Licia Mattioli (Uit): "Cura shock o restiamo nella palude"

Licia Mattioli (Uit): "Cura shock o restiamo nella palude"
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«Nel momento in cui la politica ci dice che dobbiamo fare la nostra parte e ci accusa di non saper cogliere i segnali di ripresa, noi rispondiamo che la nostra parte la facciamo ogni giorno in azienda, con i nostri lavoratori. E diciamo anche che, proprio perché amiamo questo Paese, abbiamo il dovere di dire la verità e di dire basta con le aziende che, stremate, si arrendono».
Licia Mattioli (presidente degli industriali torinesi), venerdì mattina era a Roma a guidare la delegazione della quale ha fatto parte anche la presidente Uib Marilena Bolli.

Licia Mattioloi, più di tutti, è stata l’anima dell’iniziativa che, partita da Torino giovedì, è poi proseguita con il flash mob  in piazza  Montecitorio. Un flash mob con 5.914  rose in piazza (una per ogni industria piemontese) dinanzi al Parlamento, proprio nel giorno di San Valentino così da simboleggiare l’amore delle aziende per l’Italia. Un amore che tuttavia, vista l’inerzia della politica, pare troppo spesso non corrisposto. L’iniziativa si è consumata paradossalmente  nel giorno delle dimissioni di Enrico Letta, mentre il giorno prima dall’assise di Torino era arrivata al Governo la richiesta di fare presto e di concentrarsi sulle riforme economiche per riavviare il Paese.

Presidente Mattioli, il Governo Letta non ha neppure visto un anno di vita. Sembra di essere tornati ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica. A Torino, il sistema industriale piemontese ha chiesto interventi celeri ed ora questa vicenda sembra invece dilatare ulteriormente i tempi della politica.
«A questo punto, purtroppo, cambia poco. Il problema della latitanza delle istituzioni governative rispetto ai temi forti di una politica economica capace di affrontare i problemi delle imprese è, infatti, qualcosa che si trascina da almeno un decennio. Voglio cioè dire che il problema è ormai troppo radicato e cronicizzato perché le sorti di un governo spostino davvero qualcosa».

Ma, pur radicato e cronico, il problema resta tale e va risolto.
«Certo. Ma per questo ci sarebbe bisogno di una cultura del fare, di persone pragmatiche che sapessero agire. Non entro nel merito degli equilibri politici: sono una imprenditrice. L’augurio che mi faccio e faccio al Paese è che ora prevalga finalmente  l’intelligenza per costruire urgentemente le cose più utili e non si resti prigionieri di certe dinamiche».

Troppo spesso, salvo lodevoli eccezioni come quelle rappresentate dall’azione messa in campo dal viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda,  l’approccio continua invece ad essere ideologico...
«E questo è il vero male. La politica deve sapere guardare con obiettività ai problemi e alle soluzioni opportune, soprattutto quando si parla di economia e di aziende. E’ inaccettabile che ad ogni cambio di maggioranza o di governo ci sia una sospensione dei tempi oppure un disfare quello che è già stato imbastito in precedenza. Negli Stati Uniti, dove pure lo spoils system è forte, il saper mettere con pragmatismo al centro l’interesse concreto del Paese è la regola. Basta pensare che, dopo il pur aspro confronto che in America avviene regolarmente durante le primarie tra membri dello stesso partito per la selezione del candidato alla Casa Bianca, subito dopo, quelli che fino ad un attimo prima apparivano avversari tra di loro sanno diventare invece i più stretti e leali collaboratori del vincitore: è il gioco di squadra nell’interesse superiore della nazione. Qui, invece, si finisce per ripartire ogni volta da capo, rimettendo tutto in discussione: così la meta non si raggiunge mai».

Che peso potrà avere l’iniziativa di Torino sul nuovo esecutivo?
«Difficile dirlo. Spero un peso decisivo, Comunque, la risposta così forte venuta dagli imprenditori e il debutto di un sito (www. ripresaeimpresa.it ndr) dove essi mettono direttamente la faccia, credo che segnino un punto di svolta e di non ritorno. Non tolleriamo più inerzie. Come ho detto a Torino giovedì,  non siamo disfattisti ma realisti: i piccoli segnali non bastano più. Senza una cura shock, restiamo nella palude».
Giovanni Orso

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