Da Biella a New York: il grande salto di Giulia
Quando Giulia Morgando martedì sera è salita sul palco del teatro Odeon, chiamata come ospite del saggio della sua ex scuola di danza L’Arabesque, si è chiuso un cerchio. Quello che si era aperto quindici anni fa, quando la ballerina biellese aveva mosso, grazie alla scuola, i suoi primi passi al teatro Sociale. Andata via da allieva, è tornata da ospite. «Avevo cinque anni quando ballai per la prima volta con L’Arabesque, tornare a ballare qui è stata un’emozione unica. Mi sono sentita a casa, come se non fossi mai andata via. Ringrazio Stefania Vannucci (direttrice della scuola ndr) e Paola Olivero, che mi hanno dato questa possibilità».
Nel frattempo, da quel primo balletto, di strada Giulia ne ha fatta tanta. La danza l’ha portata lontana da casa a 17 anni, quando si è trasferita a Milano per cominciare a frequentare l’Accademia Ucraina di Balletto, dove, due anni più tardi, si è diplomata come ballerina professionista. Poi, una borsa di studio, le ha permesso di volare oltreoceano, a New York, per studiare alla Joffrey Ballet School. Un percorso fatto di tanti chilometri, ma soprattutto di incontri importanti. Prima Paola Olivero, ex direttrice del L’Arabesque, poi Igor Scepaciov, insegnate dell’Accademia Ucraina, «che, come me, è un ballerino che è riuscito a colmare la mancanza di qualche dote naturale con il duro lavoro» e infine Era Jouravlev, direttrice artistica del Joffrey Ballet. «Se oggi sono riuscita ad andare oltre i limiti con cui avevo dovuto convivere a Milano in Accademia, è soprattutto grazie a lei» spiega la ballerina.
Un altro mondo quello dell’America e, soprattutto, un modo diverso di vedere la danza. «Oltreoceano hai molte più possibilità, se sei bravo puoi farcela a prescindere da come sei fatto. Qui c’è una mentalità molto più chiusa: devi avere un fisico perfetto, il piede in un determinato modo». Una differenza di mentalità che investe anche il rapporto con il pubblico in teatro. «In America, nei teatri, sembra quasi di essere allo stadio per il fervore con cui il pubblico applaude. Le prime volte queste reazioni mi hanno spiazzato, essendo abituata a tutt’altro, poi impari a capire che è il loro modo di apprezzare quello che stai facendo».
Il futuro è «incerto», il sogno è quello di riuscire ad aprire una scuola di danza, «in America o in Italia, ma in ogni caso utilizzando un progetto di stampo americano, con un diverso approccio, rispetto a quello che si usa in Europa, nei confronti degli allievi». Proprio per questo motivo, la scelta della Joffrey si è rivelata essere preziosa. «Mi sta formando non solo come ballerina, ma a 360°. Sto studiando metodologia dell’insegnamento, anatomia, musica, facciamo analisi critica dei balletti che andiamo a vedere. Tutti questi insegnamenti, in prospettiva futura, sono fondamentali». Prima della scuola però, l’obbiettivo «è ballare su un palcoscenico per riuscire a trasmettere qualcosa in più ai miei allievi. In quest’ottica sto mandando curriculum a diverse compagnie. Mi sono arrivati responsi positivi per ora dalla Atlantic City Ballet, American Repertory Ballet e Cleveland Ballet. Vedremo gli sviluppi». Aspettando di tornare a settembre in America per riprendere le lezioni, Giulia non si ferma. Da lunedì, per una settimana, sarà alla Scala di Milano per uno stage estivo.
Luca Rondi
Quando Giulia Morgando martedì sera è salita sul palco del teatro Odeon, chiamata come ospite del saggio della sua ex scuola di danza L’Arabesque, si è chiuso un cerchio. Quello che si era aperto quindici anni fa, quando la ballerina biellese aveva mosso, grazie alla scuola, i suoi primi passi al teatro Sociale. Andata via da allieva, è tornata da ospite. «Avevo cinque anni quando ballai per la prima volta con L’Arabesque, tornare a ballare qui è stata un’emozione unica. Mi sono sentita a casa, come se non fossi mai andata via. Ringrazio Stefania Vannucci (direttrice della scuola ndr) e Paola Olivero, che mi hanno dato questa possibilità».
Nel frattempo, da quel primo balletto, di strada Giulia ne ha fatta tanta. La danza l’ha portata lontana da casa a 17 anni, quando si è trasferita a Milano per cominciare a frequentare l’Accademia Ucraina di Balletto, dove, due anni più tardi, si è diplomata come ballerina professionista. Poi, una borsa di studio, le ha permesso di volare oltreoceano, a New York, per studiare alla Joffrey Ballet School. Un percorso fatto di tanti chilometri, ma soprattutto di incontri importanti. Prima Paola Olivero, ex direttrice del L’Arabesque, poi Igor Scepaciov, insegnate dell’Accademia Ucraina, «che, come me, è un ballerino che è riuscito a colmare la mancanza di qualche dote naturale con il duro lavoro» e infine Era Jouravlev, direttrice artistica del Joffrey Ballet. «Se oggi sono riuscita ad andare oltre i limiti con cui avevo dovuto convivere a Milano in Accademia, è soprattutto grazie a lei» spiega la ballerina.
Un altro mondo quello dell’America e, soprattutto, un modo diverso di vedere la danza. «Oltreoceano hai molte più possibilità, se sei bravo puoi farcela a prescindere da come sei fatto. Qui c’è una mentalità molto più chiusa: devi avere un fisico perfetto, il piede in un determinato modo». Una differenza di mentalità che investe anche il rapporto con il pubblico in teatro. «In America, nei teatri, sembra quasi di essere allo stadio per il fervore con cui il pubblico applaude. Le prime volte queste reazioni mi hanno spiazzato, essendo abituata a tutt’altro, poi impari a capire che è il loro modo di apprezzare quello che stai facendo».
Il futuro è «incerto», il sogno è quello di riuscire ad aprire una scuola di danza, «in America o in Italia, ma in ogni caso utilizzando un progetto di stampo americano, con un diverso approccio, rispetto a quello che si usa in Europa, nei confronti degli allievi». Proprio per questo motivo, la scelta della Joffrey si è rivelata essere preziosa. «Mi sta formando non solo come ballerina, ma a 360°. Sto studiando metodologia dell’insegnamento, anatomia, musica, facciamo analisi critica dei balletti che andiamo a vedere. Tutti questi insegnamenti, in prospettiva futura, sono fondamentali». Prima della scuola però, l’obbiettivo «è ballare su un palcoscenico per riuscire a trasmettere qualcosa in più ai miei allievi. In quest’ottica sto mandando curriculum a diverse compagnie. Mi sono arrivati responsi positivi per ora dalla Atlantic City Ballet, American Repertory Ballet e Cleveland Ballet. Vedremo gli sviluppi». Aspettando di tornare a settembre in America per riprendere le lezioni, Giulia non si ferma. Da lunedì, per una settimana, sarà alla Scala di Milano per uno stage estivo.
Luca Rondi