Dalla Valle Elvo al mondo (e ritorno)
Al Centro di documentazione sulla emigrazione di Donato, mille storie di emigrati biellesi in mostra. E a Graglia l'11 agosto c'è la loro festa.

Nel 1848, il piccolo comune di Donato contava 1542 abitanti, più del doppio di oggi. L’economia della zona – pastorizia, artigianato del ferro, le prime fabbriche nella valle – non bastava a sfamarli tutti e così iniziò l’emigrazione verso la Francia: si trattava soprattutto di operai edili occupati in lavori stagionali che, una volta concluso il periodo di lavoro, ritornavano a casa da moglie e figli.

Meta preferita, la Francia
A fine Ottocento, non c’era quasi famiglia del paese che non avesse al suo interno un emigrante, e c’era perfino una scuola serale con lezioni di francese per chi intendeva partire. La destinazione preferita continuava ad essere la Francia, ma le mete si moltiplicavano e si allontanavano - Nizza, Normandia, Bretagna, Svizzera e, da inizio ‘900, anche Buenos Aires, Nuova York, il Nord Africa - e gli spostamenti spesso diventano definitivi, con il trasferimento di tutta la famiglia all’estero. Alcuni di questi emigrati – soprattutto quelli partiti nel secondo dopoguerra - dopo un certo numero di anni o raggiunta la pensione, faranno ritorno al paese d’origine, ma la maggior parte finirà per radicarsi definitivamente nella nuova realtà.
Dalla Valle Elvo si stima che, tra metà Ottocento e metà Novecento, siano partite 12-15mila persone. Si trattava soprattutto lavoratori qualificati, che avevano in mano un mestiere, come i ciulin di Graglia, selciatori specializzati nel lastricare le strade, oppure i trabücant, muratori specializzati nelle decorazioni. Partivano grazie al passaparola, talvolta chiamati da compaesani emigrati da tempo e ormai in grado di assumere manodopera, e spesso facevano fortuna, mettendosi a loro volta in proprio: piccole imprese edili, ma anche negozi, attività di ristorazione, officine, laboratori artigianali. E le donne non erano da meno, ingegnandosi con piccole attività autonome o trovando lavoro nelle manifatture locali.

Selciatori 'ciulin' di Graglia a Chambéry, 1921

Louis Crida con i selciatori della sua impresa, Lione 1920

5. Santina Bonino di Torrazzo, con la figlia Dirce sulla porta del loro negozio di alimentari, Parigi 1930 (Archivio Fondazione Sella)

3. Luigi Galliano e la moglie Ernesta di Mongrando davanti al loro negozio di calzature, Grenoble anni ‘30

Giuseppe Bertinaria di Netro con la banda musicale di Ginevra in gita a Montecarlo, 1933

Il salone di motocicli Lambretta di Lino Crudo, Mayelle (FR) 1945
Un mosaico di mille storie
Sono migliaia le storie familiari che si snodano tra speranze, successi e le tante difficoltà che costellano la vita degli emigranti: il distacco, la nostalgia, il duro lavoro, la nuova lingua e il cibo a cui abituarsi… A raccoglierle in un grande racconto collettivo è il Centro di Documentazione sulla Emigrazione creato dall’Ecomuseo Valle Elvo e Serra, ospitato in quella che – nello stesso periodo della grande emigrazione – fu la sede della Società Operaia di Donato.
Il centro – dedicato a Gian Paolo Chiorino, promotore dell’iniziativa, scomparso due anni fa – ha raccolto, catalogato e digitalizzato un enorme archivio dedicato alla storia dell’emigrazione dalla Valle Elvo. Questo materiale – 7mila biografie, oltre un migliaio di foto - non resta però chiuso negli armadi ma ogni estate prende vita con una nuova mostra tematica dedicata a una delle tante facce dell’emigrazione biellese. Ogni mostra - ne sono già state realizzate otto - resta esposta, durante tutto il periodo di apertura della Rete Museale, nei locali della antica Società Operaia.

Ogni anno, la mostra e la festa
E la mostra diventa il punto di attrazione per l’evento clou del Centro: il raduno che ogni anno – intorno alla metà di agosto - richiama in Valle Elvo gli emigrati originari dei paesi della zona (e non solo), per una giornata di festa. E sono tanti a sentire il richiamo delle radici, perché molti– anche quelli che da generazioni vivono all’estero - hanno mantenuto qualche legame con i paesi nativi: qualche parente, una vecchia casa di famiglia, qualche ricordo delle vacanze dell’infanzia.

Così, non è raro che i discendenti delle famiglie emigrate oggi tornino: “Qui - racconta Ivano Maffeo, uno dei coordinatori del Centro - in estate si sente parlare francese dovunque. Molti figli o nipoti ritornano e cercano di scoprire qualcosa dei propri antenati, qualcuno fa
ricerche in archivio, qualcuno ci lascia la sua storia. Hanno radici italiane, ma si sentono del tutto francesi: tant’è che, alla nostra festa di metà agosto, il pranzo comincia regolarmente con la Marsigliese.”
Simona Perolo
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