L’Emogeno Ramasco, la“Goccia d’oro” e i (tanti) elisir biellesi

L’Emogeno Ramasco, la“Goccia d’oro” e i (tanti) elisir biellesi
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Un anno fa apriva Expo 2015. Allora parve opportuno rivangare nel remoto passato per dar conto di come e di quanto i biellesi abbiano avuto a che fare con le grandi esposizioni universali, internazionali e nazionali dell’Ottocento e del primo Novecento. Fu il DocBi Centro Studi Biellesi ad affrontare una ricerca nata un po’ per sfida e un po’ perche? l’argomento era d’attualita?, ma senza effettive garanzie di successo. Il risultato fu, invece, straordinario. La mostra “BiellExpo” e il relativo catalogo dimostrarono che il Biellese ha avuto un feeling speciale con le mega-kermesse di quel tipo, che il Biellese aveva saputo mettere in mostra molteplici eccellenze (non solo quella tessile laniera) frutto di multiformi know how che nella maggior parte dei casi sono andati perduti, che il mondo era piccolo gia? allora e che i biellesi non temevano di compiere lunghi viaggi per essere presenti e meritarsi diplomi e medaglie chissa? dove. “BiellExpo” evidenzio? altresi? che l’indagine era tutto tranne che conclusa: il tema era ed e? troppo denso e vasto per essere esaurito nel pur corposo lavoro del DocBi dell’anno scorso.

L’anniversario richiede un brindisi. E non ci puo? essere cin-cin migliore di quello fatto con la storia di alcuni liquori e/o affini nostrani che si af- fermarono in patria e all’estero in occasione delle expo di cui sopra. Va da se? che queste notizie integrano quelle gia? inserite nell’allestimento della mostra e nei paragrafi del catalogo. In alto i calici! Quei premi, quelle menzioni onorevoli svelavano un settore merceologico all’epoca piuttosto attivo che ha ancora oggi piu? di un produttore in esercizio, ma che purtroppo ha indubbiamente visto spegnersi molte realta?. Il Biellese era una terra di liquoristi, di distillatori, di sperimentatori capaci di inventare bevande degne di attenzione e di premiazione. Sullo sfondo si puo? cogliere la confidenza secolare dei biellesi con gli alambicchi e con gli spiriti mutuata dalla vinificazione e dai suoi derivati primari. Non si spiegherebbe altrimenti, se non con l’antica tradizione vitivinicola locale, quella feconda sapienzialita?. Inoltre non va dimenticata la moderna (a partire dal secondo ‘800) dimestichezza con la chimica, frutto di una scolarizzazione professionale di alto livello. Si puo? quindi partire dal 1900 e da Parigi. Giovanni Ramasco di Sagliano Micca presento? il suo “Emogeno” contro l’anemia e la “debolezza di sangue”. Il lavoro del farmacista saglianese stupi? tutti e gli valse il diploma d’onore con medaglia d’oro. Pochi mesi dopo un nuovo successo alla Esposizione Campionaria d’Igiene di Roma. A un anno dal lancio del “elixir” il Ramasco pareva non avere rivali, anche senza farsi troppa pubblicita?. Quel rassicurante sapore ferruginoso era il miglior biglietto da visita per il liquore e lo garantiva come “rimedio sovrano” non solo per gli anemici, ma anche per i malati di nevrastenia, di isterismo e a tutti coloro cui serviva un po’ di “sanguificazione”. Altri premi arrivarono da Napoli, Firenze e Bologna, ma quel che conta e? che era in vendita in “tutte le Farmacie del Regno”.

Alla Fiera Enologica di Torino della fine di febbraio 1908 il conduttore di uno degli storici bar di Oropa, Enrico Gurgo Salice, propose “un saggio del suo noto Elisir Oropa, delizioso liquore tonico”. L’apposita commissione lo giudico? tanto buono da assegnargli la medaglia d’oro messa in palio dal Comune di Torino. Nella primavera di quello stesso 1908, in quel di Casale Monferrato, si tenne un “concorso di liquori” e la ditta L. Nicolini e C. di Chiavazza partecipo? con tutta la sua vasta produzione. Quelle squisitezze, che nel 1906 a Milano avevano con- dotto alla medaglia d’oro, conquistarono i giurati e l’azienda biellese pote? fregiarsi della medaglia d’argento dorato offerta dalla Accademia Filarmonica e del diploma di medaglia d’oro dell’esposizione. Il 1908 fu un anno fortunato per le distillerie biellesi e per le loro specialita?. Tra queste spicca il“Vega”, preparato dalla casa Fratelli Rota-Zumaglini di Biella. A Roma, in occasione di un’expo di settore, si impose su tutti arrivando al primo premio. Gli estimatori nostrani erano certi che quel “liquore medicinale, composto di latte sterilizzato e di vegetali raccolti nella Trappa Biellese, dimora un giorno dei frati trappisti, la cui fama ha corso il mondo per le loro erbe medicinali”, poteva ambire “a farsi un posto fra i piu? pregiati liquori”. Sulle sponde del Tevere era approdato anche Giovanni Rapa di Andorno. Una rivista specializzata, “L’Araldo”, aveva riservato ampio spazio per i suoi celebri ratafia?, ma anche per il suo “famoso Alkermes” e per l’impareggiabile “Amaro d’Andorno”. Quello romano fu un trionfo, soprattutto perche? la concorrenza era agguerrita e perche? la fama della fabbrica andornese era ancora limitata al Nord Italia. Eppure al “Congresso di cu- cina e alimentazione in Roma” non ci furono dubbi: vittoria su tutta la linea. D’altro canto la premiata ditta Rapa aveva gia? dato prova delle proprie qualita? fin dal febbraio 1901 quando si fece notare alla Terza Esposizione Campionaria di Roma. Giovanni Rapa era sceso da Andorno con la doppia veste di liquorista e scultore in legno e aveva ottenuto la medaglia d’oro cui andavano aggiunti “i doni reali, la medaglia d’argento di Sua Santita? e il brevetto della Casa Ducale di S.A.R. Tommaso di Savoia”. Il connubio tra le sue bevande e la “ricchezza d’intaglio con cui sa accompagnarle” si era rivelato davvero vincente. In aprile lo stesso Rapa era a Nizza, in Francia. Stessi prodotti, stessi premi. E non e? finita qui.

A Parigi, nel mese di maggio, si stava svolgendo la Exposition Internationale d’Hygie?ne. Il Biellese poteva contare su Virginio Varale, farmacista di Pralungo, che non deluse e torno? a casa con una “grande medaglia d’oro”. Aveva surclassato tutti con i suoi tre migliori ritrovati: “Elisir S. Eurosia”, “Elisir China” e “Sciroppo Genziana Ferruginoso.” Sempre nel 1908 un suo collega di Muzzano, Antonio Gabutti, preparava invece un“liquore igienico” all’artemisia che fu dichiarato “unanimemente superiore ad elogio per la sua efficacia digestiva e squisitezza di gusto”. Le segnalazioni circa la “Artemisia Gabutti” non fanno riferimenti a medaglie, ma a un “felice successo alla recente mostra gastronomica” (senza ulteriori precisazioni in merito). Pero? sottolineavano “la particolarita? (a differenza di altri liquori) di poterlo usare coll’acqua di seltz come bevanda gradevole dissetante”. Ma queste affermazioni ebbero anche risvolti drammatici quando non tragici. Il successo puo? dare alla testa, come l’alcol. La ripida parabola commerciale e personale di Eugenio Ferrarotti racconta una vicenda esemplare. Nel 1901 si reco? a Nizza con i suoi prodotti e “dallaGiuria di quell’Esposizione gli veniva assegnato il grande Diploma d’onore accompagnato dalla medaglia d’oro e dalla croce di merito”. Il suo cavallo di battaglia era la “Goccia d’oro”. La stampa biellese lo descrisse in termini lusinghieri: “viene preparato con erbe aromatiche raccolte in Fontanamora, ed ha gusto squisito: non soverchiamente alcoolizzato, e? sano ed ha anche un aspetto piacevole: fara? fortuna”. Nell’autunno seguente, dopo Nizza e dopo aver bissato il successo a Roma, il Ferrarotti fece assaggiare i suoi liquori anche a Lione, all’Exposition Interna- tionale. Ne ricavo? un lusinghiero Grand Prix.

La sua attivita? andava a gonfie vele. Un inserto pubblicitario del 1903 apparso su piu? numeri de “La Tribuna Biellese” elencava e descriveva le“specialita? Ferrarotti” disponibili nel laboratorio-negozio di via Umberto 49. Il “Ferro China: corroborante, ricostituente delle forze e attivo per la digestione, raccomandato quale bibita rinfrescante ai touristi e per gli stomachi snervati”, il “Cordial Verdi” che “negli effetti e nel gusto rivaleggia la Chartreuse, raccomandatissimo per anticibo, indispensabile ad ogni famiglia” e l’immancabile “Goc- cia d’oro”. Quella del Ferrarotti era una specie di dottrina e il consiglio dato tramite la re?clame era che “ogni famiglia dovrebbe abbandonare i soliti liquori a base acidica e ritornare alla naturalezza delle erbe medicinali. In questo tentativo il Ferrarotti riusci? egregiamente, e ne fanno prova le molte onorificenze che premiano i suoi prodotti”. Ma l’apprezzamento della clientela ando? via via calando. Date le premesse puo? sembrare impossibile, ma nel 1915 le condizioni finanziare del Ferrarotti erano compromesse. Era un commerciante che tutti a Biella stimavano, ma i suoi liquori non si vendevano piu? come prima, anzi non si vendevano affatto. Il 23 febbraio di quell’anno era uscito di casa come sempre, ma invece di aprire bottega ci si era chiuso dentro. Aveva sessantuno anni. Si impicco? nel suo laboratorio, tra quegli strumenti che lo avevano reso celebre in Italia e all’estero. Un brindisi, amaro (e? il caso di dirlo), anche alla memoria del povero Ferrarotti.

Danilo Craveia 

 

Un anno fa apriva Expo 2015. Allora parve opportuno rivangare nel remoto passato per dar conto di come e di quanto i biellesi abbiano avuto a che fare con le grandi esposizioni universali, internazionali e nazionali dell’Ottocento e del primo Novecento. Fu il DocBi Centro Studi Biellesi ad affrontare una ricerca nata un po’ per sfida e un po’ perche? l’argomento era d’attualita?, ma senza effettive garanzie di successo. Il risultato fu, invece, straordinario. La mostra “BiellExpo” e il relativo catalogo dimostrarono che il Biellese ha avuto un feeling speciale con le mega-kermesse di quel tipo, che il Biellese aveva saputo mettere in mostra molteplici eccellenze (non solo quella tessile laniera) frutto di multiformi know how che nella maggior parte dei casi sono andati perduti, che il mondo era piccolo gia? allora e che i biellesi non temevano di compiere lunghi viaggi per essere presenti e meritarsi diplomi e medaglie chissa? dove. “BiellExpo” evidenzio? altresi? che l’indagine era tutto tranne che conclusa: il tema era ed e? troppo denso e vasto per essere esaurito nel pur corposo lavoro del DocBi dell’anno scorso.

L’anniversario richiede un brindisi. E non ci puo? essere cin-cin migliore di quello fatto con la storia di alcuni liquori e/o affini nostrani che si af- fermarono in patria e all’estero in occasione delle expo di cui sopra. Va da se? che queste notizie integrano quelle gia? inserite nell’allestimento della mostra e nei paragrafi del catalogo. In alto i calici! Quei premi, quelle menzioni onorevoli svelavano un settore merceologico all’epoca piuttosto attivo che ha ancora oggi piu? di un produttore in esercizio, ma che purtroppo ha indubbiamente visto spegnersi molte realta?. Il Biellese era una terra di liquoristi, di distillatori, di sperimentatori capaci di inventare bevande degne di attenzione e di premiazione. Sullo sfondo si puo? cogliere la confidenza secolare dei biellesi con gli alambicchi e con gli spiriti mutuata dalla vinificazione e dai suoi derivati primari. Non si spiegherebbe altrimenti, se non con l’antica tradizione vitivinicola locale, quella feconda sapienzialita?. Inoltre non va dimenticata la moderna (a partire dal secondo ‘800) dimestichezza con la chimica, frutto di una scolarizzazione professionale di alto livello. Si puo? quindi partire dal 1900 e da Parigi. Giovanni Ramasco di Sagliano Micca presento? il suo “Emogeno” contro l’anemia e la “debolezza di sangue”. Il lavoro del farmacista saglianese stupi? tutti e gli valse il diploma d’onore con medaglia d’oro. Pochi mesi dopo un nuovo successo alla Esposizione Campionaria d’Igiene di Roma. A un anno dal lancio del “elixir” il Ramasco pareva non avere rivali, anche senza farsi troppa pubblicita?. Quel rassicurante sapore ferruginoso era il miglior biglietto da visita per il liquore e lo garantiva come “rimedio sovrano” non solo per gli anemici, ma anche per i malati di nevrastenia, di isterismo e a tutti coloro cui serviva un po’ di “sanguificazione”. Altri premi arrivarono da Napoli, Firenze e Bologna, ma quel che conta e? che era in vendita in “tutte le Farmacie del Regno”.

Alla Fiera Enologica di Torino della fine di febbraio 1908 il conduttore di uno degli storici bar di Oropa, Enrico Gurgo Salice, propose “un saggio del suo noto Elisir Oropa, delizioso liquore tonico”. L’apposita commissione lo giudico? tanto buono da assegnargli la medaglia d’oro messa in palio dal Comune di Torino. Nella primavera di quello stesso 1908, in quel di Casale Monferrato, si tenne un “concorso di liquori” e la ditta L. Nicolini e C. di Chiavazza partecipo? con tutta la sua vasta produzione. Quelle squisitezze, che nel 1906 a Milano avevano con- dotto alla medaglia d’oro, conquistarono i giurati e l’azienda biellese pote? fregiarsi della medaglia d’argento dorato offerta dalla Accademia Filarmonica e del diploma di medaglia d’oro dell’esposizione. Il 1908 fu un anno fortunato per le distillerie biellesi e per le loro specialita?. Tra queste spicca il“Vega”, preparato dalla casa Fratelli Rota-Zumaglini di Biella. A Roma, in occasione di un’expo di settore, si impose su tutti arrivando al primo premio. Gli estimatori nostrani erano certi che quel “liquore medicinale, composto di latte sterilizzato e di vegetali raccolti nella Trappa Biellese, dimora un giorno dei frati trappisti, la cui fama ha corso il mondo per le loro erbe medicinali”, poteva ambire “a farsi un posto fra i piu? pregiati liquori”. Sulle sponde del Tevere era approdato anche Giovanni Rapa di Andorno. Una rivista specializzata, “L’Araldo”, aveva riservato ampio spazio per i suoi celebri ratafia?, ma anche per il suo “famoso Alkermes” e per l’impareggiabile “Amaro d’Andorno”. Quello romano fu un trionfo, soprattutto perche? la concorrenza era agguerrita e perche? la fama della fabbrica andornese era ancora limitata al Nord Italia. Eppure al “Congresso di cu- cina e alimentazione in Roma” non ci furono dubbi: vittoria su tutta la linea. D’altro canto la premiata ditta Rapa aveva gia? dato prova delle proprie qualita? fin dal febbraio 1901 quando si fece notare alla Terza Esposizione Campionaria di Roma. Giovanni Rapa era sceso da Andorno con la doppia veste di liquorista e scultore in legno e aveva ottenuto la medaglia d’oro cui andavano aggiunti “i doni reali, la medaglia d’argento di Sua Santita? e il brevetto della Casa Ducale di S.A.R. Tommaso di Savoia”. Il connubio tra le sue bevande e la “ricchezza d’intaglio con cui sa accompagnarle” si era rivelato davvero vincente. In aprile lo stesso Rapa era a Nizza, in Francia. Stessi prodotti, stessi premi. E non e? finita qui.

A Parigi, nel mese di maggio, si stava svolgendo la Exposition Internationale d’Hygie?ne. Il Biellese poteva contare su Virginio Varale, farmacista di Pralungo, che non deluse e torno? a casa con una “grande medaglia d’oro”. Aveva surclassato tutti con i suoi tre migliori ritrovati: “Elisir S. Eurosia”, “Elisir China” e “Sciroppo Genziana Ferruginoso.” Sempre nel 1908 un suo collega di Muzzano, Antonio Gabutti, preparava invece un“liquore igienico” all’artemisia che fu dichiarato “unanimemente superiore ad elogio per la sua efficacia digestiva e squisitezza di gusto”. Le segnalazioni circa la “Artemisia Gabutti” non fanno riferimenti a medaglie, ma a un “felice successo alla recente mostra gastronomica” (senza ulteriori precisazioni in merito). Pero? sottolineavano “la particolarita? (a differenza di altri liquori) di poterlo usare coll’acqua di seltz come bevanda gradevole dissetante”. Ma queste affermazioni ebbero anche risvolti drammatici quando non tragici. Il successo puo? dare alla testa, come l’alcol. La ripida parabola commerciale e personale di Eugenio Ferrarotti racconta una vicenda esemplare. Nel 1901 si reco? a Nizza con i suoi prodotti e “dallaGiuria di quell’Esposizione gli veniva assegnato il grande Diploma d’onore accompagnato dalla medaglia d’oro e dalla croce di merito”. Il suo cavallo di battaglia era la “Goccia d’oro”. La stampa biellese lo descrisse in termini lusinghieri: “viene preparato con erbe aromatiche raccolte in Fontanamora, ed ha gusto squisito: non soverchiamente alcoolizzato, e? sano ed ha anche un aspetto piacevole: fara? fortuna”. Nell’autunno seguente, dopo Nizza e dopo aver bissato il successo a Roma, il Ferrarotti fece assaggiare i suoi liquori anche a Lione, all’Exposition Interna- tionale. Ne ricavo? un lusinghiero Grand Prix.

La sua attivita? andava a gonfie vele. Un inserto pubblicitario del 1903 apparso su piu? numeri de “La Tribuna Biellese” elencava e descriveva le“specialita? Ferrarotti” disponibili nel laboratorio-negozio di via Umberto 49. Il “Ferro China: corroborante, ricostituente delle forze e attivo per la digestione, raccomandato quale bibita rinfrescante ai touristi e per gli stomachi snervati”, il “Cordial Verdi” che “negli effetti e nel gusto rivaleggia la Chartreuse, raccomandatissimo per anticibo, indispensabile ad ogni famiglia” e l’immancabile “Goc- cia d’oro”. Quella del Ferrarotti era una specie di dottrina e il consiglio dato tramite la re?clame era che “ogni famiglia dovrebbe abbandonare i soliti liquori a base acidica e ritornare alla naturalezza delle erbe medicinali. In questo tentativo il Ferrarotti riusci? egregiamente, e ne fanno prova le molte onorificenze che premiano i suoi prodotti”. Ma l’apprezzamento della clientela ando? via via calando. Date le premesse puo? sembrare impossibile, ma nel 1915 le condizioni finanziare del Ferrarotti erano compromesse. Era un commerciante che tutti a Biella stimavano, ma i suoi liquori non si vendevano piu? come prima, anzi non si vendevano affatto. Il 23 febbraio di quell’anno era uscito di casa come sempre, ma invece di aprire bottega ci si era chiuso dentro. Aveva sessantuno anni. Si impicco? nel suo laboratorio, tra quegli strumenti che lo avevano reso celebre in Italia e all’estero. Un brindisi, amaro (e? il caso di dirlo), anche alla memoria del povero Ferrarotti.

Danilo Craveia 

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