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Il made in Biella che fa gola al mondo

Nella maggioranza dei casi, gli acquirenti hanno investito e lasciato la produzione sul territorio

Il made in Biella che fa gola al mondo
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Il made in Biella che fa gola al mondo

Era il 1997 quando Piero Ottone dava alle stampe, per Longanesi, un proprio libro intitolandolo, provocatoriamente “Saremo colonia?’”. L’interrogativo di Ottone appare oggi retorico, perché formulato prima dell’avvento della globalizzazione. In un mercato ormai globalizzato, infatti, non conta il luogo dove sono allocati gli azionisti di maggioranza ma, piuttosto, se le produzioni sono mantenute nel luogo d’origine e sostenute da investimenti espansivi. Di certo, negli ultimi vent’anni, il made in Italy si è progressivamente portato, in misura non trascurabile, in mani straniere.

Il Biellese, con alcuni marchi storici del made in Biella, non ha fatto eccezione e l’operazione conclusa da Tollegno 1900 con Indorama non è che l’ultimo fatto, in ordine di tempo, di un processo che, in circa vent’anni, ha visto americani, coreani, francesi e tedeschi fare shopping sul territorio biellese. A differenza, però, di quanto talvolta accaduto altrove, nell’interesse straniero per il made in Biella tessile è da leggere l’appeal che l’industria locale, al netto della riduzione numerica del settore, conserva e, soprattutto, il valore di brand che il distretto tessile biellese, complessivamente, ancora rappresenta non solo per la sua storia e la sua reattività, ma anche per essere stato l’unico distretto tessile a essere riuscito a mantenere ancora integra la propria filiera.

Di più: nella quasi totalità dei casi, il capitale straniero investito su realtà e brand biellesi non si è, fino a qui, rivelato un’operazione di rapina della serie “prendi il brand e scappa”, ma le acquisizioni straniere operate nel distretto, se si eccettua il caso di Fila, hanno rilevantemente mantenuto sul territorio asset e produzioni. E questo grazie a un altro endemismo su cui si va a innestare la fenomenologia di fondo: il know how tessile biellese, nella maggioranza dei casi, non è decontestualizzabile perché non è un know how solo tecnologico, ma è strettamente legato alla mentalità, al concetto di lavoro dei biellesi, all’elevatissimo coefficiente di artigianalità che esso incorpora e che è trasmesso, in certe produzioni, ancora in fabbrica, da operaio a operaio.

I casi

Dapprima fu il marchio “Fila”, la realtà biellese fondata a Coggiola nel 1911. E’ stata l’azienda che ha inventato il marketing sportivo e che, nel 1988, vide la Gemina di Cesare Romiti acquisire il pacchetto di maggioranza con il 53,2% del capitale. Nel giugno del 2003 Rcs MediaGroup cedette alla Sport Brands International, con sede a Bermuda e controllata dal fondo privato di investimenti statunitense Cerberus, il proprio pacchetto di azioni. In questo caso, la sede storica di Biella venne trasferita a Milano. Quattro anni dopo, Sport Brands International cedette tutte le attività del gruppo Fila a livello mondiale (il valore della transazione è stato superiore ai 350 milioni di dollari) all’imprenditore di Seul Gene Yoon, amministratore delegato di Fila Korea, la filiale sudcoreana da lui acquistata già nel 2005 per 127 milioni di dollari.

Nel 2013, a passare, invece, in mani francesi, fu nientemeno che il brand del lusso Loro Piana, la prima azienda artigianale al mondo nella lavorazione del cashmere e delle lane più rare, con una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti con il suo marchio. In quella prima estate del 2013, l’80% di Loro Piana, che aveva chiuso il 2012 con un fatturato a 700 milioni di euro, passò al Gruppo Lvmh della famiglia Arnault per 2 miliardi.

Due anni dopo, nel 2015, furono invece i tedeschi di Südwolle Group a fare shopping nel Biellese. Il leader tedesco mondiale nella produzione di filati pettinati per tessitura, maglieria circolare e rettilinea in pura lana e misto lana, siglò un accordo per acquisire il 100% della biellese Safil Spa e l’80% di Gti Spa, entrambi produttori di filati italiani controllati dai fratelli Savio. Safil aveva chiuso il 2014 con un fatturato di 90 milioni di euro e Gti con ricavi per 10 milioni.

Tre anni dopo, nel luglio 2018, fu la volta di un altro pezzo storico del made in Biella: il Lanificio F.lli Cerruti. L’azienda biellese, dal 1881 amministrata dalla famiglia fondatrice, cedettel’80% delle proprie quote a Njord Partners, fondo norvegese specializzato in operazioni finanziarie in Francia, Olanda, Svizzera, Inghilterra e Australia.

Un anno dopo, nel novembre 2019, il gruppo thailandese Indorama Ventures Public Company Limited rilevò al 100% Sinterama, storica società biellese leader mondiale nella produzione di fili e filati in poliestere e interni in poliestere per automobili.

Nel 2020, nel Biellese, tornarono, invece, a fare shopping i cugini d’Oltralpe: questa volta, a aggiudicarsi un pezzo importante della filatura made in Biella di alto artigianato, la Vimar 1991, fu nientemeno che il brand francese Chanel. Dalla storia, si passa poi alla cronaca dell’oggi, con la cessione della divisione Filati di Tollegno 1900 ai thailandesi di Indorama.
Insomma, per rispondere alla domanda di Piero Ottone che dava il titolo al suo libro, le acquisizioni straniere quando portano capitali freschi sul territorio e vi mantengono i siti produttivi, più che creare il rischio di colonizzazione rappresentano un’opportunità per un settore vitale del made in Italy per il quale è spesso difficile paradossalmente trovare capitale italiano che sappia, invece, scommettere.

Giovanni Orso

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