ungherese, in Austria e Germania, a qualche centinaio di chilometri da Biella. Ed è così che i fumosi discorsi da bar si riempiono di contenuti, i migranti sono persone, volti, siriani, iracheni e afghani in transito.

Il viaggio di Schirato sta facendo il giro dell’Italia e non solo da un anno e nelle sue parole ci sono le risposte alle cinque domande con la “w” : chi, dove, come, quando, perché. «Com'è nato “One way only”? In modo spontaneo - ha raccontato -, come gran parte dei miei lavori. Nel settembre 2015 ho preso l'automobile e, con un collega, sono partito in direzione Tovarnic, in Croazia, per poi spostarmi verso il clou degli sbarchi, a Lesbo, in Grecia. E lì ho visto il non raccontabile: migliaia e migliaia di persone in arrivo dal mare, 40-50 sbarchi nell’arco di poche ore, un flusso umano impressionante. Siriani, iraniani, afghani in arrivo continuo quando, a differenza di adesso, non ancora c’erano i campi di accoglienza organizzati; migliaia di persone bloccate anche giorni e giorni a Mitilene (dopo aver camminato 30 km a piedi per raggiungerla), in attesa della nave che li portasse ad Atene. Al ritorno dal primo viaggio ho fatto vedere alcune foto alla Caritas, che, rimasta folgorata dal lavoro, mi ha finanziato i viaggi e i reportage successivi. Tutti noi pensiamo che i migranti siano dei poveracci, e invece la maggior parte delle persone che ho conosciuto, in particolare i siriani, è mediamente colta, parla inglese, laureata; ricordo alcuni giovani ragazzi che si informavano se le università di ingegneria fossero migliori in Francia o in Germania. Tutti a cercare la libertà, il riconoscimento alla propria dignità di essere umano».

Valutazioni, le sue, con lo sguardo accigliato, la consapevolezza che nessuno è esente. E’ dunque richesto un di più di responsabilità. «Un giorno potrebbe capitare a noi. I tempi che viviamo non tutelano nessuno, sono in atto trasformazioni strutturali, non siamo al sicuro da niente, ecco perché nel mio lavoro scelgo di dare volti e significato alle storie di persone che - per usare una bella immagine di Erri De Luca - potrebbero sembrare solo una moltitudine di schiene. Ricordo quando a Lesbo, in un giorno di sbarchi frenetici, vidi scendere da una nave, tra ragazzini, una bambina, sola e fradicia di pioggia: ho pensato a mia figlia, poteva essere lei, mi si è fermato il cuore, non ho potuto più scattare foto, mi sono avvicinato a lei e le ho accarezzato il viso. Quella immagine l’ha però scattata un mio collega, ed è il ricordo più toccante che conservo di “One way only”».

Info: allo Spazio Cultura di via Garibaldi a Biella fino al 25 aprile, dal lunedì al venerdì 10,30-12,30, 16-17,30; sabato, domenica e festivi 16-19. Chiuso il giorno di Pasqua.

Roberto Azzoni

Seguici sui nostri canali