Che strani stranieri a Biella: l’Anticristo il funambolo e gli altri

Che strani stranieri a Biella: l’Anticristo il funambolo e gli altri
Pubblicato:
Aggiornato:

Nei primi anni del Novecento una piccola, improbabile, pattuglia di stranieri si trovò ad avere a che fare con la nostra città. Alcuni dei componenti di quella strana compagine ideale risiedevano a Biella, altri ci passarono appena qualche giorno. In ogni caso quelle presenze dai nomi un po’ strambi hanno lasciato un seppur labile segno e, a più di un secolo di distanza, vale la pena di rievocarle con le rispettive particolari vicende.

Facciamo la loro conoscenza declinandone prima di tutto le generalità in ordine alfabetico: Gustav Arthur Gräser, Johan Kocher, Frederick Kögel, Pauline Könick, Arthur Strohscheneider e Joseph Zeller. A leggerla così sembra la formazione della nazionale di calcio tedesca, ma il gruppetto era tutto fuorché organizzato, anzi non sarebbe potuto essere peggio “assortito” e più variegato, una vera e propria armata Brancaleone o, meglio, una sorta di circo Barnum improvvisato. A dire il vero i “crucchi” in questione (per la verità solo due erano davvero tedeschi) non si conobbero affatto e vissero da soli peripezie delle più curiose e disparate.

Procediamo allora in sequenza. Gustav Arthur del fu Karl Gräser seminò scompiglio a Biella alla fine di marzo del 1906. Nato nel 1879, si presentava come un “uomo di statura alta, dalle chiome bionde pioventi sulle spalle, dall’occhio ceruleo e sereno”. Si aggirava per i negozi di via Umberto suscitando non poco stupore e qualche ingorgo, soprattutto perché, per quel suo aspetto insolito e un po’ tetro (non portava il cappello, calzava infradito e vestiva abiti di panno povero e scuro, ma di buon taglio), fu subito ribattezzato, non si sa come mai, lo “Anticristo”. A rendere più fitto il mistero contribuiva il fatto che l’enigmatico Gustav Arthur “Anticristo” Gräser si era dichiarato originario di Kronstadt, in Ungheria. Forse qualcuno si era preso la briga di sfogliare un atlante e aveva scoperto che quella città, più conosciuta come Brasov, si trova(va) nel cuore della Transilvania, la terra dei vampiri, allora ungherese e ora in Romania. Eppure quel singolare visitatore doveva essere quanto di più inoffensivo si potesse incontrare, sebbene piuttosto eccentrico: risiedeva ad Ascona, nel Canton Ticino, ed era “di professione... possidente; vive con una colonia di amici che, come lui seguono le idee ed i costumi di Tolstoi; è vegetariano convinto; non beve nè vino, né birra, nè liquori qualsiasi (...) fu arruolato soldato, ma si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà: fu per ciò processato, ma assolto”. La sua era una missione di proselitismo hippie ante litteram, salutista, un po’ naturista e pacifista. Cercò di abbindolare qualche nostro bisnonno allora giovane, ma l’idea di una “comune ” tolstojana non fece breccia nei cuori concreti e un po’ calvinisti dei biellesi del tempo. Si rimise in viaggio a piedi, come era venuto. Tutt’altra avventura visse un compatriota dello “Anticristo” peace & love di cui sopra. Johan Kocher, detto lo “Ungherese”, abitava al Vernato ed era un personaggio molto noto. Il magiaro aveva una storia notevole alle spalle: giunto in Italia ai tempi delle guerre risorgimentali al seguito di un generale austro-ungarico, il secondo straniero della lista aveva disertato rubando due cavalli e si era rifugiato al Vernato. Lì aveva conosciuto una leggiadra fanciulla che “per le sue forme giunoniche era chiamata la bella Rosina”, con chiari riferimenti all’amante di Vittorio Emanuele II e con ancor più evidente ironia. Il Kocher era “forte, aitante nella persona, focosissimo, ma buona pasta d’uomo”. Però bisognava non fargli saltare la mosca la naso. Il che avveniva sovente per causa del vino, della “bella Rosina ” che lo teneva a corto di denari (di fatto lavorava solo lei e lui era spesso ospite temporaneo del “Belletti Bona” che all’epoca era un ricovero di mendicità) e di un certo Andrea Mosca, detto “Rattazzi”. Quest’ultimo gli doveva dei soldi e un bel dì, ai primi di maggio del 1903, “l’Ungherese benché vecchio di oltre 60 anni, ma ancora robustissimo”, decise che era tempo di rientrare del credito e che il bastone sarebbe stato più efficace di tanti discorsi. E ci volle un po’ prima di poter togliere il malconcio “Rattazzi” dal raggio d’azione del barot del gagliardo Johan. E’ il turno di Frederick Kögel , “buon figlio della Germania” e tappezziere. Nel 1898 gli venne in mente di trascorrere un periodo di vacanza in Italia, ma il destino gli teneva in serbo un brutto tiro che lo avrebbe trasformato nella classica vittima di un errore giudiziario. Accusato (ingiustamente) e poi riconosciuto correo di un furto commesso a Ivrea, fu espulso cosicché poté vedere il Belpaese solo “fra mezzo a due carabinieri che impiegarono quasi un mese a tradurlo al confine Tedesco ”. I vari ricorsi presentati dal console imperiale di Torino non ebbero l’effetto voluto perché il Kögel era contumace (giustizia italiana: come poteva presenziare alle udienze dopo essere stato espulso dal Regno?), ma alla fine il processo approdò a Biella dove l’avv. Luigi Guelpa si interessò da par suo al caso del “suddito germanico” che non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere, stante la sua totale estraneità ai fatti. Sul finire del 1901 la vicenda ebbe felicemente termine con una assoluzione con formula piena proprio grazie all’abilità dell’avvocato Guelpa. Il causidico biellese si distinse a tal punto per riabilitare lo sfortunato polsterer che il principe Bernhard von Bülow, cancelliere dell’Impero, gli fece recapitare “tutte le pubblicazioni di indole sociale dell’impero stesso”. L’unica donna della combriccola è Pauline Könick. Il 30 settembre 1903 comparve davanti al giudice del Tribunale di Biella. Questa volta non si trattava di un errore. La donna, “già venditrice di cartoline illustrate e assai conosciuta nella nostra città anche per le forme atletiche che la fanno rassomigliare ad un robusto alabardiere medioevale”, abitava in via San Filippo sullo stesso pianerottolo di una certa Liboi, fruttivendola che viveva con le sue due figlie. Dalla casa della Liboi erano sparite cinque lire e, dopo una fulminea indagine condotta dal solerte delegato di p.s. Casiello, fu pressoché certo che la colpevole fosse la teutonica virago “di costumi e di vita alquanto sospetti”. Malgrado si protestasse innocente, la Könick si prese sei mesi. Sul “professor” Arthur Strohscheneider ci riserviamo di tornare con una pagina ad hoc (come anche per “Anticristo” Gräser), ma visti i suoi natali non lo si poteva escludere dall’elenco. Senza entrare nei dettagli basti dire che lo Strohscheneider fu uno dei più celebri equilibristi funamboli di sempre. Austriaco dell’Ausserland, si esibì in tutto il mondo con numeri al limite del credibile (uno tra tutti quello eseguito sulla corda tesa sulle cascate del Niagara).

Le sue passeggiate aeree strabiliavano mettendo i brividi e quando arrivò a Biella, nell’ottobre del 1914, era già una celebrità assoluta. Si trattene giusto il tempo di far venire il torcicollo a tutta la città mentre si aggirava dapprima camminando scalzo, poi in sella ad una bicicletta, poi con un assistente a spalle, poi seduto ad un tavolo imbandito per la cena a venti metri da terra. La fune era stata tirata tra il Seminario e la canonica del Duomo. La piazza era ancora quella di una volta, non impalata né lastricata di pseudo-polemiche. Come detto, il grande fenomeno Strohscheneider, ucciso dalla polmonite nel 1934, meriterà una seconda puntata. Ed ecco, in chiusura, lo Zeller. Correva l’anno 1902, all’inizio di febbraio, quando il muratore Joseph Zeller da Vincennes (Francia) partì da Nizza alla volta di Occhieppo Inferiore. Fu un occhieppese conosciuto sulla Costa Azzurra a convincere il ventenne maçon a trasferirsi da queste parti. Il giorno dell’arrivo del francese fu occasione di festa, nel senso che l’amicone di Occhieppo e un suo sodale apparso sulla scena con indubbio tempismo erano intenzionati a far la festa allo sprovveduto français. Passata la serata nell’osteria del Piantino, i due biellesi assalirono lo Zeller lungo la strada buia e deserta per derubarlo. Ma le coltellate infertegli per tappargli la bocca non uccisero il poveraccio che, invece, si salvò e potè fare i nomi di quel quasi letale comitato di benvenuto.

Danilo Craveia

Seguici sui nostri canali