La biellese Sign Box acquisisce Carla Carini
(13 gen. 2011) L’ultima acquisizione è quella che riguarda il marchio “Carla Carini”, la realtà industriale di Moglia, in provincia di Mantova, produttrice di tre prestigiosi brand dell’abbigliamento femminile ovvero “Carla Carini”, “Carinissima” e “Rimmel”. La “Carla Carini” era entrata un paio d’anni fa nell’orbita del Gruppo Marcovaldo di Bergamo che l’aveva acquistata dai fratelli Elleno e Carla Gasperini. Ora, Sign Box, la holding biellese messa in campo circa un anno fa da Luciano Donatelli con le famiglia Abate (gioiellieri esclusivisti di Patek Philippe), dalla famiglia Falco, da Adolfo Gallo, da Andrea e Alberto Piana e Franca Chiorino, ha rilevato i tre marchi, predisponendo un business plan in cui si prevede di tornare a raggiungere un fatturato di 13 milioni di euro entro i prossimi tre anni. L’ultima acquisizione è quella che riguarda il marchio “Carla Carini”, la realtà industriale di Moglia, in provincia di Mantova, produttrice di tre prestigiosi brand dell’abbigliamento femminile ovvero “Carla Carini”, “Carinissima” e “Rimmel”. La “Carla Carini” era entrata un paio d’anni fa nell’orbita del Gruppo Marcovaldo di Bergamo che l’aveva acquistata dai fratelli Elleno e Carla Gasperini. Ora, Sign Box, la holding biellese messa in campo circa un anno fa da Luciano Donatelli con le famiglia Abate (gioiellieri esclusivisti di Patek Philippe), dalla famiglia Falco, da Adolfo Gallo, da Andrea e Alberto Piana e Franca Chiorino, ha rilevato i tre marchi, predisponendo un business plan in cui si prevede di tornare a raggiungere un fatturato di 13 milioni di euro entro i prossimi tre anni. Ciliegina sulla torta di questa nuova operazione dal valore di circa tre milioni di euro messa a segno, con successo, dall’agguerrita holding donatelliana è poi il fatto che testimonial e fashion coordinator di Carla Carini sarà nientemeno che Melba Ruffo.
«Carla Carini - spiega Luciano Donatelli, imprenditore e presidente dell’Uib - è un marchio sinonimo di classe ed eleganza nel segmento premium. L’acquisizione va nella direzione di difendere il miglior made in Italy, non disperdendo i suoi talenti e le sue competenze. La logica che sostiene le operazioni messe in campo da Sign Box è comunque quella di favorire la rimessa in gioco di piccole-medie aziende nella fascia premium della moda e con ampi margini di potenzialità di crescita».
Strategie. Donatelli, da esperto conoscitore delle evoluzioni del mercato, ripropone qui la sua convinzione che sia proprio il segmento “premium” a costituire il motore che consentirà il riavvio in grande stile del tessile-abbigliamento italiano. Così, Sign Box, nella sua dimensione vero esempio di incubatrice anticrisi, è riuscita a mettere già a segno una serie di operazioni portandosi in casa marchi di tutto prestigio: da Annalisa Collezioni a Cains Moore, da Cox Moore a Della Rovere, da Rebecca Brown a Peter Brown, tanto per fare alcuni nomi. Ma Sign Box (nella quale i soci hanno investito per lo start up circa 15 milioni) ha spinto anche, con ulteriori investimenti, sull’acceleratore della ricerca, creando prodotti nuovi come quelli rappresentati dal kashuña per Cains Moore (una fibra che nasce dall’incontro della vicuña e del cashmere) o il rivoluzionario Seacot (mischia di cotone e chitina di granchio marino) per Peter Brown, marchio che, con la collezione Yacht, è fornitore esclusivo dello Yacht Club di Monaco: «A maggio, nella regata Saint Tropez-Montecarlo - dice Luciano Donatelli - gli equipaggi indosseranno capi in questa fibra anallergica che ha addirittura proprietà emostatiche». Le iniziative di Sign Box non si fermano però qui. Con un ulteriore investimento, la “scatola” delle firme per rilanciare il made in Biella sta mettendo a punto l’apertura di una rete retail di una quarantina di negozi (oltre agli attuali 8 esistenti) sotto l’insegna “DON” in località di prestigio, da Cortina al Forte dei Marmi, da Courmayeur a Porto Cervo. Che dire? Mille Sign Box e l’Italia del sistema tessile-moda sarebbe salva.
13 gennaio 2011