Pressione fiscale al 43,5% sul Pil per imprese e famiglie
La pressione fiscale complessiva (ovvero l’ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) nel 2014 è risultata pari al 43,5% ossia in aumento dello 0,1% rispetto al 2013. La notizia, rimbalzata l’altro ieri sui principali quotidiani di informazione economica, arriva dall’Istat e ha costituito subito elemento di dibattito tra chi (aziende e famiglie in prima fila) continua a vedere in questo trend in crescita un pesante vincolo all’espansione economica, e il Mef (il Ministero dell’Economia) che invece contesta il calcolo Istat e fissa, in virtù soprattutto dell’operazione bonus Irpef, il livello di pressione al 43,1%, con un calo, pertanto, dello 0,4%.
Contabilità. Probabilmente, in termini di criteri di contabilità stretta, il Mef non ha torto. Ma si tratterebbe, comunque, di decimali che, pur nell’importanza che essi possono rivestire per indicare il trend di un fenomeno, non spostano in modo davvero significativo il livello della pressione fiscale italiana, cresciuta in quattro anni di circa 2 punti percentuali. Se stiamo alla nota tecnica illustrativa dell’ultima Legge di Stabilità, nel 2015 dovremmo essere al 43,2% (trend fermo) mentre nel 2016 si raggiungerebbe il picco del 43,7% per poi scendere, nel 2017, al 43,6%. Insomma, la manifattura italiana e le famiglie, non sarebbero destinate a risentire, almeno nell’immediato, di quel calo decisivo della pressione fiscale che, invece, da anni viene invocato come veicolo essenziale per il rilancio. Non solo: il quadro che Istat dipinge non può che far arrabbiare gli italiani: nel 2014, infatti, le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono aumentate dello 0,6% rispetto all’anno precedente (+0,1% nel 2013, con incidenza sul Pil pari a 48,1%), mentre nell’identico periodo le loro uscite sono cresciute più che proporzionalmente ossia dello 0,8% rispetto al 2013: in rapporto al Pil sono risultate pari al 51,1%. A crescere, soprattutto, sono state le imposte indirette (+3,3%), riflettendo prevalentemente l’incremento del gettito Iva e l’introduzione della Tasi.
Manifattura. «Sono dati di fronte ai quali difficilmente imprese e famiglie possono evitare di reagire, pensando ai malfunzionamenti di quei pubblici servizi e di quel Welfare di cui proprio le nostre tasse dovrebbero garantirci almeno un funzionamento proporzionale a ciò che versiamo - commenta Marilena Bolli, presidente degli industriali biellesi -. Alla crescita della pressione fiscale il cui gettito viene spesso usato per remunerare l’improduttività di certi settori pubblici va posto un freno immediato. Che fine ha fatto la spending review che tante attese aveva creato? Dalla parte produttiva del Paese, da tempo, stanno arrivando voci allarmate che, tuttavia, si scontrano contro la demagogia delle scelte della politica, renitente a toccare enti o settori pubblici che costituiscono terreno di feudo elettorale. Questo livello di pressione fiscale, coniugata con il malfunzionamento della pubblica amministrazione, costituisce una palla al piede che impedisce il rilancio dell’impresa in Italia. E questo rilancio deve passare anche da una riduzione strutturale del costo del lavoro, da politiche che sappiano incentivare l’innovazione, magari con un credito d’imposta facile e generalizzato; da una revisione globale degli incentivi in tema di energia e da un coraggioso disboscamento della burocrazia, tanto in termini di procedure quanto in termini di enti inutili o di posti in esubero rispetto alle funzioni o alla reale necessità di un ente». Della necessità di una incisiva e celere azione politica per il rilancio dell’industria e l’abbattimento del carico burocratico e fiscale parla anche il presidente degli industriali novaresi, Fabio Ravanelli.
«Piuttosto che disquisire su qualche decimo di punto percentuale in più o in meno - dice Ravanelli -, ritengo sia il caso di sottolineare che in Italia le tasse non sono ancora calate in modo significativo. L’auspicio è che, con il consolidarsi di una fase di ripresa che sembra ormai alle porte, le maggiori entrate e le minori spese previste, quantomeno in termini di calo degli interessi sul debito pubblico, consentano al Governo di attivare una seria politica di riduzione del carico su famiglie e imprese. Ora che ci sono i presupposti serve una forte azione politica in questa direzione, importante anche per evitare di accrescere quegli squilibri, tutti italiani, che portano a un aumento dell’evasione fiscale direttamente proporzionale al vero e proprio “accanimento” da parte del Fisco, anche in termini di verifiche e procedure burocratiche, nei confronti di coloro, cittadini e imprese, che le tasse le hanno sempre pagate»
Giovanni Orso