Garfintex supera la "sfida" dei 20 anni
PRAY - Volti, mani, odore di lana, battere di macchine. E poi vapore, tanto. Forse perché il vapore - al di là delle esigenze produttive di un’azienda tessile - è fatto anch’esso della stessa materia dei sogni e questa piccola fabbrica, la Garfintex di Pray che oggi compie vent’anni, rappresenta la realizzazione di un sogno. Vent’anni sono appena un battito di ciglia per la storia, certo; questi ultimi vent’anni, però, hanno cambiato l’immagine del tessile e del contesto economico locale, rendendo più arduo stare sul mercato e spingendo sull’acceleratore di una sfida globale che, soprattutto dal 2001, non ha risparmiato aziende e posti di lavoro. Eppure, è stato proprio a ridosso di quella prima onda di crisi che l’allora barchetta della Garfintex ha cominciato a navigare su quel mare presto diventato tempestoso e talvolta latore di presagi di naufragio. Oggi, vent’anni dopo, quella barchetta, sventando scogli e libecciate, è invece già diventata una bella corvetta d’assalto e guarda al giorno in cui potrà diventare una fregata o addirittura un vascello. Così, quando nello stabilimento Garfintex di Pray, da tutto quel vapore, in una mattina di marzo, esce lui, il signor Giuseppe Tarricone, titolare di questa garzatura e finissaggio conto terzi, l’impressione è proprio quella di avere di fronte un capitano coraggioso che ha voluto, nonostante tutto e tutti, prendere il largo su rotte sconsigliate, ascoltando più il suo cuore che non le proiezioni di mercato: un capitano cui quel mare ha, invece, oggi dato ragione.
Sorride, Giuseppe Tarricone, prova vivente, con la sua Garfintex, di quanto esista ancora un tessile vivo e reattivo non solo nel terreno dei grandi marchi, ma anche in quello del terziario di qualità. «Io nasco come operaio tessile al Lanificio Colombo dove ho lavorato per anni, sino ad occupare il ruolo di capo finissaggio - dice presentandosi, la parola vibrante della stessa semplicità dignitosa di certi imprenditori d’antan, orgogliosi delle loro origini -. Il mio, insomma, è stato un apprendistato tecnico sul campo. Avevo però un sogno: quello di un’azienda tutta mia». È il 1996, Giuseppe Tarricone ha 35 anni e decide di gettare finalmente il cuore oltre l’ostacolo quando viene a sapere che a Ponzone giace, fermo, un impianto di 340 metri quadrati. Le sue idee sono già chiarissime. «Volevo creare un’azienda specializzata nella lavorazione di fibre nobili come la lana, la vicuña, l’alpaca, il baby camel, l’angora, il cashmere e il guanaco. Il mio progetto era quello di applicare la lavorazione di tessuti a pelo, trasformando la stoffa greggia in tessuto finito: un processo lungo e complesso, che abbina la moderna tecnologia ad antichi metodi della tradizione, come, ad esempio, l’utilizzo del cardo vegetale». Detto e fatto: Giuseppe Tarricone contatta i proprietari dell’impianto e mette in piedi una società con loro. «Io mettevo il mio know how e loro i macchinari - spiega Tarricone -. Qualche tempo dopo, decido di rilevare i macchinari e di proseguire l’avventura da solo, trasferendomi qui a Pray».
Poi, iniziano gli anni difficili, con il tessile che comincia ad arrancare; sono gli anni dell’acqua e del vapore, con il signor Giuseppe che passa i suoi sabati e le sue domeniche correndo dietro alle pezze e alle macchine, spesso da solo in fabbrica. Sono gli anni dei cardi: migliaia e migliaia di cardi, fatti arrivare dalla Spagna per essere montati sulle “lame” ed essere impiegati in una speciale lavorazione artigianale per rendere più pregiati i tessuti. Gli danno del visionario, forse anche del folle. Lui niente, non demorde. Ha un sogno, Tarricone, e tra tutto quel vapore che ad altri toglierebbe la vista, lui, invece, ci vede bene; anzi, ci vede benissimo.
E il tempo comincia a dargli ragione: la fatica è tanta, ma il fatturato cresce e cominciano a crescere anche i dipendenti. «A darci il vantaggio competitivo - spiega Giuseppe Tarricone - è stato proprio l’aver scelto di concentrare la nostra specificità su questo particolare tipo di processi produttivi. Già allora, infatti, non eravamo assolutamente in molti ad operare in questo segmento. L’altro elemento è stato poi la totale qualità e la consulenza al cliente. Il fatto di aver fatto l’operaio e aver fatto la gavetta mi ha sempre dato la possibilità di essere soprattutto un tecnico per le esigenze della clientela». E i clienti, infatti, aumentano. Sono nomi importanti del tessile non solo biellese ma addirittura italiano che cominciano a mandare su fino a Pray i loro tessuti più pregiati per realizzare lavorazioni artigianali difficili da trovare altrove. La Garfintex inizia così a diventare un punto di riferimento del settore. «Guardi questo tessuto, lo tocchi - dice Tarricone -. Avverte la differenza?». Lo chiede con un orgoglio tutto speciale, con la stessa fierezza di chi sa di mettere tutto se stesso dentro alle cose che fa. E se una definizione potesse essere tentata di questo ex operaio tessile diventato imprenditore è proprio quella dell’uomo capace di infondere l’anima ai tessuti.
È lo stesso orgoglio, temperato però da una semplicità disarmante, che Tarricone mette nel descrivere la sua Garfintex di oggi. «Negli anni siamo cresciuti costantemente sia in termini di fatturato, giungendo a circa 3 milioni di euro, sia in termini di dipendenti, fino a circa una ventina - dice -. Non basta: adesso non solo abbiamo clienti anche all’estero, in Scozia e in Spagna, e svolgiamo una consulenza tecnica per un primario gruppo tessile peruviano, ma abbiamo anche avviato con un’eccellenza produttiva locale come il Lanificio Botto Giuseppe una collaborazione che permette a noi di ampliare il nostro range di offerta e alla storica azienda tessile biellese di ottimizzare la sua capacità produttiva. Per me, proprio questa collaborazione ha significato moltissimo in termini umani, perché ha rappresentato l’equivalente di una sorta di promozione, di riconoscimento ufficiale da parte di una delle aziende più antiche e blasonate del tessile biellese».
È in questa prospettiva, pertanto, che Giuseppe Tarricone ha voluto festeggiare il traguardo dei 20 anni della sua Garfintex in modo speciale. Lo ha fatto con un evento organizzato da “Yes in Italy”, la società biellese delle vulcaniche Manuela Micheletti e Roberta Fangazio che, per l’occasione, hanno pure curato il restyling del logo di Garfintex e realizzato una speciale brochure di una cinquantina di pagine con scatti superbi del bravissimo Oliviero Olivieri. Scatti che catturano con rarissima maestria l’essenza della Garfintex, con i suoi operai, le sue macchine, il suo vapore, la sua acqua: scatti prefati da alcune righe preziose firmate nientemeno che dal gran munsù (non ce ne vorrà per l’uso del dialetto biellese), il gran signore del tessile internazionale: Nino Cerruti. Non solo: a completare il tutto, anche un video in cui le immagini di Olivieri scorrono con il sottofondo delle raffinatissime note jazz di Paolo Fresu e Ludovico Einaudi, note che sembrano fare addirittura parlare quei dipendenti che sorridono, catturati dall’obiettivo di Olivieri magari con indosso una maglietta del Che Guevara o mentre, con mani sapienti, accarezzano le stoffe, tradendo in quel gesto quasi una voluttà e una passione che incantano. «Lo sa? I miei collaboratori sono praticamente gli stessi di quando ho cominciato - dice Giuseppe Tarricone -. Per me, questa è una cosa importante. Non ci crederà, ma la mia più grande soddisfazione, da ex operaio, è quando, a fine mese, pago gli stipendi. Perché vede, esistono certo i macchinari sofisticati, esistono le lavorazioni artigianali, esistono i cardi che sono un po’ il nostro emblema, ma senza le persone nessuna azienda può davvero crescere. Se oggi Garfintex taglia questo traguardo, è soprattutto grazie a loro». Adriano Olivetti diceva che un sogno resta semplicemente un sogno fino a quando non si comincia davvero a crederci; solo allora, esso può diventare qualcosa di grande. Per capirlo, basta venire su a Pray, entrare alla Garfintex e incontrare Giuseppe Tarricone e la sua formidabile squadra.
Giovanni Orso
PRAY - Volti, mani, odore di lana, battere di macchine. E poi vapore, tanto. Forse perché il vapore - al di là delle esigenze produttive di un’azienda tessile - è fatto anch’esso della stessa materia dei sogni e questa piccola fabbrica, la Garfintex di Pray che oggi compie vent’anni, rappresenta la realizzazione di un sogno. Vent’anni sono appena un battito di ciglia per la storia, certo; questi ultimi vent’anni, però, hanno cambiato l’immagine del tessile e del contesto economico locale, rendendo più arduo stare sul mercato e spingendo sull’acceleratore di una sfida globale che, soprattutto dal 2001, non ha risparmiato aziende e posti di lavoro. Eppure, è stato proprio a ridosso di quella prima onda di crisi che l’allora barchetta della Garfintex ha cominciato a navigare su quel mare presto diventato tempestoso e talvolta latore di presagi di naufragio. Oggi, vent’anni dopo, quella barchetta, sventando scogli e libecciate, è invece già diventata una bella corvetta d’assalto e guarda al giorno in cui potrà diventare una fregata o addirittura un vascello. Così, quando nello stabilimento Garfintex di Pray, da tutto quel vapore, in una mattina di marzo, esce lui, il signor Giuseppe Tarricone, titolare di questa garzatura e finissaggio conto terzi, l’impressione è proprio quella di avere di fronte un capitano coraggioso che ha voluto, nonostante tutto e tutti, prendere il largo su rotte sconsigliate, ascoltando più il suo cuore che non le proiezioni di mercato: un capitano cui quel mare ha, invece, oggi dato ragione.
Sorride, Giuseppe Tarricone, prova vivente, con la sua Garfintex, di quanto esista ancora un tessile vivo e reattivo non solo nel terreno dei grandi marchi, ma anche in quello del terziario di qualità. «Io nasco come operaio tessile al Lanificio Colombo dove ho lavorato per anni, sino ad occupare il ruolo di capo finissaggio - dice presentandosi, la parola vibrante della stessa semplicità dignitosa di certi imprenditori d’antan, orgogliosi delle loro origini -. Il mio, insomma, è stato un apprendistato tecnico sul campo. Avevo però un sogno: quello di un’azienda tutta mia». È il 1996, Giuseppe Tarricone ha 35 anni e decide di gettare finalmente il cuore oltre l’ostacolo quando viene a sapere che a Ponzone giace, fermo, un impianto di 340 metri quadrati. Le sue idee sono già chiarissime. «Volevo creare un’azienda specializzata nella lavorazione di fibre nobili come la lana, la vicuña, l’alpaca, il baby camel, l’angora, il cashmere e il guanaco. Il mio progetto era quello di applicare la lavorazione di tessuti a pelo, trasformando la stoffa greggia in tessuto finito: un processo lungo e complesso, che abbina la moderna tecnologia ad antichi metodi della tradizione, come, ad esempio, l’utilizzo del cardo vegetale». Detto e fatto: Giuseppe Tarricone contatta i proprietari dell’impianto e mette in piedi una società con loro. «Io mettevo il mio know how e loro i macchinari - spiega Tarricone -. Qualche tempo dopo, decido di rilevare i macchinari e di proseguire l’avventura da solo, trasferendomi qui a Pray».
Poi, iniziano gli anni difficili, con il tessile che comincia ad arrancare; sono gli anni dell’acqua e del vapore, con il signor Giuseppe che passa i suoi sabati e le sue domeniche correndo dietro alle pezze e alle macchine, spesso da solo in fabbrica. Sono gli anni dei cardi: migliaia e migliaia di cardi, fatti arrivare dalla Spagna per essere montati sulle “lame” ed essere impiegati in una speciale lavorazione artigianale per rendere più pregiati i tessuti. Gli danno del visionario, forse anche del folle. Lui niente, non demorde. Ha un sogno, Tarricone, e tra tutto quel vapore che ad altri toglierebbe la vista, lui, invece, ci vede bene; anzi, ci vede benissimo.
E il tempo comincia a dargli ragione: la fatica è tanta, ma il fatturato cresce e cominciano a crescere anche i dipendenti. «A darci il vantaggio competitivo - spiega Giuseppe Tarricone - è stato proprio l’aver scelto di concentrare la nostra specificità su questo particolare tipo di processi produttivi. Già allora, infatti, non eravamo assolutamente in molti ad operare in questo segmento. L’altro elemento è stato poi la totale qualità e la consulenza al cliente. Il fatto di aver fatto l’operaio e aver fatto la gavetta mi ha sempre dato la possibilità di essere soprattutto un tecnico per le esigenze della clientela». E i clienti, infatti, aumentano. Sono nomi importanti del tessile non solo biellese ma addirittura italiano che cominciano a mandare su fino a Pray i loro tessuti più pregiati per realizzare lavorazioni artigianali difficili da trovare altrove. La Garfintex inizia così a diventare un punto di riferimento del settore. «Guardi questo tessuto, lo tocchi - dice Tarricone -. Avverte la differenza?». Lo chiede con un orgoglio tutto speciale, con la stessa fierezza di chi sa di mettere tutto se stesso dentro alle cose che fa. E se una definizione potesse essere tentata di questo ex operaio tessile diventato imprenditore è proprio quella dell’uomo capace di infondere l’anima ai tessuti.
È lo stesso orgoglio, temperato però da una semplicità disarmante, che Tarricone mette nel descrivere la sua Garfintex di oggi. «Negli anni siamo cresciuti costantemente sia in termini di fatturato, giungendo a circa 3 milioni di euro, sia in termini di dipendenti, fino a circa una ventina - dice -. Non basta: adesso non solo abbiamo clienti anche all’estero, in Scozia e in Spagna, e svolgiamo una consulenza tecnica per un primario gruppo tessile peruviano, ma abbiamo anche avviato con un’eccellenza produttiva locale come il Lanificio Botto Giuseppe una collaborazione che permette a noi di ampliare il nostro range di offerta e alla storica azienda tessile biellese di ottimizzare la sua capacità produttiva. Per me, proprio questa collaborazione ha significato moltissimo in termini umani, perché ha rappresentato l’equivalente di una sorta di promozione, di riconoscimento ufficiale da parte di una delle aziende più antiche e blasonate del tessile biellese».
È in questa prospettiva, pertanto, che Giuseppe Tarricone ha voluto festeggiare il traguardo dei 20 anni della sua Garfintex in modo speciale. Lo ha fatto con un evento organizzato da “Yes in Italy”, la società biellese delle vulcaniche Manuela Micheletti e Roberta Fangazio che, per l’occasione, hanno pure curato il restyling del logo di Garfintex e realizzato una speciale brochure di una cinquantina di pagine con scatti superbi del bravissimo Oliviero Olivieri. Scatti che catturano con rarissima maestria l’essenza della Garfintex, con i suoi operai, le sue macchine, il suo vapore, la sua acqua: scatti prefati da alcune righe preziose firmate nientemeno che dal gran munsù (non ce ne vorrà per l’uso del dialetto biellese), il gran signore del tessile internazionale: Nino Cerruti. Non solo: a completare il tutto, anche un video in cui le immagini di Olivieri scorrono con il sottofondo delle raffinatissime note jazz di Paolo Fresu e Ludovico Einaudi, note che sembrano fare addirittura parlare quei dipendenti che sorridono, catturati dall’obiettivo di Olivieri magari con indosso una maglietta del Che Guevara o mentre, con mani sapienti, accarezzano le stoffe, tradendo in quel gesto quasi una voluttà e una passione che incantano. «Lo sa? I miei collaboratori sono praticamente gli stessi di quando ho cominciato - dice Giuseppe Tarricone -. Per me, questa è una cosa importante. Non ci crederà, ma la mia più grande soddisfazione, da ex operaio, è quando, a fine mese, pago gli stipendi. Perché vede, esistono certo i macchinari sofisticati, esistono le lavorazioni artigianali, esistono i cardi che sono un po’ il nostro emblema, ma senza le persone nessuna azienda può davvero crescere. Se oggi Garfintex taglia questo traguardo, è soprattutto grazie a loro». Adriano Olivetti diceva che un sogno resta semplicemente un sogno fino a quando non si comincia davvero a crederci; solo allora, esso può diventare qualcosa di grande. Per capirlo, basta venire su a Pray, entrare alla Garfintex e incontrare Giuseppe Tarricone e la sua formidabile squadra.
Giovanni Orso