Viaggio nel campo nomadi Problemi e integrazione

Viaggio nel campo nomadi Problemi e integrazione
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(20 sett) Italiani, piemontesi, che spesso parlano in dialetto. Presenti sul territorio da decenni. Eppure, ci sono distanze e differenze che restano. Modernità e tradizione. Questioni d’apparenza, certo. Ma non solo. Campo nomadi di Biella, periferia della città, in fondo a via fratelli Rosselli, praticamente alle porte di Ponderano, in regione Villanetto, nei paraggi del grande rondò e dello svincolo stradale del collegamento con Mongrando (foto). Italiani, piemontesi, che spesso parlano in dialetto. Presenti sul territorio da decenni. Eppure, ci sono distanze e differenze che restano. Modernità e tradizione. Questioni d’apparenza, certo. Ma non solo. Campo nomadi di Biella, periferia della città, in fondo a via fratelli Rosselli, praticamente alle porte di Ponderano, in regione Villanetto, nei paraggi del grande rondò e dello svincolo stradale del collegamento con Mongrando (foto).
Nei giorni in cui l’Europa dei grandi capi di Stato si confronta sul tema dei nomadi e delle espulsioni, con riflessi pure nella politica italiana, gli abitanti del campo rivendicano nuovi spazzi e più attenzione da parte dell’amministrazione comunale, provinciale e regionale. La cultura dell’assistenzialismo qui è molto forte, ma anche le ragioni per chiedere condizioni di vita migliori.
Il campo è abitato da un centinaio di zingari, che appartengono a una ventina di famiglie più o meno legate da vincoli di parentela. La loro condizione è di seminomadi. Si spostano di frequente, con residenze e domicili non sempre facili da accertare. Sono tutti dell’etnia sinti. Un’appartenenza che rivendicano con orgoglio. «I rom? Non c’entriamo niente. Siamo diversi. Loro sono slavi, noi italiani. Abbiamo culture differenti. I nostri figli vanno a scuola, i loro a chiedere l’elemosina in giro per le strade». Parola di Andreino Bianchi, settantenne, considerato il punto di riferimento del gruppo. Spesso, però, i nomadi hanno strutture sociali di tipo matriarcale. Qui, comunque, è lui il nostro traghettatore dentro una comunità con diversi problemi, cui non è facile avere accesso senza i giusti contatti. Ieri era Gustavo “Tavo” Buratti, difensore degli ultimi e studioso delle minoranze, ad avere un filo diretto con il “popolo figlio del vento”. Oggi ci prova Tony Filoni, che insieme al consigliere comunale (Sinistra) Roberto Pietrobon ha presentato un’interrogazione sollevando alcune magagne presenti nella struttura. Ma qui le grane sono molte, piccole e grandi, non solo legate alle infiltrazioni d’acqua e all’erba da tagliare in zone adiacenti al campo. Diverse persone hanno guai con la giustizia, per esempio. Basta fare una passeggiata e qualcuno lo ammette pure, che va a rubare in giro... Lo dice sorridendo, forse prendendoti in giro. Chissà. Certo i figli di Bianchi sono agli arresti domiciliari, racconta il padre. Come mai? «Cose che capitano» risponde serafico, da una sedia sdraio che pare un piccolo trono. Quasi tutti coloro che hanno guai con la giustizia, si rivolgono all’avvocato Sandro Delmastro.
I bambini vanno abbastanza regolarmente a scuola, al Villaggio Lamarmora soprattutto, dove i maggiorenni si recano a votare. Centrodestra e centrosinistra, a ogni tornata elettorale, si presentano qui a battere cassa, per accaparrarsi una cinquantina di voti in ballo.
In un sabato mattina freddo e piovoso, c’è chi ha voglia di parlare e di raccontare, ma anche chi è infastidito da giornalisti e da fotografi. Chi si avvicina incuriosito e chi si allontana, disturbato per un’attenzione che viola inevitabilmente domicili e privacy.
Il campo è diviso in otto piazzole, in ognuna delle quali vivono due famiglie, con relative roulottes per dormire e container dove cucinare. Poi ci sono i bagni, comuni. Diverse persone si lamentano per le condizioni di water e di lavabo. In effetti ci sono muri scrostati, ruggine e altro. Nulla a che fare con quanto s’è visto in televisione in queste settimane. Il campo infatti è un modello ordinato e positivo, anche di convivenza. I lavori da fare non mancano, ma degrado non ce n’è. O almeno non si vede in un rapido sopralluogo. Nelle scorse settimane in un canale adiacente al campo si sono visti grossi ratti, ma ora gli abitanti hanno provveduto, con trappole e con veleno.
L’area attrezzata per la sosta del campo nomadi è soggetta a un regolamento comunale, che risale al 1996. Lavori importanti furono fatti nel 1999. Prima roulotte e altro hanno stazionato per decenni poco lontano, senza norme. Oggi il Comune di Biella ha oneri e onori sul funzionamento. In questo senso il consigliere Pietrobon ha chiesto alla giunta Gentile di provvedere per alcune recinzioni e una conduttura del Cordar rotta, che farebbe cedere una pavimentazione.
«Viviamo vendendo ferro - aggiunge Bianchi (in giro ci sono diversi cumuli di materiale, ndr) -. Nessuno ha un lavoro in regola. Nessuno ci aiuta. Assistenti sociali? Mai visti. Non ci danno neanche un pacco di pasta. Così ci aggiustiamo. Il ferro lo recuperiamo in giro, per andarlo a vendere fuori provincia. Per ogni chilo di materiale ci danno sei o sette centesimi, al massimo».
Voglia di vivere all’aperto. Cultura del nomadismo. Per molti, ma non per tutti. Giordan Godino, per esempio, una casa vera la vorrebbe. Ne ha fatto richiesta, oltre a una serie di altri aiuti per il proprio figlio. La moglie vende porta a porta biancheria intima. «Un lavoro lo accetterei, pure di quelli socialmente utili. Magari part-time» gli fa eco un vicino.
Nel campo ci sono automobili di media cilindrata e valore (una Lancia “Y10” e una Renault “Mégane”, per esempio). In un’abitazione abbiamo visto un televisore, al plasma. I bambini hanno occhiali per correggere problemi alla vista. Scarpe e vestiti puliti. Le donne giovani hanno gioielli e aspetto ordinato, in alcuni casi attraente. Qualche anziana si mostra più dimessa. Gli uomini parlano poco, molti fumano. I ragazzi indossano scarpe da ginnastica e magliette alla moda. «Vorremmo nuovi spazi - dice Debora De Mitri, trentenne, madre di due figli -. Lo spazio intorno c’è. Potremmo accogliere dei nostri parenti e amici». In effetti il campo alle origini era stato pensato per una cinquantina di persone, risultando quindi troppo piccolo oggi, visto il numero di persone presenti. Dopodiché qui l’arte di arrangiarsi è molto sviluppata.
Il campo ogni tanto è oggetto di intimidazioni più o meno serie. Qualcuno parla addirittura di un caso di spari contro le roulottes, mesi fa. Ma quasi sempre si tratta di bravate. Gente che ferma l’auto nei pressi del campo, sulla tangenziale, è urla frasi razziste o insulti. «Noi lasciamo perdere...» assicura Bianchi. La cronaca, però, racconta anche di un ragazzo che ha inseguito con una mazza da baseball due trentenni, reduci da una festa fuori città, che avevano deciso di concludere la serata lanciando pietre contro il campo. La polizia li ha salvati.
«Al di là di episodi, si tratta di una comunità con cui è possibile un dialogo» sostiene Pietrobon. «I bambini giocano a calcio, molti li conosco» aggiunge Filoni. Anche Delmastro è conciliante: «Non sempre è facile fare accettare la cultura delle regole, ma situazioni emergenziali non ce ne sono».
Sotto il Mucrone, insomma, nessuno parla di sgomberi e di espulsioni di zingari. Non tutto è rose e fiori. Ma la comunità nomade pare più o meno integrata, con le istituzioni attente e fronteggiare ogni evenienza. Emergenza e polemiche non abitano qui.
Paolo La Bua

20/09/2010

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