INTERVISTA

Giuseppe Palumbo a "Nuvolosa": «Io, un fumettista archeologo»

È uno dei maestri del fumetto contemporaneo. E sarà l’ospite d’onore del festival che si aprirà oggi pomeriggio, sabato, a Palazzo Ferrero. 

Giuseppe Palumbo a "Nuvolosa": «Io, un fumettista archeologo»
Pubblicato:

È uno dei maestri del fumetto contemporaneo. E sarà l’ospite d’onore del festival che si aprirà oggi pomeriggio, sabato, a Palazzo Ferrero.

L'intervista

È uno dei maestri del fumetto contemporaneo. E sarà l’ospite d’onore di “Nuvolosa 2023”. Giuseppe Palumbo, straordinaria mano, tra gli altri, di Diabolik e Ramarro, si prepara a raggiungere Biella dal suo studio di Bologna, per l’incontro con il pubblico previsto domani domenica nella cornice del festival, a Palazzo Ferrero - Miscele Culturali. Lì, parlerà del suo «lavoro diabolico», ma anche del libro “Pasolini 1964. Oltre Matera e il Mediterraneo”.
Eco di Biella” l’ha intervistato in anteprima, scoprendone la creatività poliedrica, che tocca anche l’editoria e l’insegnamento, e che si alimenta di una vena “nascosta”, l’archeologia.

Fumettista professionista, un sogno di bambino o il fato? Pare venga dall’Archeologia, è corretto?
«Proprio così, io sono laureato in Lettere Antiche indirizzo Archeologico. Sicuramente l’amore per il fumetto è un aspetto generazionale. La mia generazione, come le precedenti e almeno un’altra successiva, sono cresciute leggendo fumetti. E tutto si fa per imitazione, così è stato per me a partire dai maestri che ho amato. Penso a Magnus di “Alan Ford” e “Kriminal”, che è il mio punto di riferimento in quanto autore, e io come lui, di un fumetto seriale ma che ha fatto anche ricerca di altissimo livello sul linguaggio del fumetto e sulle narrazioni legate al fumetto. Per me, è una continua fonte di ispirazione. Cito anche Jean Giraud, disegnatore della serie western “Blueberry”, che è stato un innovatore del fumetto d’autore, incredibile per la qualità del disegno, come si fanno fumetti».

E l’archeologia come si inserisce nella sua carriera?
«Be’, l’archeologia è stata la mia prima passione, perché io sono originario di Matera, città antichissima, e mio padre era un grande cultore della storia e delle tradizioni della città. Sono cresciuto in un contesto pieno di libri di storia e di storia dell’arte. Alla stesso tempo, ero un ragazzo cresciuto leggendo fumetti. Devo dire che il modo di operare di un archeologo è simile a quello degli autori di storie, che scavano nelle psicologie dei personaggi e ricostruiscono gli ambienti. Tanto che i miei personaggi, spesso e volentieri, si trovano in una dimensione del tempo antica. E non è strano che uno dei primi personaggi che ho disegnato sia Martin Mystére, un archeologo...».

Lei ha inventato Ramarro, il primo supereroe masochista. Com’è nata l’idea?
«Erano gli ultimi anni della Guerra Fredda e si era a un passo dalla guerra atomica. L’idea che il genere umano si stesse auto distruggendo, nei miei vent’anni, era decisamente presente. Cresciuto con i supereroi americani, pensai al contrario a un eroe “aberrante”. Sì, ci voleva un eroe masochista».

Veniamo a lui, a Diabolik, che ha compiuto 60 anni. Che storia è la vostra?
«Una storia importante, dopo vent’anni. Una storia d’amore, anche se più con Eva - scherza -. Astorina è la casa editrice con la quale ho lavorato più a lungo e ho avuto la fortuna di ricevere l’incarico di disegnare storie parallele alla serie regolare, storie un po’ speciali tra prequel e sequel. Avevo a disposizione un formato più grande, una struttura di pagina più complessa e una foliazione più lunga, questo ha fatto sì che nascessero storie più articolate e ricche, dal punto di vista dalla psicologia e degli aspetti scenografici. Sono aspetti diversi di ritmo della narrazione ed è stato grazie a questi se Diabolik, che nella serie regolare è una maschera fissa (cosa che ne ha fatto la fortuna con lo sguardo gelido in tutte le reazioni), nel mio lavoro “recita” e questo si deve alle idee di sceneggiatori del calibro di Mario Gomboli, Tito Faraci, Alfredo Castelli e Sandrone Dazieri, al fine di ottenere storie molto coinvolgenti».

Secondo lei, qual è il segreto del successo di Diabolik?
«La seduzione del male è sempre potente. Nel classico meccanismo empatico di lettura, gli si trasferiscono tutte le pulsioni. La fortuna di Diabolik è che probabilmente, nonostante l’efferatezza del fatto di essere un assassino e un ladro, mantiene una sorta di aplomb e un codice etico che non lo fanno sembrare un pazzo criminale. Che ami una donna per tutta la vita, poi, è qualcosa di rassicurante. Ed Eva è la chiave di volta della serie, senza di lei Diabolik non sarebbe stato Diabolik. Nel loro sodalizio, il complemento rosa della serie è un aspetto fondamentale e fa sì che il pubblico sia molto variegato. Questo continua a fare la differenza».

E cosa ci dice del set del film?
«Ero sul set. Pensi che mi sono trovato nella scena che avevo disegnato, in quanto impersonavo il disegnatore del tribunale. Bellissimo e sì, straniante».

Un consiglio, lei che è docente anche, agli aspiranti fumettisti professionisti...
«Mai come adesso questa professione offre delle possibilità in tutto il mondo. Quello che fa la differenza, come in passato, è la qualità artistica del disegno e un proprio stile. Non solo, questa professione non è mai di una persona soltanto, perché i fumetti si fanno “in banda”. Consiglio di conoscere come si fanno i fumetti in tutte le loro sfaccettature».
Giovanna Boglietti

Seguici sui nostri canali