Erano un centinaio ieri gli "Alcolisti Anonimi" che hanno brindato (rigorosamente con acqua minerale o aranciata) per festeggiare il ventesimo compleanno della sezione biellese dell'associazione. Al pranzo, organizzato come ogni anno al Villaggio Lamarmora, hanno partecipato anche gruppi di altre città. L' "AA", come la chiamano sbrigativamente i soci, è un'associazione che opera in tutto il mondo. E' nata negli Stati uniti nel 1935 e dà l'impressione a chi non la frequenta di avere alla base proprio quel puritanesimo e quel misticismo che caratterizzano buona parte della società americana.
Nella sede di via Borriana, dove tre giorni la settimana si riuniscono quelli che hanno deciso di smettere di bere, ci sono due tavole delle leggi: "I dodici passi" e "Le dodici tradizioni". Sono principi o regole che, per indicare la strada della sobrietà ai peccatori di alcol, si richiamano soprattutto a Dio.
L'alcolismo, per A.A., è una malattia da cui non si guarisce, quindi bisogna continuare a curarsi. Come? Smettendo di bere ogni giorno, raccontando la propria storia e ascoltando quella degli altri. Non per qualche mese o per qualche anno: per sempre. «Ho smesso di bere 20 anni fa, ma se adesso vado a casa e bevo tanto così, so che domani ci ricasco» spiega una signora.
Accanto alla sala dove gli alcolisti anonimi si riuniscono le sere di lunedì e mercoledì (dalle 21 alle 23) e il sabato pomeriggio (dalle 15 alle 17), c'è un altro locale dove si incontrano per conto loro i familiari dei “malati". Fanno capo alla stessa associazione e vengono aiutati a curare i malesseri che gli alcolisti causano a chi vive con loro. «Prima di me sono venuti i miei figli e mio marito. E' stato importante perché hanno fatto maturare anche la mia consapevolezza. Prima trovavano le bottiglie che nascondevo, mi sgridavano e ottenevano solo che io bevessi di più. Quando il loro atteggiamento è cambiato ho preso coscienza e ho smesso».
Per A.A. non sono importanti le cause ma, le conseguenze. Non perché uno (o una) beve, ma che guai combina a sé e agli altri. Nelle riunioni si legge, si parla, si ragiona e si racconta. Una confessione infinita.
I risultati? Impossibile documentarli con le cifre. La regola dell'anonimato proibisce qualsiasi raccolta di dati e non consente l'elaborazione di statistiche. A Biella vent'anni fa erano una mezza dozzina, si appoggiavano alla sede di Vercelli. Poi hanno creato una sede in cui di alcolisti ne sono passati tanti. Ogni dieci, dicono, se ne fermano tre. Alle riunioni del lunedì e del mercoledì sono in media una ventina. Un po' meno il sabato. Ci sono settimane che arrivano anche due o tre soci nuovi, poi per un mese non si fa vivo nessuno. L'accesso avviene prevalentemente con il sistema del passa parola. C'è il logo dell'associazione negli ambulatori medici, ma pochi sanno della sua esistenza. «In Irlanda è più facile, tutti conoscono A.A.» racconta un'altra signora. Sabato, su nove presenti, le donne erano tre. Il problema dell'alcolismo non ha sesso, età o condizione sociale. «Operai, geometri, infermiere, professionisti, medici», spiega un alcolista pentito e "sobrio" da 20 anni. «E da noi persino un giudice», aggiunge la signora irlandese.
Chi vuole aiuto da A.A. può telefonare al numero 015-8493090. Nessuna quota da pagare. L'associazione è di volontariato puro, economicamente autonoma. Ognuno contribuisce con quel che può. Il primo passo, obbligatorio e gratis, è riconoscere di essere alcolisti.
Mario Pozzo
15 marzo 2009
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