Giacomo d’Eusebio prete e notaio in Scandinavia

Lo sguardo indagatore della Storia sa posarsi non solo sui protagonisti al centro della scena, ma anche sui personaggi secondari, sulle comparse e sullo sfondo del suo stesso teatro. E’ questo il bello del frequentare il passato, il palco dove i ruoli sono definiti, ma non per questo meno imprevedibili o meno ricchi di insospettabile fascino e mistero. Con questa premessa immaginiamo la piccola delegazione di biellesi che raggiunse Avignone nel 1344 per incontrare il vescovo di Vercelli, Emanuele Fieschi. Il Fieschi si era rifugiato presso la corte papale avignonese (il Papato aveva trasferito la sua sede in Francia nel 1309 e vi sarebbe rimasto fino al 1377) perché in attrito con il signore di Vercelli, Galeazzo II Visconti, padre del più celebre Gian Galeazzo primo duca di Milano. L’incontro era motivato dalla necessità di ratificare una transazione risalente al 1340. Stipulata tra gli uomini di Biella e il vescovo Lombardo della Torre, predecessore del Fieschi, verteva sulle successioni ab intestato, ovvero per i lasciti dei morti senza testamento e senza prole maschile legittima che monsignore voleva per sè. I biellesi avevano sborsato 2.000 scudi una tantum perché l’episcopus, deceduto nel 1343, non potesse avanzare pretese su quelle eredità, ma cambiato il vescovo era d’uopo che i patti fossero nuovamente chiariti per far sì che l’amicizia restasse lunga. Ecco la ragione di quel viaggio che, possiamo immaginare, sia avvenuto nei mesi migliori.
I nostri antenati abituati alla frescura alpestre scoprirono la calura della Provenza da cui il Petrarca proprio in quegli anni si difendeva risalendo le “chiare, fresche et dolci acque” della Sorgue fino alla Fontaine-de-Vaucluse. Nella sala della magione del vescovo Fieschi si schierarono quindi il padrone di casa e i delegati di Biella ma, sebbene quell’incontro fosse assai importante e sebbene il suo esito sia stato positivo per i rappresentanti in trasferta, il nostro interesse non va né all’uno né agli altri. Nella stanza c’era almeno un’altra persona, il segretario dello stesso vescovo, un prete notaio chiamato Giacomo d’Eusebio. E’ su di lui che oggi dobbiamo fissare il nostro di sguardo indagatore. In primis perché era originario di Biella, ma soprattutto perché quel sacerdote biellese che stava svolgendo il suo mestiere di scriba in quella calda dimora provenzale, in quel preciso momento aveva la mente altrove. Sudando con la penna in mano, Giacomo d’Eusebio de Bugella stava pensando al ghiaccio. E non come pratica mentale per abbassare la temperatura del suo corpo. E nemmeno per rievocare gli inverni della sua infanzia biellese al cospetto di quei conterranei sudati quanto e più di lui, che alle estati della valle del Rodano si era almeno un po’ abituato, visto che erano già tre lustri che viveva da quelle parti. No, i suoi pensieri erano piuttosto ricordi di una vicenda straordinaria che si era conclusa giusto dieci anni prima, ma che non mancava mai, neanche nelle giornate più roventi, di fargli venire brividi di freddo, quelli che vengono solo a chi ha provato il gelo vero dell’inverno vero, solo a chi ha camminato per nives de nocte, lassù al Nord.
Nell’estate del 1330 il papa francese Giovanni XXII era a corto di soldi per sostenere i cristiani in quel che restava della struttura militare delle crociate che da offensiva si era ridotta a difensiva. La Cristianità era stremata da guerre e miserie e non si poteva contare a breve su altro imponibile, ma il sistema di riscossione delle decime poteva essere migliorato e snellito dall’invio di appositi legati pontifici con i poteri di collettori diretti. C’erano vasti territori di fede cattolica che meritavano un trattamento simile. Uno di questi era la Scandinavia. Giovanni XXII scelse un canonico della chiesa di Saint-Vozy du Puy, Pierre Gervais, per una missione così delicata e rischiosa: andare nei regni di Norvegia e Svezia a riscuotere il dovuto, senza tante cerimonie e perché, in fondo, Dio lo voleva. Pierre Gervais scelse a sua volta un notaio scrivano capace di vergare strumenti, ma anche in grado di tenere i conti e la corrispondenza con Avignone, un uomo probo e robusto che fosse anche un compagno di ventura affidabile in quelle lande infide. La scelta cadde sul prete Giacomo d’Eusebio da Biella. Il 2 agosto 1330 il Sommo Pontefice impresse l’anello del Pescatore nella cera fusa del sigillo applicato alla lettera che avrebbe aperto loro le porte e, cosa più importante, le borse dei vescovi scandinavi. Quel lembo di pelle di pecora costituiva anche un documento d’identità, un attestato d’autorità e un lasciapassare. Ma non si misero per strada ad agosto e nemmeno a settembre. Attesero, non è chiaro il motivo, fino a novembre. Percorsero l’Europa nel tardo autunno e in inverno. Sostarono nel tragitto, forse per il maltempo. Passarono l’Øresund e giunsero a Lund, sopra Malmö, nel marzo del 1331. Rimasero nella Scania per un anno intero, impegnati a svuotare i forzieri di curie episcopali e chiese collegiate. Molto di quel denaro sarebbe già dovuto essere ad Avignone o in Medio Oriente. Poteva bastare.
Si incamminarono verso Sud. Sbarcati a Lubecca furono però raggiunti da alcune lettere spedite dal papa. Non era ancora finita. La missione di Pierre Gervais e del fido d’Eusebio era, al contrario, ampliata a tutta la penisola scandinava, isole comprese. Il 5 settembre erano nuovamente a Lund finendo con l’essere coinvolti nelle questioni interne di reami divisi in fazioni o in antiche tribù. Soggiornarono a Stoccolma e furono ospiti a Uppsala. Si spinsero fino all’isola di Gotland e lì Pierre Gervais inviò il priore del monastero di Visby dal papa per aggiornarlo sugli sviluppi della missione. Nella primavera del 1333, con tanto di scorta armata (il che la dice lunga sulla sicurezza di quelle strade), entrarono in Norvegia. A Oslo il legato pontificio dovette fare la voce grossa e minacciare la scomunica ai riottosi alti prelati norvegesi. La spuntò e ottenne i denari di Stavanger e delle Orcadi. Poi si portarono a Bergen per ricevere quelli delle Fær Øer. Forse arrivarono fino a Trondheim perché da lassù spedirono nella remota Islanda il prete Vigfus per rammentare al vescovo di Skálholt che la croce nella Terra Santa si difendeva anche con le tasse ecclesiastiche della Terra del Ghiaccio. Giacomo d’Eusebio da Biella rilasciò copie del breve pontificio che plenipotenziava il canonico Gervais, registrò versamenti, rilasciò quietanze: gli archivi scandinavi lo attestano a Roskilde in Selandia (Danimarca) il 17 aprile 1332, il 22 marzo 1333 a Uppsala, il 4 maggio seguente a Stoccolma per annotare l’esborso del vescovo Karol di Linköping. Il 15 maggio ancora a Uppsala per tre atti in un giorno solo dinanzi ai canonici della Connestabile di quella città, ancora oggi la più importante domkyrka cattolica di Svezia.
Pierre Gervais e il nostro conterraneo d’Eusebio non risparmiarono energie e passi, non evitarono sequestri e furti, ma furono abbastanza scaltri da ripartire gli invii, da separare le spedizioni, da non fidarsi di nessuno, anche di coloro che servivano Santa Madre Chiesa. Soprattutto patirono gli effetti di temperature che non avevano mai immaginato di poter percepire. Furono abbagliati dal bianco, furono affascinati dalle aurore polari, vissero giornate quasi senza sole, posarono i piedi segnati dai geloni sui mari ghiacciati attorno alle carene delle navi. Si persero nelle foreste e riconobbero gli animali che prima avevano potuto vedere solo nei bestiari delle biblioteche delle abbazie. Finalmente, nel 1334, venne il tempo di tornare. Ancora Lubecca, poi Amburgo e Bruges via mare. Il 27 agosto erano in vista del Rocher des Doms e del cantiere del futuro Palazzo dei Papi di Avignone. Dieci anni dopo il prete Giacomo d’Eusebio avrebbe fatto il suo mestiere davanti alla sua gente, professionale come sempre, ma distratto dai soliti vecchi e nitidissimi ricordi candidi e gelidi.
Il notaio apostolico che da Biella si avventurò in Scandinavia era ancora vivo nel 1348, ancora al servizio del vescovo Emanuele Fieschi. Fu sempre lui a redigere un ulteriore atto di conferma della transazione del 1340. Altre sue tracce andrebbero cercate nell’Archivio Segreto Vaticano dove si conserva il “Liber rationum” di Pierre Gervais, vero e proprio diario contabile (tenuto dal nostro Giacomo?) di quella spedizione avventurosa nelle terre dei Goti e dei Vichinghi. In attesa di nuove notizie possiamo chiudere parafrasando Gabriel Garcia Màrquez: molti anni dopo, in punto di morte, Giacomo d’Eusebio da Biella si sarebbe ricordato di quel remoto periodo della sua vita in cui il canonico Gervais lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.Danilo Craveia
Lo sguardo indagatore della Storia sa posarsi non solo sui protagonisti al centro della scena, ma anche sui personaggi secondari, sulle comparse e sullo sfondo del suo stesso teatro. E’ questo il bello del frequentare il passato, il palco dove i ruoli sono definiti, ma non per questo meno imprevedibili o meno ricchi di insospettabile fascino e mistero. Con questa premessa immaginiamo la piccola delegazione di biellesi che raggiunse Avignone nel 1344 per incontrare il vescovo di Vercelli, Emanuele Fieschi. Il Fieschi si era rifugiato presso la corte papale avignonese (il Papato aveva trasferito la sua sede in Francia nel 1309 e vi sarebbe rimasto fino al 1377) perché in attrito con il signore di Vercelli, Galeazzo II Visconti, padre del più celebre Gian Galeazzo primo duca di Milano. L’incontro era motivato dalla necessità di ratificare una transazione risalente al 1340. Stipulata tra gli uomini di Biella e il vescovo Lombardo della Torre, predecessore del Fieschi, verteva sulle successioni ab intestato, ovvero per i lasciti dei morti senza testamento e senza prole maschile legittima che monsignore voleva per sè. I biellesi avevano sborsato 2.000 scudi una tantum perché l’episcopus, deceduto nel 1343, non potesse avanzare pretese su quelle eredità, ma cambiato il vescovo era d’uopo che i patti fossero nuovamente chiariti per far sì che l’amicizia restasse lunga. Ecco la ragione di quel viaggio che, possiamo immaginare, sia avvenuto nei mesi migliori.
I nostri antenati abituati alla frescura alpestre scoprirono la calura della Provenza da cui il Petrarca proprio in quegli anni si difendeva risalendo le “chiare, fresche et dolci acque” della Sorgue fino alla Fontaine-de-Vaucluse. Nella sala della magione del vescovo Fieschi si schierarono quindi il padrone di casa e i delegati di Biella ma, sebbene quell’incontro fosse assai importante e sebbene il suo esito sia stato positivo per i rappresentanti in trasferta, il nostro interesse non va né all’uno né agli altri. Nella stanza c’era almeno un’altra persona, il segretario dello stesso vescovo, un prete notaio chiamato Giacomo d’Eusebio. E’ su di lui che oggi dobbiamo fissare il nostro di sguardo indagatore. In primis perché era originario di Biella, ma soprattutto perché quel sacerdote biellese che stava svolgendo il suo mestiere di scriba in quella calda dimora provenzale, in quel preciso momento aveva la mente altrove. Sudando con la penna in mano, Giacomo d’Eusebio de Bugella stava pensando al ghiaccio. E non come pratica mentale per abbassare la temperatura del suo corpo. E nemmeno per rievocare gli inverni della sua infanzia biellese al cospetto di quei conterranei sudati quanto e più di lui, che alle estati della valle del Rodano si era almeno un po’ abituato, visto che erano già tre lustri che viveva da quelle parti. No, i suoi pensieri erano piuttosto ricordi di una vicenda straordinaria che si era conclusa giusto dieci anni prima, ma che non mancava mai, neanche nelle giornate più roventi, di fargli venire brividi di freddo, quelli che vengono solo a chi ha provato il gelo vero dell’inverno vero, solo a chi ha camminato per nives de nocte, lassù al Nord.
Nell’estate del 1330 il papa francese Giovanni XXII era a corto di soldi per sostenere i cristiani in quel che restava della struttura militare delle crociate che da offensiva si era ridotta a difensiva. La Cristianità era stremata da guerre e miserie e non si poteva contare a breve su altro imponibile, ma il sistema di riscossione delle decime poteva essere migliorato e snellito dall’invio di appositi legati pontifici con i poteri di collettori diretti. C’erano vasti territori di fede cattolica che meritavano un trattamento simile. Uno di questi era la Scandinavia. Giovanni XXII scelse un canonico della chiesa di Saint-Vozy du Puy, Pierre Gervais, per una missione così delicata e rischiosa: andare nei regni di Norvegia e Svezia a riscuotere il dovuto, senza tante cerimonie e perché, in fondo, Dio lo voleva. Pierre Gervais scelse a sua volta un notaio scrivano capace di vergare strumenti, ma anche in grado di tenere i conti e la corrispondenza con Avignone, un uomo probo e robusto che fosse anche un compagno di ventura affidabile in quelle lande infide. La scelta cadde sul prete Giacomo d’Eusebio da Biella. Il 2 agosto 1330 il Sommo Pontefice impresse l’anello del Pescatore nella cera fusa del sigillo applicato alla lettera che avrebbe aperto loro le porte e, cosa più importante, le borse dei vescovi scandinavi. Quel lembo di pelle di pecora costituiva anche un documento d’identità, un attestato d’autorità e un lasciapassare. Ma non si misero per strada ad agosto e nemmeno a settembre. Attesero, non è chiaro il motivo, fino a novembre. Percorsero l’Europa nel tardo autunno e in inverno. Sostarono nel tragitto, forse per il maltempo. Passarono l’Øresund e giunsero a Lund, sopra Malmö, nel marzo del 1331. Rimasero nella Scania per un anno intero, impegnati a svuotare i forzieri di curie episcopali e chiese collegiate. Molto di quel denaro sarebbe già dovuto essere ad Avignone o in Medio Oriente. Poteva bastare.
Si incamminarono verso Sud. Sbarcati a Lubecca furono però raggiunti da alcune lettere spedite dal papa. Non era ancora finita. La missione di Pierre Gervais e del fido d’Eusebio era, al contrario, ampliata a tutta la penisola scandinava, isole comprese. Il 5 settembre erano nuovamente a Lund finendo con l’essere coinvolti nelle questioni interne di reami divisi in fazioni o in antiche tribù. Soggiornarono a Stoccolma e furono ospiti a Uppsala. Si spinsero fino all’isola di Gotland e lì Pierre Gervais inviò il priore del monastero di Visby dal papa per aggiornarlo sugli sviluppi della missione. Nella primavera del 1333, con tanto di scorta armata (il che la dice lunga sulla sicurezza di quelle strade), entrarono in Norvegia. A Oslo il legato pontificio dovette fare la voce grossa e minacciare la scomunica ai riottosi alti prelati norvegesi. La spuntò e ottenne i denari di Stavanger e delle Orcadi. Poi si portarono a Bergen per ricevere quelli delle Fær Øer. Forse arrivarono fino a Trondheim perché da lassù spedirono nella remota Islanda il prete Vigfus per rammentare al vescovo di Skálholt che la croce nella Terra Santa si difendeva anche con le tasse ecclesiastiche della Terra del Ghiaccio. Giacomo d’Eusebio da Biella rilasciò copie del breve pontificio che plenipotenziava il canonico Gervais, registrò versamenti, rilasciò quietanze: gli archivi scandinavi lo attestano a Roskilde in Selandia (Danimarca) il 17 aprile 1332, il 22 marzo 1333 a Uppsala, il 4 maggio seguente a Stoccolma per annotare l’esborso del vescovo Karol di Linköping. Il 15 maggio ancora a Uppsala per tre atti in un giorno solo dinanzi ai canonici della Connestabile di quella città, ancora oggi la più importante domkyrka cattolica di Svezia.
Pierre Gervais e il nostro conterraneo d’Eusebio non risparmiarono energie e passi, non evitarono sequestri e furti, ma furono abbastanza scaltri da ripartire gli invii, da separare le spedizioni, da non fidarsi di nessuno, anche di coloro che servivano Santa Madre Chiesa. Soprattutto patirono gli effetti di temperature che non avevano mai immaginato di poter percepire. Furono abbagliati dal bianco, furono affascinati dalle aurore polari, vissero giornate quasi senza sole, posarono i piedi segnati dai geloni sui mari ghiacciati attorno alle carene delle navi. Si persero nelle foreste e riconobbero gli animali che prima avevano potuto vedere solo nei bestiari delle biblioteche delle abbazie. Finalmente, nel 1334, venne il tempo di tornare. Ancora Lubecca, poi Amburgo e Bruges via mare. Il 27 agosto erano in vista del Rocher des Doms e del cantiere del futuro Palazzo dei Papi di Avignone. Dieci anni dopo il prete Giacomo d’Eusebio avrebbe fatto il suo mestiere davanti alla sua gente, professionale come sempre, ma distratto dai soliti vecchi e nitidissimi ricordi candidi e gelidi.
Il notaio apostolico che da Biella si avventurò in Scandinavia era ancora vivo nel 1348, ancora al servizio del vescovo Emanuele Fieschi. Fu sempre lui a redigere un ulteriore atto di conferma della transazione del 1340. Altre sue tracce andrebbero cercate nell’Archivio Segreto Vaticano dove si conserva il “Liber rationum” di Pierre Gervais, vero e proprio diario contabile (tenuto dal nostro Giacomo?) di quella spedizione avventurosa nelle terre dei Goti e dei Vichinghi. In attesa di nuove notizie possiamo chiudere parafrasando Gabriel Garcia Màrquez: molti anni dopo, in punto di morte, Giacomo d’Eusebio da Biella si sarebbe ricordato di quel remoto periodo della sua vita in cui il canonico Gervais lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
Danilo Craveia