Cura Monti: l'impresa è "kaputt"

Cura Monti:  l'impresa è "kaputt"
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Tredici mesi di rigore in nome di quella che avrebbe dovuto essere la salvezza dell’Italia. Oggi, alla conta, resta  però un bollettino di guerra. Nessun italiano, nel novembre scorso, chiedeva a Monti di compiere miracoli impossibili, ma il premier era stato comunque chiamato a Palazzo Chigi con lo scopo dichiaratissimo di non far almeno peggiorare la già difficile situazione allora esistente e, solo in funzione di tale scopo dichiarato, aveva saputo aggregare un consenso bipartisan costituito dalla  “strana” maggioranza che, per tredici mesi,  ha infatti sostenuto  l’esecutivo del professore.

Dati . Niente politica, ma solo economia. I dati elaborati e pubblicati da una fonte autorevole (e certamente non anti montiana) come il Sole 24 Ore (tabella a destra), sono tuttavia oggi un rosario di segni meno che impressionano, mentre gli italiani si ritrovano davanti alle trepide luci dell’albero di Natale più brutti, sporchi e cattivi (tanto per citare il celebre film di Ettore Scola): il famigerato decreto “Salva Italia”, con cui l’esecutivo dei tecnici inaugurò la propria azione, pare insomma essersi trasformato, almeno per ora, in una sorta di decreto “Ammazza Italia”.
 
Critiche. Alle critiche, il professor Monti ha obiettato che solo gli ignoranti che non capiscono nulla di economia potevano aspettarsi dati diversi. Il professore dice il vero: al punto che, infatti, personaggi che di economia capiscono moltissimo, come Paul Krugmann (consigliere economico di Barrack Obama), avevano sin da subito avvertito il premier italiano, con articoli sulla stampa internazionale, della strada sbagliata che egli stava imboccando cadendo nella trappola mortale del solo rigore. Last but not least, in ordine di tempo, il   “Financial Times”, giusto la settimana scorsa, ha liquidato il governo dei tecnici del Bel Paese con l’epiteto di “Bolla Monti”. Peraltro, il presidente del Consiglio ha opportunamente precisato come la politica del rigore di tipo filogermanico a lui imputata sia stata necessitata dall’esigenza di onorare impegni sottoscritti dal precedente Governo. Stando però ai dati di Nens (Nuova Economia e Società), istituzione vicina a Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, il rigore non avrebbe neppure centrato il sudato obiettivo del pareggio. Secondo Nens, infatti, l’avanzo primario per il 2012 potrebbe collocarsi tra il 2,4 e il 2,6 del Pil (contro il 2,9 previsto dal Governo) mentre l’indebitamento netto raggiungerebbe un valore compreso tra il 2,9 e il 3,1 del Pil (contro il 2,6 previsto dal Governo). Nella peggiore, ma assolutamente non improbabile, delle ipotesi, l’Italia non uscirebbe quindi dalla procedura comunitaria per disavanzo eccessivo, il che renderebbe sostanzialmente obbligatoria una manovra immediata per il Governo subentrante.

Imprese. Per le imprese italiane, in particolare, una sofferenza immensa: il calo della produzione industriale continua (-5,07%), i presti alle aziende passano da 894 miliardi a 875, un numero crescente di Pmi è impossibilitato ad onorare perfino il pagamento delle tredicesime, cresce il numero di atti disperati tra piccoli imprenditori ed artigiani iugulati da un Fisco sempre più vorace e invadente nonché da una burocrazia velenosa e kafkiano. La verità, è che l’unica ricetta per  il salvataggio dell’Italia non avrebbe dovuto essere quella Monti ma piuttosto quella Squinzi ossia la ricetta che Confindustria invoca ormai da tempo restando inascoltata e che, senza nostalgie per il passato, coniuga il pur necessario rigore con robuste politiche proattive per il manifatturiero e per stimolare i consumi.
«Questa fine anno - commenta infatti  Aureliano Curini, direttore dell’Ain, l’associazione industriali di Novara - è segnata dall’incertezza e da molte incognite sul futuro. Per quanto riguarda produzione, ordini e occupazione, infatti, la fiducia degli imprenditori novaresi è ancora in calo. Ma per fare in modo che il 2012 possa essere ricordato come l’anno di chiusura di un “lustrum horribile” serviranno scelte politiche coraggiose e forti, all’insegna di quel nuovo connubio tra rigore e crescita che è ormai ineludibile. Il futuro Governo, qualunque esso sia, dovrà occuparsi, oltre che di riduzione del carico fiscale, di semplificazione normativa e burocratica e di sostegno alla ricerca e all’innovazione, per contribuire a rendere più proficuo lo sforzo di tutte quelle aziende che combattono ogni giorno per mantenersi competitive».
Un’analisi che trova piena rispondenza anche nelle parole del direttore dell’Uib, Pier Francesco Corcione.
«Monti ha garantito il recupero della nostra credibilità internazionale e questo rappresenta un indiscutibile punto a suo favore - aggiunge  Corcione -. Detto questo, dobbiamo dire che l’esecutivo ha realizzato però una riforma del lavoro che non risponde alle attese di Confindustria nè appare utile a stimolare l’occupazione. Inutili, per non dire addirittura dannose, anche  le norme introdotte dai decreti Passera in materia di responsabilità  sugli appalti, mentre del tutto inadeguate appaiono poi quelle relative alla possibilità di scaricare le spese sostenute dalle aziende per R&S. Inaccettabile, infine, che l’intero fondamentale capitolo sulla spending review sia finito in una bolla di sapone, non liberando risorse per il sistema produttivo. Il nostro, come ha più volte ricordato il presidente Giorgio Squinzi, è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, con 4 mila piccole-medie imprese e 6 milioni di aziende “molecolari”: aver pensato solo ai conti pubblici e non aver varato una politica industriale su misura per questa specifica categoria di imprese, non ha contribuito a quel rilancio dell’economia di cui  il Paese ha urgente bisogno. Nessuna nostalgia per il passato, sia chiaro: ma occorre che il prossimo Governo si faccia finalmente  interprete autentico delle esigenze del sistema produttivo per permettere all’Italia di continuare ad essere un Paese industriale»,

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