Woolres: in pista Eni e Messico

Woolres: in pista Eni e Messico
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All’inizio fu Wores, la lana anti marea nera. Oggi l’impianto pilota brevettato si chiama - come il progetto - Woolres, ovvero “wool recycle ecosystem” cioè lana, riciclo, eco sistema: presto potrebbe entrare in produzione  e portare nel Biellese un potenziale giro d’affari di mezzo miliardo di euro. Quella che nel 2011 era una “lampadina accesa”, un’idea maturata nella mente  vulcanica dell’allora presidente Uib Luciano Donatelli, del chimico e direttore dell’ente certificatore Tessile e Salute Mauro Rossetti e dell’imprenditore Mario Ploner (insieme nella foto), è diventata realtà:  nel frattempo, nell’ambito del Polo regionale per il tessile innovativo Pointex, è stato ottenuto un finanziamento europeo di 740mila euro su una base progettuale di 1,3 milioni di euro, è stato realizzato l’impianto pilota nella sede di Tecnomeccanica Biellese a Camburzano e sono state superate  le verifiche dei Politecnici di Milano e di Torino e quelle del Rina, il Registro navale italiano. «Abbiamo realizzato un impianto vero e proprio - racconta Ploner, reduce dalla fiera degli inventori “Maker Faire Rome”  - che fa gola, brevetto compreso, a banche d’affari arabe, le quali volevano finanziare l’iniziativa diventando le azioniste di riferimento e alle quali abbiamo detto  “no”, ma soprattutto  all’Eni, il colosso italiano degli idrocarburi, agli enti petroliferi messicano e brasiliano, per finire con una multinazionale canadese che si occupa di bonifica da petrolio e idrocarburi su terra e acqua».   

 L’idea iniziale era stata quella di sfruttare le caratteristiche di idrorepellenza della lana e la sua importante capacità di assorbire idrocarburi. Ci aveva provato fin da subito Rossetti con un test empirico dentro una bacinella. E il presupposto era molto semplice: nell’affrontare i disastri prodotti dagli sversamenti di petrolio in mare,  la lana  potrebbe essere il valore aggiunto, la chiave della soluzione planetaria del problema, tenuto conto che oggi l’impiego di additivi chimici in caso di “marea nera” sposta semplicemente i guai dalla superficie del mare ai fondali che vengono sostanzialmente asfaltati. «Il segreto - spiega Ploner - sta nella lana grezza, quella che gli allevatori hanno difficoltà a smaltire una volta tosati gli animali perché non è abbastanza fine per confezionare filati e tessuti di pregio. La materia prima contiene lanolina, fortemente idrorepellente ma capace di assorbire al contempo liquidi oleosi. Utilizzata una prima volta, la lana viene spremuta in una macchina che abbiamo progettato  e ributtata in mare per riassorbire altro liquido inquinante. Questa operazione nei test è stata sperimentata positivamente fino a 22 volte con la stessa lana e con analoghi risultati. In pratica e in modo abbastanza semplice con 10 tonnellate di lana sucida è possibile recuperare ben 950 tonnellate di petrolio, pari a 6.350 barili». Lo stesso petrolio - sono sicuri i ricercatori del Politecnico che hanno affiancato Ploner e gli altri nel progetto - si potrà processare in una qualsiasi raffineria. «Non solo - aggiunge Ploner -: anche la lana residua potrà essere bruciata in un termovalorizzatore generando così energia».

Roberto Azzoni

Leggi di più sull’Eco di Biella di lunedì 25 ottobre 2015 

All’inizio fu Wores, la lana anti marea nera. Oggi l’impianto pilota brevettato si chiama - come il progetto - Woolres, ovvero “wool recycle ecosystem” cioè lana, riciclo, eco sistema: presto potrebbe entrare in produzione  e portare nel Biellese un potenziale giro d’affari di mezzo miliardo di euro. Quella che nel 2011 era una “lampadina accesa”, un’idea maturata nella mente  vulcanica dell’allora presidente Uib Luciano Donatelli, del chimico e direttore dell’ente certificatore Tessile e Salute Mauro Rossetti e dell’imprenditore Mario Ploner (insieme nella foto), è diventata realtà:  nel frattempo, nell’ambito del Polo regionale per il tessile innovativo Pointex, è stato ottenuto un finanziamento europeo di 740mila euro su una base progettuale di 1,3 milioni di euro, è stato realizzato l’impianto pilota nella sede di Tecnomeccanica Biellese a Camburzano e sono state superate  le verifiche dei Politecnici di Milano e di Torino e quelle del Rina, il Registro navale italiano. «Abbiamo realizzato un impianto vero e proprio - racconta Ploner, reduce dalla fiera degli inventori “Maker Faire Rome”  - che fa gola, brevetto compreso, a banche d’affari arabe, le quali volevano finanziare l’iniziativa diventando le azioniste di riferimento e alle quali abbiamo detto  “no”, ma soprattutto  all’Eni, il colosso italiano degli idrocarburi, agli enti petroliferi messicano e brasiliano, per finire con una multinazionale canadese che si occupa di bonifica da petrolio e idrocarburi su terra e acqua».   

 L’idea iniziale era stata quella di sfruttare le caratteristiche di idrorepellenza della lana e la sua importante capacità di assorbire idrocarburi. Ci aveva provato fin da subito Rossetti con un test empirico dentro una bacinella. E il presupposto era molto semplice: nell’affrontare i disastri prodotti dagli sversamenti di petrolio in mare,  la lana  potrebbe essere il valore aggiunto, la chiave della soluzione planetaria del problema, tenuto conto che oggi l’impiego di additivi chimici in caso di “marea nera” sposta semplicemente i guai dalla superficie del mare ai fondali che vengono sostanzialmente asfaltati. «Il segreto - spiega Ploner - sta nella lana grezza, quella che gli allevatori hanno difficoltà a smaltire una volta tosati gli animali perché non è abbastanza fine per confezionare filati e tessuti di pregio. La materia prima contiene lanolina, fortemente idrorepellente ma capace di assorbire al contempo liquidi oleosi. Utilizzata una prima volta, la lana viene spremuta in una macchina che abbiamo progettato  e ributtata in mare per riassorbire altro liquido inquinante. Questa operazione nei test è stata sperimentata positivamente fino a 22 volte con la stessa lana e con analoghi risultati. In pratica e in modo abbastanza semplice con 10 tonnellate di lana sucida è possibile recuperare ben 950 tonnellate di petrolio, pari a 6.350 barili». Lo stesso petrolio - sono sicuri i ricercatori del Politecnico che hanno affiancato Ploner e gli altri nel progetto - si potrà processare in una qualsiasi raffineria. «Non solo - aggiunge Ploner -: anche la lana residua potrà essere bruciata in un termovalorizzatore generando così energia».

Roberto Azzoni

Leggi di più sull’Eco di Biella di lunedì 25 ottobre 2015 

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