INTERVISTA

«Il basso di “Vado al massimo”? Sono io...»

Pier Michelatti, noto musicista per tanti “big” e oggi residente nel Biellese, presenta il suo libro questo pomeriggio, sabato, da “Giovannacci”.

«Il basso di “Vado al massimo”? Sono io...»
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Pier Michelatti, noto musicista per tanti “big” e oggi residente nel Biellese, presenta il suo libro questo pomeriggio, sabato, da “Giovannacci”.

L’incontro

I sogni non hanno prezzo. Un valore, però, sì. E nel caso di Pier Michelatti, uno dei migliori bassisti nel panorama musicale italiano, il suo germoglio di sogno è valso 42mila lire, lo stipendio di un mese nel finire degli anni Sessanta, ovvero il prezzo dello strumento che sua madre, con grande sacrificio, gli fece avere. Lui, bambino di 12 anni, allora neppure sapeva suonare un basso, ma una cosa la sapeva molto bene: era tagliato per la musica e per il professionismo. Il primo passo sarebbe stato quello di entrare nella band del suo paese, e spiccare il volo.

Gli anni a seguire gli hanno dato ragione: Michelatti ha suonato, tanto per citarne alcuni, per Gaber, Umberto Tozzi, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini, Adriano Celentano, Vasco Rossi e, soprattutto, l’amico Fabrizio De André. Un viaggio lungo oltre trent’anni nella musica italiana che il musicista e produttore, originario di San Germano Vercellese ma oggi residente nel Biellese, racconta nel libro “Cominciare dal basso” (96. rue de-La-Fontaine Edizioni), che verrà presentato alla Libreria “Giovannacci” oggi sabato - 20 aprile 2024- alle ore 17.30. Dialogherà con lui Arnaldo Allara. Qui, Pier Michelatti anticipa a “Eco” un po’ della sua storia professionale e aneddoti che rendono la sua opera una testimonianza vera di un mondo che pochi conoscono, il “dietro le quinte”.

Una scommessa, il padre che lo voleva ingegnere, l’allontanamento da casa per fare della musica la sua vita e il suo pane, il “piano b” del «se non combino niente, torno a fare il geometra o l’insegnante di musica». Dolori, gioie, momenti di stasi, i The Worms poi diventati I Vermi, il diploma del quinto anno di contrabbasso al Conservatorio “Vivaldi” di Alessandria, i Charity & Faith e il loro hard rock, dai Magma ai Cottonfields con gli ingaggi utili per comprare una Autobianchi A112 beige, un buon amplificatore, un nuovo strumento, degli abiti, «e riuscii pure a metter via qualcosa», fino al ruolo di chitarrista nei Domodossola che gli stava stretto, lui sempre attratto dalle basse frequenze, e all’Augusto Righetti Group, al quale seguirono le prime registrazioni musicali.

La storia, raccontata nel libro, racconta di impegno, duro lavoro, riconoscimenti, fatiche ed episodi divertenti. Come quella volta che, in una balera del Pavese, con la sua band mise seduti i presenti, dopo i consueti balli, per proporre alcune delle loro canzoni originali. L’esito? «Ci tirarono di tutto, persino una sedia». Va detto, il protagonista dei racconti di Pier Michelatti è lui, il basso, come spiega: «Fu una scelta casualissima. Ero a San Germano Vercellese, 1966: c’erano dei ragazzi che cercavano di suonare pezzi dei Beatles e mancava il bassista. Sapendo qualcosina, mi sono offerto subito, ma avevo solo un’idea vaga di cosa fosse il basso. L’ho capito dopo. O, meglio, il concetto di basso: il basso comanda sempre, è ciò su cui si basa l’architettura musicale». E il suo marchio distintivo era speciale, come gli dirà al momento di un incontro rivelatore Fabrizio De André: «Hai un bel suono, sai? Bello “grasso”, come piace a me. Ti andrebbe di partecipare alla registrazione del mio prossimo disco?».

I famosi

Allora, 1981, Pier Michelatti aveva già “esordito” con una giovane Gianna Nannini e il suo “California”: «Mi ero trovato nel posto giusto al momento giusto, quella volta con Fabrizio. Ero in studio a registrare un disco di Massimo Bubola, prodotto dallo stesso De André e mi sentì suonare...». Il loro sodalizio cominciò, dunque, così, dal “disco dell’indiano”, «e da lì venni chiamato a registrare un po’ per tutti: Marcella Bella, Ornella Vannoni, Fiorella Mannoia, Edoardo Bennato, Andrea Bocelli, Vasco Rossi. Il basso della canzone “Vado al massimo” è il mio, sa?”. E Vasco? «Una sorpresa mista a trauma - sorride - Arriva in studio questo tizio che non conoscevo. Si doveva riposare, perché il sabato prima aveva fatto serata in un locale della Romagna, ciondolante e schietto: “Ma come fanno a suonare senza sapere cosa dirò?”, chiede riguardo a noi musicisti. Fa piazzare un microfono in mezzo, mentre registravamo in diretta e lui ci canta testo e melodia, in modo che potessimo interpretare al meglio. Mentre cantava, io non capivo niente. Poi, una volta comprato il disco, mi sono reso conto che avevo preso parte alla registrazione di un album di un grande artista».

Quanto ai “grandi” della musica italiana, Impossibile non chiedergli di De André, in omaggio al quale Pier Michelatti si esibisce ancora oggi con il gruppo Faber per Sempre: «Fabrizio, per me Bicio, era un personaggio dalle molte facce: amabile fuori dal palco e fuori dallo studio, diventava un “aguzzino” quando si facevano le prove. Dopo dieci anni che se n’era andato, mi chiamò Dori Ghezzi dicendomi che, riordinando gli scaffali, aveva trovato in una sua agenda di banca uno scritto a me dedicato. Era un pensiero intimo, in cui diceva: “Non sai il piacere che ho nel sentirti suonare dietro il basso mentre canto, è come sentirsi protetti”. Fabrizio poche volte faceva i complimenti e tendeva a chiudere con ironia. Con lui era vera amicizia, stima, un rapporto fraterno».
Giovanna Boglietti

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