Giovani: tra il 2008 ed il 2012, nel Biellese, disoccupazione raddoppiata

Giovani: tra il 2008 ed il 2012, nel Biellese, disoccupazione raddoppiata
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Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al territorio nazionale, il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato, in gennaio, il 41,2%. In un complessivo contesto in cui il tasso di disoccupazione, nello stesso mese, è stato del 12,6% e riesce a fare esprimere soddisfazione al ministro Poletti perché, pur nelle difficoltà, appaiono finalmente segni di miglioramento («Nel 2015 - ha dichiarato - sono possibili 150 mila occupati in più»), il dato invece preoccupa.

Media. Nel 2014, la disoccupazione giovanile è cresciuta del 2,6%. A gennaio 2015, le forze lavoro tra i 15 e i 24 anni hanno segnalato un lieve aumento e la disoccupazione giovanile è arretrata dello 0,1%. Il problema tuttavia c’è, e al di là delle iniziative che le istituzioni possono mettere in campo come quella rappresentata dagli “Stage di Qualità” (vedi articolo in basso), soprattutto per un territorio come quello Biellese caratterizzato da una monocoltura industriale esso si fa sentire in modo pesante.

Strategia. «Parto da alcuni dati che sono gli ultimi disponibili - esordisce la segretaria di Cgil Biella, Marvi Massazza Gal -.  A livello piemontese, gli iscritti in mobilità nel 2014, nella fascia compresa tra i 19 e i 34 anni, sono stati complessivamente 1.287. Guardando al Biellese, nel primo semestre 2013, gli iscritti al Centro per l’Impiego nell’età compresa tra il 15 e i 25 anni, sono stati 2.855; quelli tra i 26 ed i 39 anni, 6.038. Guardando poi al periodo 2004-2012, la disoccupazione biellese dei 15-29enni è cresciuta sino all’11,9% nell 2007, per poi scendere al 10,5% nel 2008. Nel successivo quadriennio, essa è poi esplosa, raddoppiando ed arrivando, a fine 2012, al tasso del 20,42%.E’ probabile che nell’ultimo periodo essa abbia risentito delle oscillazioni conformi a quanto verificatosi a livello nazionale, ma si tratta comunque di variazioni minime che non spostano i termini del problema. Qui c’è un territorio ad alto coefficiente di vecchiaia, a scarsissima diversificazione produttiva e dove si impone, sempre di più una regia capace di dare ai giovani visioni in linea con il futuro territoriale. Ecco allora la domanda: esiste una visione di territorio biellese di medio periodo? Per governare e ridurre la disoccupazione giovanile occorre partire da qui. Solo sulla base di una visione chiara, possiamo usare lo strumento prezioso della scuola per orientare i percorsi scolastici verso certe figure che devono essere sempre più professionalizzate. La formazione basica ormai condanna al precariato, ma per investire su un modello scolastico dispensatore di high skills occorre avere molto chiari quali e quanti saranno i fabbisogni professionali del prossimo futuro sul territorio».

Formazione. L’analisi di Marvi Massazza Gal è, in gran parte, fatta propria da Alberto Platini, vicepresidente Uib per l’Area Relazioni Industriali. «La scommessa è sulla formazione e questa deve sottendere un progetto di fondo - dice Platini -. Non c’è dubbio che il sistema scolastico vada riformato in senso più rispondente alle esigenze del mercato lavorativo. Ma proprio esperienze come quella degli “Stages di Qualità” dimostrano come i ragazzi che hanno investito su certe formazioni abbiano avuto migliori chances di trovare lavoro. Detto questo, sono tuttavia anche convinto che, pur in un’ottica globalizzata, guardando ai singoli territori, occorra fare anche un’operazione virtuosa di recupero dell’artigianalità e manualità del lavoro. In un contesto contemporaneo, accanto all’ingegnere informatico o all’astrofisico, non possiamo permetterci di perdere know how preziosi per la nostra società e per la manifattura: si tratta di figure che un tempo trovavano nella bottega artigiana il loro humus formativo. Oggi, la iper regolamentazione dei percorsi, da un lato, e una cultura che ha sottilmente portato al disvalore sociale di certe attività manuali, dall’altro, hanno determinato un rischio per la tenuta del sistema: altre competenze tecnologiche da una parte ma anche know how tradizionali dall’altro debbono rappresentare le due ali con cui tornare a spiccare il volo».
Giovanni Orso