Made in Italy senza Italy? Rischi e opportunità

Made in Italy senza Italy? Rischi e opportunità
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Milano
“Made in Italy senza Italy?” Questo l’interrogativo cui ha cercato di dare risposta, venerdì a Milano, il convegno organizzato da Intesa Sanpaolo e Studio Pambianco Strategie d’Impresa. I lavori sono stati aperti dal presidente della Camera Italiana della Moda, Mario Boselli, e da quello di Smi, Claudio Marenzi.

Analisi. Al centro del convegno, tradizionalmente uno dei momenti fondamentali di incontro e di scambio per il settore, il tema del passaggio di mano di aziende italiane a gruppi stranieri. Gregorio De Felice (chief economist di Intesa Sanpaolo), dopo aver tratteggiato un quadro macroeconomico in miglioramento con un ruolo trainante in primo luogo dei Paesi avanzati (Usa e Giappone) ha sottolineato come, in questo contesto, le imprese italiane del sistema moda potranno tornare a sperimentare una crescita del fatturato a partire dal prossimo anno. Cruciale, ha sottolineato De Felice, sarà però il rafforzamento delle competenze e delle capacità delle filiere produttive italiane del settore, grazie alle quali l’Italia gode di un saldo commerciale settoriale positivo e elevato (stimato sfiorare i 20 miliardi di euro quest’anno), a differenza di quanto registrano Francia e Spagna. A presentare i  dati emersi dalla ricerca di Studio Pambianco, è stato poi il vicepresidente David Pambianco. Per Pambianco, il fenomeno delle acquisizioni di aziende italiane da parte di gruppi esteri non è completamente negativo: le aziende acquisite, quando entrano in gruppi che hanno un forte network internazionale e risorse importanti da investire, possono infatti, essere più facilmente rilanciate e sviluppate, creando occupazione. Rimane il fatto (e questo, secondo David Pambianco, sarebbe l’aspetto negativo) che la gestione dei marchi acquisiti passa in mani straniere e non sempre gli interessi sono coincidenti.  «L’Italia però - ha detto David Pambianco -, è appetibile non solo per i suoi marchi ma anche per le sue capacità produttive e il suo know how qualitativo. Oggi il valore totale delle façon nei settori abbigliamento, calzature e pelletteria si stima in circa 2.200 milioni di euro: valore decisamente significativo se si tiene conto che, nella catena del valore, esso incide per il 15% del costo finale di un prodotto. L’Italia, insomma, sta diventando la “Cina” del lusso». Sempre secondo l’analisi di Pambianco, occorre tener conto che la produzione a façon lascia generalmente margini molto bassi alle aziende façoniste, «anche se può dare un contributo interessante allo sviluppo dei loro fatturati». Il futuro delle aziende italiane deve fondarsi su forti politiche di marca e su precisi progetti di sviluppo. «La sfida che i brand italiani devono affrontare è globale - ha concluso Davd Pambianco -. Richiede pertanto ingenti risorse ed una massa critica rilevante per poter risultare vincenti».
Giovanni Orso

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