Il dopo Donatelli si tinge di rosa

Pubblicato:
Aggiornato:

(5 mag. 2011) La Giunta dell’Uib ha approvato all’unanimità la candidatura, presentata dalla Commissione di designazione, per la prossima presidenza dell’associazione di via Torino. Si tratta dell’imprenditrice Marilena Bolli, destinata a succedere a Luciano Donatelli quale primo presidente donna alla guida degli industriali biellesi. La Giunta dell’Uib ha approvato all’unanimità la candidatura, presentata dalla Commissione di designazione, per la prossima presidenza dell’associazione di via Torino. Si tratta dell’imprenditrice Marilena Bolli, destinata a succedere a Luciano Donatelli quale primo presidente donna alla guida degli industriali biellesi.

Dopo il voto dell’Assemblea Uib del prossimo 20 giugno, quando presenterà il suo programma e la sua squadra, lei è destinata ad assumere la presidenza dell’Uib in un momento di grandi cambiamenti socio-economici. Il distretto biellese, in pochi anni, ha subito la perdita di molti posti di lavoro e il ridimensionamento di varie aziende anche storiche. Si sta smantellando un sistema o siamo invece nella fase, ancora magmatica e confusa, di qualcosa di nuovo che sta nascendo?
«Qualche anno fa, c’era chi scommetteva addirittura sulla fine dei distretti industriali. A dargli torto si è incaricata non dico la storia ma la cronaca. Ed è una cronaca che ci restituisce sì numeri e dati anche negativi ma che ci dice soprattutto che, acciaccati e un po’ malconci, i distretti italiani sono tuttavia ancora lì, pienamente vitali. Ne traggo pertanto un motivo di ottimismo non banalmente sentimentale ma pienamente razionale. Il Biellese, polarizzato su una monocultura industriale tessile, non ha beneficiato delle compensazioni che apporta generalmente una realtà economica più diversificata. Contiamo però su una riconosciuta capacità di know how a livello mondiale. Allora la domanda dovrebbe essere: perché, in un decennio, siamo diventati così poco attrattivi rispetto alle forze economiche nuove e ai giovani? Ripartiamo da qui, tenendo fermo il valore della concretezza».

Ripartiamo da qui, allora, visto che uno dei temi forti delle Assise di Confidustria di sabato 7 maggio a Bergamo è compendiato nel claim “Sbloccare la crescita”. Se la maggior sofferenza del nostro distretto è legata alla sua monocultura, quali sono le traiettorie per centrare una diversificazione con numeri significativi, in grado cioè di sviluppare volumi importanti?
«L’errore è pensare ad una soluzione univoca. Il nostro distretto, semmai, deve puntare su di un mix di interventi dalla cui somma possano svilupparsi certi risultati. Certo, i settori sono quelli di cui spesso si parla e vanno dall’alimentare al beverage passando per le energie alternative e il turismo nonchè quello delle vendite per corrispondenza. Ma porrei tra questi settori anche lo stesso tessile che deve diversificarsi sia nel senso di completare il più possibile il percorso a valle della filiera, superando la mera produzione di semilavorati, pur di grande pregio, ed agganciare il fashion spingendo sulla costituzione di brand, sia sviluppando ancora di più il tessile tecnico facendo tesoro di esperienze come quella di “Tessile e Salute”. Però, ogni discorso di questo tipo è retorico se prima non si risolve la variabile fondamentale per il nostro territorio cioè quella delle infrastrutture. Essere attrattivi nei confronti di nuove aziende e forze economiche nonché propulsivi di un’economia che cambia, è qualcosa di razionalmente possibile solo in un contesto di minor isolamento rispetto alle vere direttrici che logisticamente contano nel quadrante produttivo».

In questo percorso quale deve essere il ruolo del sistema bancario?
«Quello di supporto al mondo industriale. Per vero, i due istituti territoriali hanno giocato sino ad oggi con fair play. Ma questo deve essere mantenuto soprattutto ora, nel delicatissimo passaggio a Basilea 3. Nulla potrebbe giustificare il fatto che queste nuove regole possano riverberarsi a danno delle Pmi che nel 2011, finalmente in un contesto di ripartenza seppur lieve, necessitano di linfa fresca per crescere. Credo inoltre che, in quest’ottica, non sia neppure giusto valutare la solidità di un’azienda esclusivamente guardando ai dati di bilancio. Occorre piuttosto apprezzarne la vitalità cioè la capacità di rapportarsi al futuro con idee vincenti e progetti innovativi. Banche e Confidi devono inoltre essere chiamati a rischiare nel sostegno degli start up perché questo è il modo per far nascere e crescere aziende giovani e nuove sul territorio».

Emma Marcegaglia ha recentemente parlato della necessità di un cambiamento anche per Confindustria stessa, della necessità cioè di radicarsi di più sul territorio in modo quasi iperfederalista...
«Condivido pienamente questa analisi: il decentramento deve implicare la capacità del ceto imprenditoriale di interpretare al meglio i bisogni del proprio territorio».

Si tratta di un ruolo che ha delle connotazioni politiche in senso nobile, non crede?
«Vede, la crisi ha bloccato troppo a lungo gli imprenditori dentro le loro imprese nel tentativo di risolvere i loro singoli problemi. E’ umanamente comprensibile ed anche giustificato. Ma, forse, siamo stati troppo occupati solo a resistere. Adesso dobbiamo tornare a sederci a certi tavoli, confrontarci con la politica, far pesare quella cultura della libertà d’impresa di cui dobbiamo saper essere interpreti. Occorre recuperare la fierezza di essere dei manifatturieri, gente che lavora e che produce ogni giorno e che, proprio per questo, deve avere una voce importante sulle strategie future del proprio distretto».

Gli anni del suo mandato coincideranno anche con quelli in cui si consumerà, a livello nazionale, un nuovo modello di relazioni industriali. Secondo lei, con il tempo, si potrebbe arrivare al modello tedesco dell’opting out vale a dire della possibile scelta tra accordi nazionali o aziendali?
«Il livello territoriale della contrattazione giocherà un ruolo sempre più importante. Non credo, tuttavia, che per un sistema come quello italiano si potrà mai arrivare a evitare il livello nazionale. La Germania è un Paese di grandi imprese mentre l’Italia è un Paese di imprese piccole e medie. In queste è difficile trovare parametri o algoritmi per misurare davvero in modo omogeneo quegli aumenti di produttività cui il contratto aziendale deve comunque essere legato. Comunque, nel Biellese, le relazioni sindacali sono da sempre, storicamente, improntate a trasparenza e stima reciproca. Il che significa che il distretto parte con un vantaggio competitivo».

Nella costruzione del distretto industriale del futuro quanto pesa il carattere ancora troppo familiare del suo capitalismo?
«Sicuramente pesa ma non è un problema solo biellese quanto italiano. Tuttavia, il passaggio ad uno stadio in cui ci sia la separazione tra proprietà e management postula una crescita dimensionale delle imprese e quindi implica un percorso lungo. Il contesto locale è poi caratterizzato da micro-imprese. In questo senso, allora, potrebbe piuttosto rivelarsi prezioso lo strumento delle Reti di impresa o dei Poli di Innovazione in cui le aziende imparano a mettersi insieme, a fare massa critica su certi progetti. E’ un salutare allenamento alla crescita».

Il Biellese sconta anche un deficit culturale legato al suo basso tasso di scolarizzazione. Oggi si ritrova anche alle prese con la carenza di figure professionali da inserire nelle stesse aziende tessili. In quest’ottica, quale prospettiva per la formazione ed il ruolo di Città Studi?
«Ritengo che dobbiamo imparare ad essere meno chiusi, a guardare il mondo. Quello della formazione è poi un capitolo su cui deve giocarsi al meglio quel ruolo “politico” in senso alto del ceto imprenditoriale. Detto questo, credo che l’Istituto Tecnico Superiore che partirà già nel prossimo anno scolastico potrebbe essere uno strumento fondamentale cui le imprese sono chiamate a collaborare. In quanto a Città Studi, preferisco considerare solo sospesa e non finita l’esperienza di ingegneria tessile».

All’Uib è riconducibile la proprietà della società editrice di “Eco di Biella”. Qual è il ruolo dell’informazione locale nel rilancio del territorio?
«Si tratta di un ruolo fondamentale. Nel contesto odierno non ci si può ripiegare su se stessi: un territorio è il frammento di qualcosa di più vasto in cui tutti noi, soprattutto nell’era dell’informatica, siamo immersi. Apprezzo pertanto lo sforzo di Eco di Biella di cercare di guardare oltre. Il confronto è sempre arricchimento».

Biella 5 maggio 2011

Seguici sui nostri canali