Botto House, scrigno della memoria dell'emigrazione biellese a Paterson

Questo pezzo è da considerarsi non soltanto mio. Mia è la firma, ma il vero merito va riconosciuto a Mara Cucco, a Ivano Maffeo, al Centro di Documentazione sull’Emigrazione e sugli Archivi Familiari dell’Ecomuseo Valle Elvo e Serra di Donato, a tutti coloro che in qualche misura hanno partecipato all’iniziativa e, soprattutto alla dottoressa Angelica Santomauro, Executive Director dell’American Labor Museum/Botto House National Landmark di Haledon, nel New Jersey. Ma questo pezzo vale anche come il mio saluto a Gianpaolo Chiorino. Nella triste occasione della sua morte accade per caso o, forse, non per caso che abbia modo di trattare un tema che così tanto gli e mi è caro. Con Gianpaolo Chiorino ho potuto condividere solo alcuni brevi tratti della mia vita. Tre, però, sono stati importanti. Lungo i tornanti delle rispettive esistenze abbiamo scoperto che ci univa una passione per Franco Bogge, il “fotografo di Oropa”, e da quel camminare per un po’ insieme sono nati una bella mostra e il relativo catalogo di cui andiamo fieri. Sempre sulla stessa mulattiera, ci siamo fatti un po’ di compagnia quando, grazie a lui, ho avuto la possibilità di riordinare l’Archivio Storico della (ex) Parrocchia di Sant’Antonio Abate di Galfione. Ci teneva, dopo che avevo fatto lo stesso mestiere a Santo Stefano di Occhieppo Superiore, e il lavoro gli è piaciuto. E poi, affiancatici di nuovo in marcia, ecco un altro argomento che non mancava di trovarci interessati: l’emigrazione dei biellesi. E’ per lo sprone di Gianpaolo Chiorino se ho potuto conoscere i miei lontanissimi parenti di Bordeaux. Un’esperienza notevole che è diventata un contributo su uno dei preziosi volumi pubblicati dall’Ecomuseo Valle Elvo e Serra. In questa nuova piccola avventura “migratoria”, che ci porta alla Botto House, Gianpaolo Chiorino avrebbe creduto e avrebbe fatto la sua parte con il pensiero acuto e pacato, il cuore aperto e tutto il garbo suoi propri. Avrei fatto volentieri ancora qualche altro passo accanto a Gianpaolo Chiorino, questa volta verso l’America, ma doveva andare come è andata e non c’è altro da aggiungere se non un ciao e un grazie.
Qualche tempo fa, nella prospettiva della visita di Angelica Santomauro nel Biellese, mi era stata proposta l’idea di una intervista. Per cogliere il senso di quella possibilità occorre dire due cose sulla “biellesità” della Botto House, ossia il centro culturale che la dottoressa dirige. L’istituto che di trova all’83 di Norwood Street ad Haledon ha un sito Internet (www.labormuseum.net) molto esaustivo e interessante, ma tanto per inquadrare la vicenda possiamo dire che quella semplice dimora, che fu l’abitazione dei coniugi Pietro Botto e Maria Boggio dal 1908, è oggi uno dei “santuari” della storia americana. Una casa privata divenuta un museo (dal 1983) dedicato al Lavoro inteso come giusto e nobile esercizio delle più elevate capacità dell’Uomo. E non come sfruttamento iniquo delle classi lavoratrici da parte della classe dominante. Questo perché, nel 1913, la Botto House divenne il centro e il simbolo di una dura lotta sindacale che vedeva coinvolti i tessitori di seta di quella zona. Biellesi erano i coniugi Botto, biellesi erano moltissimi di quei lavoratori, biellesi restavano gli emigranti che lasciavano le valli di Biella per cercare fortuna a Paterson e in altre cittadine del “Silk district” USA. L’intervista non si è potuta effettuare a suo tempo de visu, ma oggi è tutto più facile e le stesse domande che avrei posto di persona sono giunte alla Botto House via e-mail. Con grande disponibilità e simpatia la dottoressa Santomauro ha risposto ai quesiti e quanto segue è buona parte del nostro dialogo a distanza (con la premurosa intermediazione di cui sopra). Ecco le domande e le risposte (con qualche taglio, scusandomi con l’intervistata).
Dottoressa Santomauro, può presentarci brevemente la sua attività e, soprattutto, le origini e lo stato attuale del “American Labor Museum”?
«Il museo è stato definito la “Scuola del Lavoro” per via dei molti programmi educativi offerti a studenti, membri di sindacato ed adulti di tutte le età. I visitatori annuali sono circa 15.000. I visitatori provengono da varie parti del paese e del mondo. La comunità locale partecipa ai corsi di arte gratuiti che si tengono al sabato dedicati agli studenti della scuola primaria, alle gite scolastiche, alle mostre studentesche che in programma ogni anno in occasione della Parata per il 1° maggio. I sindacati del Paese supportano finanziariamente il museo tramite le quote ed i contributi raccolti con eventi speciali».
Ci dica qualcosa della Paterson di oggi.
«Paterson è una cittadina limitrofa a Haledon. E’ una città multiculturale che negli anni ha avuto problemi amministrativi. Nonostante questo, Paterson continua la sua lotta con l’intento di rivitalizzarsi e rendersi attrattiva per gli affari ed il turismo. Durante l’amministrazione del presidente Obama, il senatore Frank Lautenberg ed il membro del Congresso Bill Pascrell (entrambi di Paterson) sono riusciti ad includere le Great Falls di Paterson tra i parchi nazionali. Le Great Falls in volume sono le seconde più imponenti cascate ad est del Mississippi, ma nonostante questo, storicamente i visitatori non erano molto numerosi. Ora, come parco nazionale storico, è molto più pubblicizzato».
Ci dica qualcosa della comunità italiana (se esiste) di Paterson.
«La comunità italiana di Paterson era vibrante un secolo fa, ma ora è molto diminuita. Molti dei pochi italiani rimasti ed i loro discendenti sono anziani. La loro presenza, comunque è ancora visibile nelle panetterie, nei ristoranti e nelle chiese che si trovano in quelli che erano fiorenti quartieri italiani. Il Club Italiano, che vantava tra i suoi membri uomini d’affari di successo, è stato recentemente chiuso a causa della mancanza di sostegni. Nella Paterson del XXI secolo, gli emigranti europei di ieri sono stati sostituiti dagli arrivi di latino americani, medio orientali e centrafricani di oggi».
Quali sono i rapporti tra gli italiani di Paterson e l’Italia oggi?
«Come con la maggior parte dei gruppi etnici, le famiglie italiane rimaste a Paterson e nei dintorni hanno un legame con le loro radici in Italia, legame che mantengono attraverso ricerche e viaggi. Attualmente c’è una tendenza tra gli italo-americani a rintracciare le proprie origini e richiedere la doppia cittadinanza. Per contro, alcuni si sono distaccati dalla loro terra madre e sposano completamente lo stile di vita americano. L’immagine degli italiani in America, la cultura del cibo, arte, letteratura e musica è apprezzata da tutti. Infatti, il cibo italiano è ancora il più apprezzato nel Paese».
Esistono istituzioni che mantengono vive le radici italiane per chi ormai da generazioni è nato, vissuto e morto a Paterson?
«Il Club Circolo Sociale Italiano di Paterson era l’ultimo bastione esistente a preservare le radici italiane nella città. Gli uomini d’affari che avevano i mezzi per sostenere finanziariamente la struttura pagavano delle quote, frequentavano il bar ed il ristorante e organizzavano raduni ed incontri. Purtroppo, a causa del trasferimento, morte e malattia dei membri, il club è stato chiuso nel 2016. Un’era della cultura italiana a Paterson è finita in quella temuta e dolorosa giornata».
Ci sono “biellesi” a Paterson? Si sentono in qualche modo legati alle loro origini biellesi?
«La famiglia Botto, emigrata da Biella, inizialmente si stabilì a West Hoboken ed infine si trasferì a Haledon, New Jersey. Molti biellesi emigrarono nelle aree dove le fabbriche tessili erano presenti in abbondanza perché avevano le competenze del settore. Quando Paterson non offrì più un’alta possibilità d’impiego nelle fabbriche, molti biellesi si spostarono in altre regioni dello stato e del Paese. Quando i visitatori provenienti dal nord Italia vengono all’American Labor Museum e scoprono le radici famigliari dei Botto, condividono le storie dei loro antenati riguardo le lotte dei lavoratori, le marce tra i cordoni di scioperanti, andando in prigione per la giustizia e fronteggiando le istituzioni».
Esiste la consapevolezza negli italiani e nei “biellesi” di Paterson di quella che la loro storia, le loro radici di tessitori nel Biellese di fine Ottocento?
«Attraverso gli sforzi della Botto House, la storia dei tessitori biellesi continua ad essere condivisa fra i molti visitatori. Grazie ad un’azione di marketing sui maggiori canali televisivi, stazioni radiofoniche, pubblicazioni stampate e social media, la popolarità del museo è in crescita. Migliaia di utenti di Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest hanno l’opportunità di conoscere la storia degli emigrati e della lotta operaia nell’industria della seta di Paterson. Fino a quando il museo sarà in attività, la storia degli operai emigrati, compresa quella dei lavoratori biellesi, sarà raccontata. I loro sacrifici, competenze e solidarietà saranno celebrati e saranno per tutti d’ispirazione. Perché tutti noi gli dobbiamo essere riconoscenti».
Come si è evoluto il socialismo e l’anarchismo dei tanti emigrati italiani e “biellesi” a Paterson? Alcuni di loro, per esempio, furono legati al regicidio di Monza del 1900. Esiste memoria di quelle realtà?
«Gli USA hanno un’economia capitalista. Disapprovano il concetto di socialismo e di anarchia. Sebbene gli USA conservino un partito Democratico-socialista e gruppi anarchici continuino ad organizzarsi, entrambi non hanno una posizione dominante. Nelle elezioni presidenziali del 2016 Bernie Sanders, un socialista dichiarato, cambiò la sua posizione politica affiliandosi al Partito democratico in modo da raccogliere abbastanza sostegno finanziario per la sua campagna elettorale. E’ più difficile sapere se gli italiani, in particolare i biellesi, nel complesso, siano a conoscenza delle loro radici politiche e i legami con l’assassinio del re d’Italia Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci nel 1900. Ma sono stati realizzati documentari, sono stati scritti libri e sono state tenute conferenze che trattano questo periodo e vicenda. Quindi coloro che studiano le loro radici, dovrebbero essere consapevoli del legame».
Ci sono devoti alla Madonna di Oropa a Paterson oggi? Esiste una traccia di questa profonda devozione da parte degli emigranti di un secolo fa?
«Avendo recentemente visitato Biella ed essendo stata dinnanzi la Vergine Nera d’Oropa, posso dire che senza dubbio ha esercitato un profondo impatto sulla mia vita. Vedere gli ex voto che le persone hanno portato al Santuario di Oropa per ringraziare dei miracoli avvenuti nel suo nome, porta il visitatore alla conclusione che la Madonna Nera è veramente degna di devozione. Parlando della mia visita con altre persone che sono state ad Oropa, ho appreso che anche loro sono state profondamente toccate dall’esperienza. Poiché al nostro museo sono pochi i visitatori biellesi o che sono stati a Biella, è difficile per me rispondere a questa domanda, ma sono certa che se hanno visitato Oropa, non dimenticheranno mai l’esperienza e continueranno a ricordare e pregare la Vergine Bruna. Il souvenir con la sua immagine è sulla mia scrivania di casa. Quando ho bisogno di un aiuto extra per superare un momento difficile, ora mi rivolgo a lei. A quanto mi risulta, la famiglia Botto non praticava nessuna religione ufficiale. Non ci sono indicazioni sulla mancanza di devozione alla Vergine degli altri Biellesi. Sebbene ciò valga per i Botto, non rappresenta gli emigrati biellesi nel loro complesso».
Danilo Craveia
Questo pezzo è da considerarsi non soltanto mio. Mia è la firma, ma il vero merito va riconosciuto a Mara Cucco, a Ivano Maffeo, al Centro di Documentazione sull’Emigrazione e sugli Archivi Familiari dell’Ecomuseo Valle Elvo e Serra di Donato, a tutti coloro che in qualche misura hanno partecipato all’iniziativa e, soprattutto alla dottoressa Angelica Santomauro, Executive Director dell’American Labor Museum/Botto House National Landmark di Haledon, nel New Jersey. Ma questo pezzo vale anche come il mio saluto a Gianpaolo Chiorino. Nella triste occasione della sua morte accade per caso o, forse, non per caso che abbia modo di trattare un tema che così tanto gli e mi è caro. Con Gianpaolo Chiorino ho potuto condividere solo alcuni brevi tratti della mia vita. Tre, però, sono stati importanti. Lungo i tornanti delle rispettive esistenze abbiamo scoperto che ci univa una passione per Franco Bogge, il “fotografo di Oropa”, e da quel camminare per un po’ insieme sono nati una bella mostra e il relativo catalogo di cui andiamo fieri. Sempre sulla stessa mulattiera, ci siamo fatti un po’ di compagnia quando, grazie a lui, ho avuto la possibilità di riordinare l’Archivio Storico della (ex) Parrocchia di Sant’Antonio Abate di Galfione. Ci teneva, dopo che avevo fatto lo stesso mestiere a Santo Stefano di Occhieppo Superiore, e il lavoro gli è piaciuto. E poi, affiancatici di nuovo in marcia, ecco un altro argomento che non mancava di trovarci interessati: l’emigrazione dei biellesi. E’ per lo sprone di Gianpaolo Chiorino se ho potuto conoscere i miei lontanissimi parenti di Bordeaux. Un’esperienza notevole che è diventata un contributo su uno dei preziosi volumi pubblicati dall’Ecomuseo Valle Elvo e Serra. In questa nuova piccola avventura “migratoria”, che ci porta alla Botto House, Gianpaolo Chiorino avrebbe creduto e avrebbe fatto la sua parte con il pensiero acuto e pacato, il cuore aperto e tutto il garbo suoi propri. Avrei fatto volentieri ancora qualche altro passo accanto a Gianpaolo Chiorino, questa volta verso l’America, ma doveva andare come è andata e non c’è altro da aggiungere se non un ciao e un grazie.
Qualche tempo fa, nella prospettiva della visita di Angelica Santomauro nel Biellese, mi era stata proposta l’idea di una intervista. Per cogliere il senso di quella possibilità occorre dire due cose sulla “biellesità” della Botto House, ossia il centro culturale che la dottoressa dirige. L’istituto che di trova all’83 di Norwood Street ad Haledon ha un sito Internet (www.labormuseum.net) molto esaustivo e interessante, ma tanto per inquadrare la vicenda possiamo dire che quella semplice dimora, che fu l’abitazione dei coniugi Pietro Botto e Maria Boggio dal 1908, è oggi uno dei “santuari” della storia americana. Una casa privata divenuta un museo (dal 1983) dedicato al Lavoro inteso come giusto e nobile esercizio delle più elevate capacità dell’Uomo. E non come sfruttamento iniquo delle classi lavoratrici da parte della classe dominante. Questo perché, nel 1913, la Botto House divenne il centro e il simbolo di una dura lotta sindacale che vedeva coinvolti i tessitori di seta di quella zona. Biellesi erano i coniugi Botto, biellesi erano moltissimi di quei lavoratori, biellesi restavano gli emigranti che lasciavano le valli di Biella per cercare fortuna a Paterson e in altre cittadine del “Silk district” USA. L’intervista non si è potuta effettuare a suo tempo de visu, ma oggi è tutto più facile e le stesse domande che avrei posto di persona sono giunte alla Botto House via e-mail. Con grande disponibilità e simpatia la dottoressa Santomauro ha risposto ai quesiti e quanto segue è buona parte del nostro dialogo a distanza (con la premurosa intermediazione di cui sopra). Ecco le domande e le risposte (con qualche taglio, scusandomi con l’intervistata).
Dottoressa Santomauro, può presentarci brevemente la sua attività e, soprattutto, le origini e lo stato attuale del “American Labor Museum”?
«Il museo è stato definito la “Scuola del Lavoro” per via dei molti programmi educativi offerti a studenti, membri di sindacato ed adulti di tutte le età. I visitatori annuali sono circa 15.000. I visitatori provengono da varie parti del paese e del mondo. La comunità locale partecipa ai corsi di arte gratuiti che si tengono al sabato dedicati agli studenti della scuola primaria, alle gite scolastiche, alle mostre studentesche che in programma ogni anno in occasione della Parata per il 1° maggio. I sindacati del Paese supportano finanziariamente il museo tramite le quote ed i contributi raccolti con eventi speciali».
Ci dica qualcosa della Paterson di oggi.
«Paterson è una cittadina limitrofa a Haledon. E’ una città multiculturale che negli anni ha avuto problemi amministrativi. Nonostante questo, Paterson continua la sua lotta con l’intento di rivitalizzarsi e rendersi attrattiva per gli affari ed il turismo. Durante l’amministrazione del presidente Obama, il senatore Frank Lautenberg ed il membro del Congresso Bill Pascrell (entrambi di Paterson) sono riusciti ad includere le Great Falls di Paterson tra i parchi nazionali. Le Great Falls in volume sono le seconde più imponenti cascate ad est del Mississippi, ma nonostante questo, storicamente i visitatori non erano molto numerosi. Ora, come parco nazionale storico, è molto più pubblicizzato».
Ci dica qualcosa della comunità italiana (se esiste) di Paterson.
«La comunità italiana di Paterson era vibrante un secolo fa, ma ora è molto diminuita. Molti dei pochi italiani rimasti ed i loro discendenti sono anziani. La loro presenza, comunque è ancora visibile nelle panetterie, nei ristoranti e nelle chiese che si trovano in quelli che erano fiorenti quartieri italiani. Il Club Italiano, che vantava tra i suoi membri uomini d’affari di successo, è stato recentemente chiuso a causa della mancanza di sostegni. Nella Paterson del XXI secolo, gli emigranti europei di ieri sono stati sostituiti dagli arrivi di latino americani, medio orientali e centrafricani di oggi».
Quali sono i rapporti tra gli italiani di Paterson e l’Italia oggi?
«Come con la maggior parte dei gruppi etnici, le famiglie italiane rimaste a Paterson e nei dintorni hanno un legame con le loro radici in Italia, legame che mantengono attraverso ricerche e viaggi. Attualmente c’è una tendenza tra gli italo-americani a rintracciare le proprie origini e richiedere la doppia cittadinanza. Per contro, alcuni si sono distaccati dalla loro terra madre e sposano completamente lo stile di vita americano. L’immagine degli italiani in America, la cultura del cibo, arte, letteratura e musica è apprezzata da tutti. Infatti, il cibo italiano è ancora il più apprezzato nel Paese».
Esistono istituzioni che mantengono vive le radici italiane per chi ormai da generazioni è nato, vissuto e morto a Paterson?
«Il Club Circolo Sociale Italiano di Paterson era l’ultimo bastione esistente a preservare le radici italiane nella città. Gli uomini d’affari che avevano i mezzi per sostenere finanziariamente la struttura pagavano delle quote, frequentavano il bar ed il ristorante e organizzavano raduni ed incontri. Purtroppo, a causa del trasferimento, morte e malattia dei membri, il club è stato chiuso nel 2016. Un’era della cultura italiana a Paterson è finita in quella temuta e dolorosa giornata».
Ci sono “biellesi” a Paterson? Si sentono in qualche modo legati alle loro origini biellesi?
«La famiglia Botto, emigrata da Biella, inizialmente si stabilì a West Hoboken ed infine si trasferì a Haledon, New Jersey. Molti biellesi emigrarono nelle aree dove le fabbriche tessili erano presenti in abbondanza perché avevano le competenze del settore. Quando Paterson non offrì più un’alta possibilità d’impiego nelle fabbriche, molti biellesi si spostarono in altre regioni dello stato e del Paese. Quando i visitatori provenienti dal nord Italia vengono all’American Labor Museum e scoprono le radici famigliari dei Botto, condividono le storie dei loro antenati riguardo le lotte dei lavoratori, le marce tra i cordoni di scioperanti, andando in prigione per la giustizia e fronteggiando le istituzioni».
Esiste la consapevolezza negli italiani e nei “biellesi” di Paterson di quella che la loro storia, le loro radici di tessitori nel Biellese di fine Ottocento?
«Attraverso gli sforzi della Botto House, la storia dei tessitori biellesi continua ad essere condivisa fra i molti visitatori. Grazie ad un’azione di marketing sui maggiori canali televisivi, stazioni radiofoniche, pubblicazioni stampate e social media, la popolarità del museo è in crescita. Migliaia di utenti di Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest hanno l’opportunità di conoscere la storia degli emigrati e della lotta operaia nell’industria della seta di Paterson. Fino a quando il museo sarà in attività, la storia degli operai emigrati, compresa quella dei lavoratori biellesi, sarà raccontata. I loro sacrifici, competenze e solidarietà saranno celebrati e saranno per tutti d’ispirazione. Perché tutti noi gli dobbiamo essere riconoscenti».
Come si è evoluto il socialismo e l’anarchismo dei tanti emigrati italiani e “biellesi” a Paterson? Alcuni di loro, per esempio, furono legati al regicidio di Monza del 1900. Esiste memoria di quelle realtà?
«Gli USA hanno un’economia capitalista. Disapprovano il concetto di socialismo e di anarchia. Sebbene gli USA conservino un partito Democratico-socialista e gruppi anarchici continuino ad organizzarsi, entrambi non hanno una posizione dominante. Nelle elezioni presidenziali del 2016 Bernie Sanders, un socialista dichiarato, cambiò la sua posizione politica affiliandosi al Partito democratico in modo da raccogliere abbastanza sostegno finanziario per la sua campagna elettorale. E’ più difficile sapere se gli italiani, in particolare i biellesi, nel complesso, siano a conoscenza delle loro radici politiche e i legami con l’assassinio del re d’Italia Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci nel 1900. Ma sono stati realizzati documentari, sono stati scritti libri e sono state tenute conferenze che trattano questo periodo e vicenda. Quindi coloro che studiano le loro radici, dovrebbero essere consapevoli del legame».
Ci sono devoti alla Madonna di Oropa a Paterson oggi? Esiste una traccia di questa profonda devozione da parte degli emigranti di un secolo fa?
«Avendo recentemente visitato Biella ed essendo stata dinnanzi la Vergine Nera d’Oropa, posso dire che senza dubbio ha esercitato un profondo impatto sulla mia vita. Vedere gli ex voto che le persone hanno portato al Santuario di Oropa per ringraziare dei miracoli avvenuti nel suo nome, porta il visitatore alla conclusione che la Madonna Nera è veramente degna di devozione. Parlando della mia visita con altre persone che sono state ad Oropa, ho appreso che anche loro sono state profondamente toccate dall’esperienza. Poiché al nostro museo sono pochi i visitatori biellesi o che sono stati a Biella, è difficile per me rispondere a questa domanda, ma sono certa che se hanno visitato Oropa, non dimenticheranno mai l’esperienza e continueranno a ricordare e pregare la Vergine Bruna. Il souvenir con la sua immagine è sulla mia scrivania di casa. Quando ho bisogno di un aiuto extra per superare un momento difficile, ora mi rivolgo a lei. A quanto mi risulta, la famiglia Botto non praticava nessuna religione ufficiale. Non ci sono indicazioni sulla mancanza di devozione alla Vergine degli altri Biellesi. Sebbene ciò valga per i Botto, non rappresenta gli emigrati biellesi nel loro complesso».
Danilo Craveia