L’elisir di lunga vita distillato in tesi da Giuseppe Cassinis

L’elisir di lunga vita distillato in tesi da Giuseppe Cassinis
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Nel pomeriggio del 7 luglio 1733, trovandoci a passare per Praga e non avendo di meglio da fare, avremmo potuto recarci alla Facoltà di Medicina dell’Alma, Cesarea e Regia Università Carolo-Ferdinandea per assistere alla pubblica disquisizione di un nostro conterraneo, Giuseppe Cassinis da Biella. Il biellese era già “Artium Liberalium magister”, nonché “Philosophiae Doctor” e si presentava quale “Medicinae candidatus” di fronte a tutto il Collegio gesuitico retto da padre Giovanni Seidel sotto il decanato di padre Leonardo Ferdinando Meisner. Giuseppe Cassinis, che voleva laurearsi in medicina per seguire le orme paterne, avrebbe esposto un suo lavoro niente affatto altisonante né pretenzioso, anzi discreto, quasi modesto e di basso profilo, ossia la “Athanasia longaevitatis, sive Manuductio ad vitam longiorem”, come a dire il manuale per allungare la vita, ovvero tenere più a lungo possibile lontana la morte. All’annuncio di cotanto titolo avremmo visto i venerandi e canuti collegiali avere un lieve sussulto, come un rapido rigurgito vitale, nella speranza che il giovanotto che avevano davanti potesse avere anche solo un po’ di ragione.

Il suddetto laureando, “Josephus Cassinis de Bugella, Boemus Pragensis”, non era proprio uno sconosciuto, anzi avrebbe potuto essere considerato un potenziale raccomandato visto che suo padre, Giovanni Antonio Cassinis, era stato professore di chirurgia nello stesso ateneo per trent’anni e tra il 1694 e il 1713 aveva ricoperto la carica di preside di facoltà cinque volte. L’autore della “Athanasia”, tanto per evitare le solite dietrologie, non mancò di palesare la parentela nella “introductio”. Giuseppe Cassinis, al cospetto di quel consesso postprandiale adunato nell’aula magna del Klementinum (dalle finestre aperte avremmo goduto di un po’ di refrigerio in arrivo dalla vicina Moldava e saremmo stati distratti dal vociare dei passanti che attraversavano il fiume sul ponte Carlo), voleva dimostrare che, con un corretto stile di vita, era possibile campare meglio e di più.

Che idea originale! Noi, giunti a Praga in quel 1733 dal mondo e dal tempo del fitness, degli antiossidanti, della stevia al posto dello zucchero, del “nazi-veganesimo” e dell’ansia da prestazione non più a letto, bensì negli esami del sangue, avremmo accolto col sorriso quel precursore, quel ragazzo così “avanti”, così capace di darci la conferma ex ante di essere noi nel giusto, e di farlo con tutta l’autorevolezza del latino! Che ora indimenticabile, prima di ingozzarci di soia e tofu a merenda! Il Cassinis si permise una premessa non esattamente originale, ma efficace: “Anni eunt, dies currunt, horae volant, nosque mortales impetu praecipiti secum abripiunt”. Eh, già! Anche nel Settecento si aveva la netta sensazione che questa nostra esistenza fosse e sia troppo breve, per non dire precipitosa. L’introduzione, che ripartiva gli uomini in tre categorie, i morti subito, i morti presto e i morti dopo, proseguiva con una metafora: la vita umana è come una nave. Per coloro cui é data la possibilità di vivere più degli altri, “qui matura aetate maris mortui littora ex vicino jam conspexerunt, propediem illuc appulsuri sponte, nisi diem fatalem praeoccupasset libitina. Ferimur ergo cursu admodum celeri veluti remis, velisque...”.

Con una traduzione libera si potrebbe rendere come un monito: da vecchi, dopo aver già visto da vicino i lidi del mare dei morti, si andrebbe spontaneamente all’aldilà, se non fosse che la morte anticipa sempre il giorno fatale. E noi siamo trascinati dalla corrente, molto veloci, come mossi da remi e vele insieme. Il che vuol dire che già ci pensa la morte a venirci incontro, anche senza che corriamo verso di lei con azioni dannose verso noi stessi. La “publica disquisitio”, che fu stampata per i “tipi accademici” del Collegio della Società di Gesù di San Clemente per mano di Jan Norbert Fitzky, appare suddivisa in nove “thesis” o capitoli, tutti davvero gustosi. Alla fine di ciascuna tesi l’autore pose alcune domande e propose sagge risposte. Sì, perché il nocciolo della questione stava (e sta) nella sana alimentazione e nella altrettanto sana abitudine al moto.

Noi spettatori interessati non possiamo che rallegrarci per quella visione così attuale. Se lo dicevano già nel XVIII secolo significa che siamo nel giusto anche nel XXI. La prima “thesis” si intitola “De vita, eiusque prolongatione, et diaeta senum in genere”. Due i principi cardine: muoversi, dato che la vita è sinonimo di movimento e la morte di stasi, e nutrizione bilanciata e regolare, specie per gli anziani. Geniale! Seconda tesi: “De mutatione aetatum, eiusdem causa”. La descrizione del decadimento fisico, tra umori, “crassitia”, torbidezza, “impuritas, excretiones” eccetera è da film splatter, ma il Cassinis sapeva il fatto suo. E suggeriva di bere bene, ma poco, di mangiare verdura e di fare ginnastica dolce, anche solo una “moderata per cubicula in plano deambulatio”. La terza tesi tratta della qualità dell’aria che si deve respirare, la quarta del cibo di cui nutrirsi con due massime eterne prese in prestito dall’Università di Salerno. “Ut sis nocte levis sit tibi cena brevis”: vuoi dormire bene, non vuotare il frigorifero. “Ut vites poenam de potibus incipe coenam”: vuoi evitare di digerire dopodomani, inizia la cena con una sana bevuta (di che cosa non è specificato). La quinta si occupava “De Potu”, ovvero dei liquidi da ingerire. I quesiti in calce definivano il vino come migliore della birra, almeno per i vecchi, che bere acqua fredda prima di sorbire cioccolata era una sciocchezza, che tè, caffè e cioccolata erano veri toccasana per i nonni. Sesta tesi: “De Motu, et Quiete”. L’uno e l’altra con senno, senza esagerare. E sembra che il Cassinis avesse un motto pronto per tutto: “Post mensam pausa, nec stes, nec eas sine causa”: dopo mangiato stai tranquillo, ma non poltrire troppo e nemmeno non metterti subito a correre, che la digestione ha i suoi ritmi. La settima riguardava il sonno e la veglia. Anche per questo il meglio stava nel mezzo: né troppo né troppo poco. Sette ore al giorno “sat est” (è sufficiente) per i giovani come per i vecchi. E per gli anziani il sonnellino pomeridiano era consigliato. La ottava, “De excretionibus”, è molto particolareggiata, dal sudore alle emorroidi, e la possiamo immaginare in tutte le sue configurazioni. L’ultima tesi è quella incentrata sui mali dell’anima. Il saggio è tale se invecchia bene e si invecchia bene solo se si è saggi: niente stress, astinenza generalizzata, tranquillità interiore. Impegno mentale e vita sociale attiva, ma senza eccessi. Questa savia astensione riguarda, a quanto pare, anche il sesso visto che il dotto Cassinis non ne fa parola se non tra le righe. Ma alla fin fine a che cosa serve, specie in tarda età, la pratica dei piaceri della carne quando possiamo sfogarci su una cyclette o concederci una seduta di yoga o sfiancarci coi nipotini? Dopo aver ascoltato attentamente la esposizione del bravo Cassinis ci rendiamo conto di non aver mai letto una versione italiana del suo elaborato. Qualcuno di noi potrebbe dedicarsi alla traduzione e divulgare questo elisir di lunga vita in forma testuale. Nel “Proemius” il nostro concittadino praghese di adozione inserì un cenno a Talete di Mileto al quale fu chiesto chi fosse per lui il più felice dei mortali. Il filosofo rispose “Is qui corpore sanus”. D’altro canto “tantus igitur ab omni aevo ad moderna usque tempora fuit sanitatis, vitaeque longevitatis amor”: in tutti i tempi, quelli più antichi, quelli del Cassinis e i nostri, vivere a lungo stando bene rappresenta un traguardo ambito, una sorta di stato di grazia. Il segreto? “Diaeta medicina universalis est”: mangiare come si deve e tenerci in forma per arrivare a contare tante primavere. Giuseppe Cassinis fu senz’altro laureato con lode.

Danilo Craveia

Nel pomeriggio del 7 luglio 1733, trovandoci a passare per Praga e non avendo di meglio da fare, avremmo potuto recarci alla Facoltà di Medicina dell’Alma, Cesarea e Regia Università Carolo-Ferdinandea per assistere alla pubblica disquisizione di un nostro conterraneo, Giuseppe Cassinis da Biella. Il biellese era già “Artium Liberalium magister”, nonché “Philosophiae Doctor” e si presentava quale “Medicinae candidatus” di fronte a tutto il Collegio gesuitico retto da padre Giovanni Seidel sotto il decanato di padre Leonardo Ferdinando Meisner. Giuseppe Cassinis, che voleva laurearsi in medicina per seguire le orme paterne, avrebbe esposto un suo lavoro niente affatto altisonante né pretenzioso, anzi discreto, quasi modesto e di basso profilo, ossia la “Athanasia longaevitatis, sive Manuductio ad vitam longiorem”, come a dire il manuale per allungare la vita, ovvero tenere più a lungo possibile lontana la morte. All’annuncio di cotanto titolo avremmo visto i venerandi e canuti collegiali avere un lieve sussulto, come un rapido rigurgito vitale, nella speranza che il giovanotto che avevano davanti potesse avere anche solo un po’ di ragione.

Il suddetto laureando, “Josephus Cassinis de Bugella, Boemus Pragensis”, non era proprio uno sconosciuto, anzi avrebbe potuto essere considerato un potenziale raccomandato visto che suo padre, Giovanni Antonio Cassinis, era stato professore di chirurgia nello stesso ateneo per trent’anni e tra il 1694 e il 1713 aveva ricoperto la carica di preside di facoltà cinque volte. L’autore della “Athanasia”, tanto per evitare le solite dietrologie, non mancò di palesare la parentela nella “introductio”. Giuseppe Cassinis, al cospetto di quel consesso postprandiale adunato nell’aula magna del Klementinum (dalle finestre aperte avremmo goduto di un po’ di refrigerio in arrivo dalla vicina Moldava e saremmo stati distratti dal vociare dei passanti che attraversavano il fiume sul ponte Carlo), voleva dimostrare che, con un corretto stile di vita, era possibile campare meglio e di più.

Che idea originale! Noi, giunti a Praga in quel 1733 dal mondo e dal tempo del fitness, degli antiossidanti, della stevia al posto dello zucchero, del “nazi-veganesimo” e dell’ansia da prestazione non più a letto, bensì negli esami del sangue, avremmo accolto col sorriso quel precursore, quel ragazzo così “avanti”, così capace di darci la conferma ex ante di essere noi nel giusto, e di farlo con tutta l’autorevolezza del latino! Che ora indimenticabile, prima di ingozzarci di soia e tofu a merenda! Il Cassinis si permise una premessa non esattamente originale, ma efficace: “Anni eunt, dies currunt, horae volant, nosque mortales impetu praecipiti secum abripiunt”. Eh, già! Anche nel Settecento si aveva la netta sensazione che questa nostra esistenza fosse e sia troppo breve, per non dire precipitosa. L’introduzione, che ripartiva gli uomini in tre categorie, i morti subito, i morti presto e i morti dopo, proseguiva con una metafora: la vita umana è come una nave. Per coloro cui é data la possibilità di vivere più degli altri, “qui matura aetate maris mortui littora ex vicino jam conspexerunt, propediem illuc appulsuri sponte, nisi diem fatalem praeoccupasset libitina. Ferimur ergo cursu admodum celeri veluti remis, velisque...”.

Con una traduzione libera si potrebbe rendere come un monito: da vecchi, dopo aver già visto da vicino i lidi del mare dei morti, si andrebbe spontaneamente all’aldilà, se non fosse che la morte anticipa sempre il giorno fatale. E noi siamo trascinati dalla corrente, molto veloci, come mossi da remi e vele insieme. Il che vuol dire che già ci pensa la morte a venirci incontro, anche senza che corriamo verso di lei con azioni dannose verso noi stessi. La “publica disquisitio”, che fu stampata per i “tipi accademici” del Collegio della Società di Gesù di San Clemente per mano di Jan Norbert Fitzky, appare suddivisa in nove “thesis” o capitoli, tutti davvero gustosi. Alla fine di ciascuna tesi l’autore pose alcune domande e propose sagge risposte. Sì, perché il nocciolo della questione stava (e sta) nella sana alimentazione e nella altrettanto sana abitudine al moto.

Noi spettatori interessati non possiamo che rallegrarci per quella visione così attuale. Se lo dicevano già nel XVIII secolo significa che siamo nel giusto anche nel XXI. La prima “thesis” si intitola “De vita, eiusque prolongatione, et diaeta senum in genere”. Due i principi cardine: muoversi, dato che la vita è sinonimo di movimento e la morte di stasi, e nutrizione bilanciata e regolare, specie per gli anziani. Geniale! Seconda tesi: “De mutatione aetatum, eiusdem causa”. La descrizione del decadimento fisico, tra umori, “crassitia”, torbidezza, “impuritas, excretiones” eccetera è da film splatter, ma il Cassinis sapeva il fatto suo. E suggeriva di bere bene, ma poco, di mangiare verdura e di fare ginnastica dolce, anche solo una “moderata per cubicula in plano deambulatio”. La terza tesi tratta della qualità dell’aria che si deve respirare, la quarta del cibo di cui nutrirsi con due massime eterne prese in prestito dall’Università di Salerno. “Ut sis nocte levis sit tibi cena brevis”: vuoi dormire bene, non vuotare il frigorifero. “Ut vites poenam de potibus incipe coenam”: vuoi evitare di digerire dopodomani, inizia la cena con una sana bevuta (di che cosa non è specificato). La quinta si occupava “De Potu”, ovvero dei liquidi da ingerire. I quesiti in calce definivano il vino come migliore della birra, almeno per i vecchi, che bere acqua fredda prima di sorbire cioccolata era una sciocchezza, che tè, caffè e cioccolata erano veri toccasana per i nonni. Sesta tesi: “De Motu, et Quiete”. L’uno e l’altra con senno, senza esagerare. E sembra che il Cassinis avesse un motto pronto per tutto: “Post mensam pausa, nec stes, nec eas sine causa”: dopo mangiato stai tranquillo, ma non poltrire troppo e nemmeno non metterti subito a correre, che la digestione ha i suoi ritmi. La settima riguardava il sonno e la veglia. Anche per questo il meglio stava nel mezzo: né troppo né troppo poco. Sette ore al giorno “sat est” (è sufficiente) per i giovani come per i vecchi. E per gli anziani il sonnellino pomeridiano era consigliato. La ottava, “De excretionibus”, è molto particolareggiata, dal sudore alle emorroidi, e la possiamo immaginare in tutte le sue configurazioni. L’ultima tesi è quella incentrata sui mali dell’anima. Il saggio è tale se invecchia bene e si invecchia bene solo se si è saggi: niente stress, astinenza generalizzata, tranquillità interiore. Impegno mentale e vita sociale attiva, ma senza eccessi. Questa savia astensione riguarda, a quanto pare, anche il sesso visto che il dotto Cassinis non ne fa parola se non tra le righe. Ma alla fin fine a che cosa serve, specie in tarda età, la pratica dei piaceri della carne quando possiamo sfogarci su una cyclette o concederci una seduta di yoga o sfiancarci coi nipotini? Dopo aver ascoltato attentamente la esposizione del bravo Cassinis ci rendiamo conto di non aver mai letto una versione italiana del suo elaborato. Qualcuno di noi potrebbe dedicarsi alla traduzione e divulgare questo elisir di lunga vita in forma testuale. Nel “Proemius” il nostro concittadino praghese di adozione inserì un cenno a Talete di Mileto al quale fu chiesto chi fosse per lui il più felice dei mortali. Il filosofo rispose “Is qui corpore sanus”. D’altro canto “tantus igitur ab omni aevo ad moderna usque tempora fuit sanitatis, vitaeque longevitatis amor”: in tutti i tempi, quelli più antichi, quelli del Cassinis e i nostri, vivere a lungo stando bene rappresenta un traguardo ambito, una sorta di stato di grazia. Il segreto? “Diaeta medicina universalis est”: mangiare come si deve e tenerci in forma per arrivare a contare tante primavere. Giuseppe Cassinis fu senz’altro laureato con lode.

Danilo Craveia

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