Sul rinnovo del contratto, i sindacati tessili scrivono alle imprese

Sul rinnovo del contratto, i sindacati tessili scrivono alle imprese
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«Chiediamo agli imprenditori tessili biellesi di farsi parte attiva perché la trattativa e il confronto sul contratto nazionale riprendano su basi e contenuti positivi». Dopo la rottura delle trattative, a inizio ottobre, e la dichiarazione dello stato di agitazione del settore tessile, la richiesta arriva da Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil ed è contenuta in una “Lettera aperta agli imprenditori tessili” che le Rsu di ogni azienda biellese stanno consegnando ai rispettivi datori di lavoro.  Si tratta di un’azione forte che il sindacato ha unitariamente deciso non solo per dare maggior impatto allo sciopero per il rinnovo del contratto di lavoro che, il prossimo venerdì 18 novembre, vedrà i lavoratori di settore incrociare le braccia (nello stesso giorno, Biella diventerà, per l’occasione, il punto di riferimento dell’intera regione Piemonte con un presidio che, a partire dalle 10 sino alle 12, si svolgerà di fronte all’Uib e che raccoglierà le rappresentanze di tutti i lavoratori tessili piemontesi), ma anche per esprimere il disagio di fronte ad una situazione di impasse nella trattativa: era da un ventennio che i rapporti tra lavoratori e imprenditori di settore non giungevano a un tale punto di scontro.  Ad agitare le acque e a creare questo clima da “autunno caldo” («Situazione e clima che finiscono per danneggiare entrambe le parti soggetto del confronto»  commenta il vicepresidente Uib per le Relazioni Industriali, Nicolò Zumaglini) è soprattutto il permanere della distanza, dopo oltre sei mesi di trattativa, tra le diverse posizioni in gioco. La dialettica tra le parti resta quindi tesa: da un lato, Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil che insistono, sul versante salariale, nella richiesta di un aumento medio di 100 euro (parametrato al III livello), respingendo le eccezioni di Smi relative all’ eccessiva onerosità della richiesta con l’argomento che, recentemente, le piccole aziende aderenti a Confapi hanno chiuso positivamente il confronto con un aumento medio mensile di 75 euro; dall’altro lato, Smi che, invece, sottolinea l’opportunità di erogare l’eventuale incremento salariale solo ex post ossia dopo una valutazione dell’andamento effettivo dell’inflazione, onde evitare, come per il recente passato, esborsi non giustificati dal reale aumento del caro vita. Ancora: da un lato, questa volta sotto il profilo normativo, Smi che ritiene importante mettere al centro la produttività attraverso un ridisegno del modello competitivo (rivedendo, per esempio, la modulazione degli orari, il ricorso agli straordinari e la fruizione delle ferie) e spostando il baricentro sulla cosiddetta “contrattazione di secondo livello” (per le aziende in cui non si fa la contrattazione aziendale, Smi ha peraltro offerto la definizione di un congruo elemento perequativo in grado di incentivare l’istituzione di premi per obiettivi). Dall’altro lato, invece, i sindacati che paventano, dietro questo nuovo modello, un indebolimento dei diritti. «Il contratto nazionale - dice Gloria Missaggia, segretaria di Filctem Cgil Biella - dà già oggi la possibilità di contrattare forme diverse di scorrimento sulla settimana, flessibilità rispetto agli andamenti produttivi stagionali e altro ancora. In materia, poi,  proprio l’esperienza tessile e quella biellese in particolare, è esemplare. Allora, tutto questo agitarsi sugli orari è inaccettabile e si spiega solo con la volontà di sottrarre potere contrattuale al lavoratore».  Un’affermazione che, però, Smi contesta, ribadendo come debba considerarsi definitivamente chiusa la stagione in cui gli aumenti salariali possano essere indipendenti da un nuovo modello produttivo volto a recuperare competitività. «Sono ancora molte, la netta maggioranza, le imprese del settore che faticano a competere sui mercati internazionali per la forte concorrenza (spesso non leale o non ad armi pari) proveniente dai paesi emergenti - afferma Carlo Mascellani, vicedirettore per l’Area Relazioni Industriali di Smi -. Considerata l’attuale congiuntura e le prospettive di settore, la parte economica non può e non deve essere quella centrale in questo rinnovo». Insomma, per Smi occorre partire proprio da un nuovo modello  che rilanci la produttività legando ad essa gli incrementi economici. «Non è accettabile - conclude Mascellani - incrementare le retribuzioni con aumenti distribuiti a pioggia, decisi a livello nazionale senza tener conto delle enormi differenze economiche e produttive in cui versano le diverse tipologie di impresa di cui il settore è composto. Lo sciopero nazionale, programmato a livello territoriale in prevalenza per il giorno venerdì 18 novembre, qualunque sarà l’esito in termini di adesioni dei lavoratori, non potrà quindi cambiare questa situazione».  L’appello dei sindacati biellesi alle imprese locali viene però accolto con interesse e attenzione dal vicepresidente Uib, Nicolò Zumaglini, che siede al tavolo delle trattative. «Attendo di ricevere la lettera e di conoscerne il contenuto - dice Zumaglini -. Posso già dire di condividere l’idea di dover superare le presenti tensioni che non contribuiscono alla serenità del negoziato. Tuttavia, perché concretamente si possano verificare le condizioni del dialogo, occorre che ciascuna parte si sforzi di capire a fondo le ragioni dell’altra. Per parte mia, comprendo i timori del sindacato, ma sono anche in condizione di fugarli perché il tessile-abbigliamento made in Italy trova proprio nell’etica dei rapporti di lavoro e nel rispetto dei lavoratori e dei loro diritti un elemento differenziale importante del suo appeal sul contesto internazionale. Sarebbe assurdo voler incidere o indebolire questo elemento, creando un danno di immagine al settore che rappresentiamo. Il sindacato, però, deve a sua volta capire  che proprio il mutato contesto produttivo, la competizione internazionale, l’evoluzione dei consumi e l’apertura di nuovi mercati postulano oggi imprese con organizzazione e ritmi molto diversi. In quest’ultimo decennio, proprio l’obsolescenza del nostro modello ha fatto perdere competitività al sistema: questa competitività va recuperata. Per questo, occorre impegnarsi mettendo al centro la produttività e favorendo un sistema che tenga conto della diversità delle varie realtà. Chiedere allora di legare meglio gli incrementi economici a questa produttività, non significa indebolire il fronte dei diritti, ma, con pragmatismo, determinare piuttosto le condizioni per una maggior resilienza del nostro tessile-abbigliamento agli urti delle crisi: una resilienza che, nell’ottica di medio-lungo periodo, facendo più competitive le imprese renderà anche più tutelato e sicuro il lavoro stesso. È su questo pragmatismo che possiamo realisticamente riprendere il confronto».

«Chiediamo agli imprenditori tessili biellesi di farsi parte attiva perché la trattativa e il confronto sul contratto nazionale riprendano su basi e contenuti positivi». Dopo la rottura delle trattative, a inizio ottobre, e la dichiarazione dello stato di agitazione del settore tessile, la richiesta arriva da Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil ed è contenuta in una “Lettera aperta agli imprenditori tessili” che le Rsu di ogni azienda biellese stanno consegnando ai rispettivi datori di lavoro.  Si tratta di un’azione forte che il sindacato ha unitariamente deciso non solo per dare maggior impatto allo sciopero per il rinnovo del contratto di lavoro che, il prossimo venerdì 18 novembre, vedrà i lavoratori di settore incrociare le braccia (nello stesso giorno, Biella diventerà, per l’occasione, il punto di riferimento dell’intera regione Piemonte con un presidio che, a partire dalle 10 sino alle 12, si svolgerà di fronte all’Uib e che raccoglierà le rappresentanze di tutti i lavoratori tessili piemontesi), ma anche per esprimere il disagio di fronte ad una situazione di impasse nella trattativa: era da un ventennio che i rapporti tra lavoratori e imprenditori di settore non giungevano a un tale punto di scontro.  Ad agitare le acque e a creare questo clima da “autunno caldo” («Situazione e clima che finiscono per danneggiare entrambe le parti soggetto del confronto»  commenta il vicepresidente Uib per le Relazioni Industriali, Nicolò Zumaglini) è soprattutto il permanere della distanza, dopo oltre sei mesi di trattativa, tra le diverse posizioni in gioco. La dialettica tra le parti resta quindi tesa: da un lato, Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil che insistono, sul versante salariale, nella richiesta di un aumento medio di 100 euro (parametrato al III livello), respingendo le eccezioni di Smi relative all’ eccessiva onerosità della richiesta con l’argomento che, recentemente, le piccole aziende aderenti a Confapi hanno chiuso positivamente il confronto con un aumento medio mensile di 75 euro; dall’altro lato, Smi che, invece, sottolinea l’opportunità di erogare l’eventuale incremento salariale solo ex post ossia dopo una valutazione dell’andamento effettivo dell’inflazione, onde evitare, come per il recente passato, esborsi non giustificati dal reale aumento del caro vita. Ancora: da un lato, questa volta sotto il profilo normativo, Smi che ritiene importante mettere al centro la produttività attraverso un ridisegno del modello competitivo (rivedendo, per esempio, la modulazione degli orari, il ricorso agli straordinari e la fruizione delle ferie) e spostando il baricentro sulla cosiddetta “contrattazione di secondo livello” (per le aziende in cui non si fa la contrattazione aziendale, Smi ha peraltro offerto la definizione di un congruo elemento perequativo in grado di incentivare l’istituzione di premi per obiettivi). Dall’altro lato, invece, i sindacati che paventano, dietro questo nuovo modello, un indebolimento dei diritti. «Il contratto nazionale - dice Gloria Missaggia, segretaria di Filctem Cgil Biella - dà già oggi la possibilità di contrattare forme diverse di scorrimento sulla settimana, flessibilità rispetto agli andamenti produttivi stagionali e altro ancora. In materia, poi,  proprio l’esperienza tessile e quella biellese in particolare, è esemplare. Allora, tutto questo agitarsi sugli orari è inaccettabile e si spiega solo con la volontà di sottrarre potere contrattuale al lavoratore».  Un’affermazione che, però, Smi contesta, ribadendo come debba considerarsi definitivamente chiusa la stagione in cui gli aumenti salariali possano essere indipendenti da un nuovo modello produttivo volto a recuperare competitività. «Sono ancora molte, la netta maggioranza, le imprese del settore che faticano a competere sui mercati internazionali per la forte concorrenza (spesso non leale o non ad armi pari) proveniente dai paesi emergenti - afferma Carlo Mascellani, vicedirettore per l’Area Relazioni Industriali di Smi -. Considerata l’attuale congiuntura e le prospettive di settore, la parte economica non può e non deve essere quella centrale in questo rinnovo». Insomma, per Smi occorre partire proprio da un nuovo modello  che rilanci la produttività legando ad essa gli incrementi economici. «Non è accettabile - conclude Mascellani - incrementare le retribuzioni con aumenti distribuiti a pioggia, decisi a livello nazionale senza tener conto delle enormi differenze economiche e produttive in cui versano le diverse tipologie di impresa di cui il settore è composto. Lo sciopero nazionale, programmato a livello territoriale in prevalenza per il giorno venerdì 18 novembre, qualunque sarà l’esito in termini di adesioni dei lavoratori, non potrà quindi cambiare questa situazione».  L’appello dei sindacati biellesi alle imprese locali viene però accolto con interesse e attenzione dal vicepresidente Uib, Nicolò Zumaglini, che siede al tavolo delle trattative. «Attendo di ricevere la lettera e di conoscerne il contenuto - dice Zumaglini -. Posso già dire di condividere l’idea di dover superare le presenti tensioni che non contribuiscono alla serenità del negoziato. Tuttavia, perché concretamente si possano verificare le condizioni del dialogo, occorre che ciascuna parte si sforzi di capire a fondo le ragioni dell’altra. Per parte mia, comprendo i timori del sindacato, ma sono anche in condizione di fugarli perché il tessile-abbigliamento made in Italy trova proprio nell’etica dei rapporti di lavoro e nel rispetto dei lavoratori e dei loro diritti un elemento differenziale importante del suo appeal sul contesto internazionale. Sarebbe assurdo voler incidere o indebolire questo elemento, creando un danno di immagine al settore che rappresentiamo. Il sindacato, però, deve a sua volta capire  che proprio il mutato contesto produttivo, la competizione internazionale, l’evoluzione dei consumi e l’apertura di nuovi mercati postulano oggi imprese con organizzazione e ritmi molto diversi. In quest’ultimo decennio, proprio l’obsolescenza del nostro modello ha fatto perdere competitività al sistema: questa competitività va recuperata. Per questo, occorre impegnarsi mettendo al centro la produttività e favorendo un sistema che tenga conto della diversità delle varie realtà. Chiedere allora di legare meglio gli incrementi economici a questa produttività, non significa indebolire il fronte dei diritti, ma, con pragmatismo, determinare piuttosto le condizioni per una maggior resilienza del nostro tessile-abbigliamento agli urti delle crisi: una resilienza che, nell’ottica di medio-lungo periodo, facendo più competitive le imprese renderà anche più tutelato e sicuro il lavoro stesso. È su questo pragmatismo che possiamo realisticamente riprendere il confronto».

Giovanni Orso

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