Il Piano anti-stress

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(17 gen. 2011) Da gennaio 2011, anche le piccole-medie imprese biellesi devono preoccuparsi della salute psicologica dei loro dipendenti, tenendo sotto controllo rischi e disagi. Una cosa buona in sè e prevista da una apposita direttiva Ue che ha fissato la disciplina di principio lasciando poi ai singoli stati membri quella di dettaglio. Ma la normativa italiana (decreto legislativo 106 del 2009), ancora una volta, ha finito per tradursi, a detta degli operatori del settore, in una serie di nuovi e cavillosi adempimenti burocratici, soprattutto per le piccole-medie imprese chiamate alla predisposizione di un apposito “piano anti-stress”. Un ulteriore gravoso impegno in una congiuntura in cui, sui primi deboli segnali di recupero del sistema, continuano a gravare i due nodi irrisolti della promessa abolizione dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive) e della riforma del cuneo fiscale (la variazione tra il costo del lavoro ed il reddito percepito dal lavoratore).

Da gennaio 2011, anche le piccole-medie imprese biellesi devono preoccuparsi della salute psicologica dei loro dipendenti, tenendo sotto controllo rischi e disagi. Una cosa buona in sè e prevista da una apposita direttiva Ue che ha fissato la disciplina di principio lasciando poi ai singoli stati membri quella di dettaglio. Ma la normativa italiana (decreto legislativo 106 del 2009), ancora una volta, ha finito per tradursi, a detta degli operatori del settore, in una serie di nuovi e cavillosi adempimenti burocratici, soprattutto per le piccole-medie imprese chiamate alla predisposizione di un apposito “piano anti-stress”. Un ulteriore gravoso impegno in una congiuntura in cui, sui primi deboli segnali di recupero del sistema, continuano a gravare i due nodi irrisolti della promessa abolizione dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive) e della riforma del cuneo fiscale (la variazione tra il costo del lavoro ed il reddito percepito dal lavoratore).

Legge italiana . Sulla partita, sta compiendo un’analisi l’eurodeputato biellese Gianluca Susta. La ricerca di Susta è volta a confrontare le normative di dettaglio degli stati membri per mettere in luce i diversi costi che le relative imprese devono sostenere nella sua attuazione.
«Non ho ancora i risultati, ovviamente - dice Susta -, ma due precisazioni sono necessarie. La prima è che ancora una volta è stata addossata all’Ue una colpa che non ha: la normativa di principio è chiara e la direttiva è in se stessa giusta, tanto più che ad essa si è giunti con il preventivo accordo delle rappresentanze sindacali e imprenditoriali a livello europeo. La seconda precisazione è invece che la normativa italiana ha tradotto con un eccesso di burocrazia la direttiva, partendo, ancora una volta, da un principio opposto a quello da cui partono per esempio gli anglosassoni: da noi, a prevalere è la sfiducia e la concezione dell’imprenditore come proclive a “delinquere”. Negli altri paesi, prevale piuttosto l’autocertificazione e lo snellimento degli adempimenti, badando di più alla sostanza».

Costo del lavoro.La madre di tutte le riforme? Susta non ha dubbi e enuncia una tesi carissima a Confindustria. «La riduzione del debito pubblico (da noi a ben 118% sul Pil!) è basilare - dice - . Questi numeri si scaricano con tutto il loro peso su imprese e lavoratori e significano più tasse è più alte contribuzioni. Pesi tanto più insostenibili per chi è medio-piccolo».
«In effetti - commenta Alberto Platini, vicepresidente Uib con delega per il Lavoro - la situazione attuale è quella assurda di costi di produzione sempre più alti e di adempimenti burocratici sempre più macchinosi. Ma almeno il nodo Irap va sciolto al più presto perché l’imposta, colpendo in particolare le aziende manifatturiere ad alta intensità di manodopera, finisce per diventare un deterrente per le nuove possibili assunzioni, rivelandosi una tagliola tanto per gli imprenditori quanto per i lavoratori».
Giovanni Orso

17 gennaio 2011

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