Carlo, ragazzo!

(16 ago) Carlo, ragazzo. E la stanza del figlio, identica a come è stata lasciata domenica 6 marzo, all’alba, prima di salire al monte di Oropa. A sciare e a morire. Ci sono le coppe vinte ai giochi della gioventù in una piccola teca, le quattro chitarre in un angolo, i cd musicali, un poster d’un concerto al “Babylonia” di qualche anno fa. I testi dell’università, le magliette e le scarpe dentro gli armadi. Tracce di gioventù ovunque. Tutto pulito e in ordine. Le persiane delle finestre sono abbassate. Di solito qui non entra nessuno. Diverse le fotografie appese alle pareti: Carlo insieme agli amici, da solo, al mare, in montagna. Adolescente. Bambino. In una indossa una maglietta rossa con il Che Guevara di Korda. In un’altra suona i “bonghi”. Sorride, spesso, con gli occhi chiarissimi, scintillanti e avvolti in una cascata di capelli biondi, raccolti alla “rasta”.
Carlo, ragazzo. E la stanza del figlio, identica a come è stata lasciata domenica 6 marzo, all’alba, prima di salire al monte di Oropa. A sciare e a morire. Ci sono le coppe vinte ai giochi della gioventù in una piccola teca, le quattro chitarre in un angolo, i cd musicali, un poster d’un concerto al “Babylonia” di qualche anno fa. I testi dell’università, le magliette e le scarpe dentro gli armadi. Tracce di gioventù ovunque. Tutto pulito e in ordine. Le persiane delle finestre sono abbassate. Di solito qui non entra nessuno. Diverse le fotografie appese alle pareti: Carlo insieme agli amici, da solo, al mare, in montagna. Adolescente. Bambino. In una indossa una maglietta rossa con il Che Guevara di Korda. In un’altra suona i “bonghi”. Sorride, spesso, con gli occhi chiarissimi, scintillanti e avvolti in una cascata di capelli biondi, raccolti alla “rasta”.
Il giorno dei giorni. «Ricordo il viso del carabiniere che venne a casa nostra. Mi disse: vada all’ospedale di Biella, per suo figlio. Come sta? Implorai… Vada, mi disse. Io e mia moglie scambiammo tre parole in tutto il viaggio. Non avevamo fretta… Non cercammo neanche di telefonargli al cellulare. Chissà perché… Al Pronto soccorso vidi tante persone vestite da montagna avvolte nelle coperte anti-gelo. Mio figlio non c’era. Chiedevo e nessuno pareva sapere. Mi si avvicinò un altro carabiniere. Venga, si accomodi di qua, mi disse. Lo anticipai. Ho capito! Mio figlio è morto!» Ettore Graziano si commuove. Parla dal salotto della sua bella villetta, a Crescentino. E’ davanti al computer che contiene immagini, filmati e segreti di suo figlio. La sala è piena di libri, che ha letto soprattutto la moglie. C’è tutto, da “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg a “Gomorra” di Roberto Saviano, passando per Enzo Biagi e per i grandi classici. In giro c’è un’aria di benessere pratico, semplice, frutto di lavoro e di scelte quotidiane giuste.
La famiglia. Ettore Graziano è stato un dirigente industriale nel Torinese, Maria Teresa un’impiegata. Ora sono in pensione. Insieme sono una forza, da quasi quarant’anni: lui è sicuro, l’aria burbera, lei dolce, pacata, i capelli color dell’argento. La ferita è lì, sotto una normalità tenuta in piedi a fatica e con grande dignità.
Giustizia? «Un nostro amico avvocato sta seguendo le indagini. Sappiamo della perizia del Tribunale. Non cerchiamo polemiche né colpevoli o capri espiatori - spiega il papà di Carlo -. Mio figlio in montagna spesso affrontava situazioni di cui non era all’altezza. Questione d’età. Sono uno sciatore, so di cosa parlo, capita un’infinità di volte. Ovunque. Tragedia evitabile? Non lo so. Forse non lo sapremo mai. Carlo non era mai andato nel Biellese a sciare e non ci aveva detto nulla nei giorni precedenti. Ne aveva parlato solo con sua sorella, Francesca. Che gli aveva detto di lasciare perdere più volte». Nella foto Carlo Graziano
Io, Carlo. Amava i fuori pista. Le tavole, dopo gli sci che il padre gli aveva messo ai piedi dall’età di sei anni, erano la sua passione. Gli servivano per volare sulla neve e sull’acqua. Per essere libero. Dal computer Ettore Graziano tira fuori filmati di vacanze e di escursioni, più o meno recenti. Ci sono dentro volti e voci di giovani che spesso i genitori neanche conoscono. In uno c’è una ragazza dai capelli castani, lunghi e mossi. Si rivolge a Carlo con una complicità affettuosa. Era la sua fidanzata? Tutti sono ripresi mentre parlano, scherzano, pochi attimi prima di un tuffo, di una discesa. L’uomo ha catalogato ogni cosa, in cartelle e in “file”. Ci sono dentro il giorno della discussione della tesi di laurea, un soggiorno ad Oslo, una vacanza negli Stati Uniti. Frammenti ordinari, di esistenze comuni, in un monitor di ultima generazione. Tutto però appare spezzato. Interrotto. Come un libro chiuso a metà racconto. I ricordi dei genitori hanno una venatura di sospensione di fondo. Paiono pezzi di vita fuori fuoco.
Cuore di madre. «Carlo aveva un carattere chiuso - racconta la mamma, con un filo di voce -. Era riservato. In pochi sapevano davvero cosa gli passasse per la testa».
Inghilterra. Il giovane s’era da poco laureato in biotecnologie vegetali, a pieni voti. Doveva partire per Londra il giorno dopo. Aveva vinto una borsa di studio ministeriale. «Era sempre così irrefrenabile, eppure era diventato bravo proprio in laboratorio, anche nello studio degli insetti» aggiunge la donna con un luccichio negli occhi e un sorriso appena accennato.
Beneficenza. I soldi racconti in memoria del ragazzo, circa sei mila euro, sono stati destinati a un fondo universitario a sostegno di studenti stranieri. Tante le offerte nei giorni del funerale. Ora un po’ meno.
Memoria. «In ospedale i carabinieri, un uomo e una donna, ci fecero accomodare in una stanza. Io su una sedia. Mia moglie in un lettino - aggiunge Graziano -. Ci spiegarono quanto accaduto. Dopo pochi minuti, mia moglie comunicò ai medici la nostra volontà che gli organi di Carlo venissero donati. Ci furono dei problemi. Ma alla fine prelevarono le cornee, dei nervi e delle ossa lunghe». Marito e moglie si prendono per mano. Si stringono. Forse perché una parte di Carlo vive ancora.
16 agosto 2011