«Ripartire da manifattura, scuola e fisco»

«Ripartire da manifattura, scuola e fisco»
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Il rilancio del manifatturiero, un nuovo rapporto scuola-lavoro e un intervento nel senso di ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese: poggia su questo trinomio la “ricetta” che Paolo Pirani, segretario nazionale Uiltec , propone per uscire dall’impasse. «Stiamo smarrendo la vocazione manifatturiera del nostro Paese, ignorando che siamo ancora la seconda manifattura d’Europa» dice il sindacalista che è stato l’oratore ufficiale al comizio del Primo Maggio a Biella, venerdì scorso.  Una manifestazione nel corso della quale il mondo del lavoro biellese si è interrogato sulla crisi profonda che sta mettendo a rischio la tenuta sociale di un territorio dove crescono gli iscritti al Centro per l’Impiego e i contratti a tempo determinato.

Il rilancio del manifatturiero, un nuovo rapporto scuola-lavoro e un intervento nel senso di ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese: poggia su questo trinomio la “ricetta” che Paolo Pirani, segretario nazionale Uiltec , propone per uscire dall’impasse. «Stiamo smarrendo la vocazione manifatturiera del nostro Paese, ignorando che siamo ancora la seconda manifattura d’Europa» dice il sindacalista che è stato l’oratore ufficiale al comizio del Primo Maggio a Biella, venerdì scorso.  Una manifestazione nel corso della quale il mondo del lavoro biellese si è interrogato sulla crisi profonda che sta mettendo a rischio la tenuta sociale di un territorio dove crescono gli iscritti al Centro per l’Impiego e i contratti a tempo determinato.

Tuttavia, secondo i dati nazionali, ricomincia, seppur faticosamente a crescere l’ occupazione. Merito del Jobs Act? E, soprattutto, il Jobs Act è strumento sufficiente a ravviare l’occupazione?

«Dobbiamo partire da una considerazione: la crisi del 2008 ha colpito duramente l’apparato industriale. Ne hanno risentito anche situazioni di eccellenza, ma, a conti fatti, oggi possiamo dire che chi ha saputo rinnovare e ristrutturare è rimasto in campo. Credo  occorra tener conto di questo sforzo per capire qual è la direzione giusta e per valutare i risultati e gli effetti attuali».

Uno sforzo che, tuttavia, ha rappresentato anche l’espulsione dal mercato del lavoro di migliaia di addetti e, per le stesse imprese, una progressiva riduzione dei margini.

«Sì. Chi è rimasto in campo, si trova oggi a dover competere a condizioni più difficili. Il nostro manifatturiero è molto polarizzato sull’export che ha ricominciato a correre, mentre resta al palo la domanda interna e, questo, non è un dettaglio ma qualcosa di importante: se non tornano a muoversi i consumi interni, vedo difficile una ripresa delle assunzioni. Alla luce di tutto ciò, per rispondere alla domanda iniziale, il Jobs Act non basta certo: occorrono provvedimenti strutturali e politiche industriali per far ripartire la domanda di beni e servizi».

A quali provvedimenti pensa?

«Faccio una premessa che ritengo importante: in Italia, dobbiamo recuperare l’idea del lavoro manuale e artigianale e continuare a produrre manufatti per continuare veramente lo sviluppo. Questo, però, passa da alcune strade inevitabili: una nuovo fiscalità più equa sul lavoro e un rapporto moderno scuola-impresa. Solo così possiamo rilanciare la manifattura, rendendo remunerativo fare impresa, creare posti di lavoro e mantenere e valorizzare le competenze».

Il rilancio del manifatturiero dovrebbe essere tema sicuramente centrale per un Paese come l’Italia. Di fatto, invece, non lo è. L’Italia pare appiattita su linee di intervento e di strategia talvolta incomprensibili: è il caso del Regolamento per il “made in” che il nostro Paese, nonostante il semestre di presidenza italiana della Ue, non è stato neppure in grado di portare a casa; ma è anche il caso delle sanzioni alla Russia, nonostante quello sia un mercato importante per il made in Italy. 

«In effetti la difesa e la promozione del nostro manifatturiero non può che passare dalla difesa del nostro “made in”, tanto a livello europeo, quanto sul versante interno dove occorrono politiche che facilitino la cultura del fare e non la frenino. Siamo il Paese che è riuscito a conservare praticamente integra la filiera tessile, ma di questo passo rischiamo concretamente di romperla o addirittura di perderla, con un danno enorme per la nostra economia».

Giovanni Orsoorso
@primabiella.it

Leggi l’intervista integrale sull’Eco di Biella di lunedì 4 maggio 2015 

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