Contratto tessili: il sindacato proclama lo “stato di agitazione”

Contratto tessili: il sindacato proclama lo “stato di agitazione”
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Dopo sei mesi di trattativa per il rinnovo del contratto dei tessili e ancora nulla di fatto, i sindacati di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil,  hanno deciso di proclamare lo “stato di agitazione” del settore con decorrenza dal 5 ottobre. La decisione è arrivata dopo l’incontro in sede Smi di lunedì scorso; un incontro che ha visto le parti restare su posizioni ancora lontane. Per il sistema italiano del tessile-abbigliamento-moda nel suo complesso, sono più di 500 mila lavoratrici e lavoratori che attendono il rinnovo del contratto nazionale: circa 12 mila nel solo distretto Biellese. «A fronte della indisponibilità, confermata nel corso dell’incontro con Smi del 4 ottobre a rivedere la posizione sul modello contrattuale, la delegazione trattante ritiene impercorribile una soluzione contrattuale che prevede una soluzione ex post del salario» scrivono i sindacati nella nota diffusa al termine dell’incontro di lunedì. Insomma, la situazione si complica in vista del nuovo incontro fissato in plenaria per il prossimo 20 ottobre: sino a quella data, lo stato di agitazione dichiarato da Filctem, Femca e Uiltec implica il blocco degli straordinari e della flessibilità per i lavoratori del settore. Le posizioni delle parti restano lontane. Da un lato (per limitarsi all’aspetto retributivo su cui sinora si è concentrata la trattativa), i sindacati che, nella piattaforma unitaria della primavera scorsa, chiedono un incremento salariale medio sui minimi tabellari di 100 euro con riferimento al 3°livello super nonché un incremento dell’elemento di perequazione dagli attuali 200 euro a 300 euro annui. Dall’altro Smi, rappresentativa delle parti datoriali, che sottolinea come già nel precedente triennio, con il contratto scaduto, siano stati concessi aumenti retributivi superiori all’inflazione verificatasi e che, pertanto, propone di valutare ora gli adeguamenti salariali solo ex post ossia con riferimento all’effettivo tasso di inflazione dell’anno.  «Le posizioni restano molto distanti - conferma, infatti, Gloria Missaggia, segretaria di Filctem Cgil Biella -. Peraltro, a rendere irricebibile per noi la proposta di Smi sta il fatto che la categoria ha già rinnovato il contratto nazionale per oltre 400 mila lavoratori dei comparti manifatturieri associati a Confindustria, alcuni dei quali appartenenti proprio al comparto Moda, con una previsione ex ante degli incrementi sui minimi salariali. Non si capisce perché in questo caso debba invece valere una determinazione ex post che, oltre a spostare più avanti  quantificazione e erogazione dell’incremento, rischia di renderla addirittura inefficace in un momento congiunturale come l’attuale.  Alla luce di ciò, è stato quindi proclamato lo “stato di agitazione”. Al termine dell’incontro fissato in plenaria per il prossimo 20 ottobre assumeremo, a seconda dell’esito, le eventuali iniziative  finalizzate allo sblocco della trattativa». A parlare di stallo nella trattativa è il vicedirettore e responsabile dell’Area Relazioni Industriali di Smi, Carlo Mascellani. «Non c’è stata rottura formale della trattativa - spiega Mascellani -, ma dobbiamo ammettere che si è verificata una situazione di stallo. Il nocciolo della questione continua a essere rappresentato proprio dalla particolarità del settore tessile nel suo complesso: è un settore che, al di là dei risultati delle singole aziende, continua a soffrire. La situazione delle sue realtà industriali è troppo variegata e disomogenea perché si possa credibilmente e responsabilmente pensare ad aumenti eguali per tutti fissati ex ante. Noi non abbiamo mai affermato l’indisponibilità a valutare incrementi salariali; abbiamo piuttosto detto che essi vanno legati all’andamento effettivo dell’inflazione, non a quello presunto che, secondo i vecchi schemi, ha fatto sì che le aziende del settore, nel 2015, finissero per essere costrette ad erogare un incremento retributivo medio di 65 euro assolutamente non corrispondente all’effettivo livello del costo della vita. Citare altri contratti conclusi in altri settori, come fa il sindacato, significa quindi non tener conto delle peculiarità del tessile. Il nostro confronto, invece, potrebbe essere occasione per esplorare un nuovo modello di relazioni, usando piuttosto la produttività come criterio per l’incremento salariale e ampliando la contrattazione di secondo livello che meglio consente di tener conto della eterogeneità delle realtà del settore».

Giovanni Orso

 

Dopo sei mesi di trattativa per il rinnovo del contratto dei tessili e ancora nulla di fatto, i sindacati di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil,  hanno deciso di proclamare lo “stato di agitazione” del settore con decorrenza dal 5 ottobre. La decisione è arrivata dopo l’incontro in sede Smi di lunedì scorso; un incontro che ha visto le parti restare su posizioni ancora lontane. Per il sistema italiano del tessile-abbigliamento-moda nel suo complesso, sono più di 500 mila lavoratrici e lavoratori che attendono il rinnovo del contratto nazionale: circa 12 mila nel solo distretto Biellese. «A fronte della indisponibilità, confermata nel corso dell’incontro con Smi del 4 ottobre a rivedere la posizione sul modello contrattuale, la delegazione trattante ritiene impercorribile una soluzione contrattuale che prevede una soluzione ex post del salario» scrivono i sindacati nella nota diffusa al termine dell’incontro di lunedì. Insomma, la situazione si complica in vista del nuovo incontro fissato in plenaria per il prossimo 20 ottobre: sino a quella data, lo stato di agitazione dichiarato da Filctem, Femca e Uiltec implica il blocco degli straordinari e della flessibilità per i lavoratori del settore. Le posizioni delle parti restano lontane. Da un lato (per limitarsi all’aspetto retributivo su cui sinora si è concentrata la trattativa), i sindacati che, nella piattaforma unitaria della primavera scorsa, chiedono un incremento salariale medio sui minimi tabellari di 100 euro con riferimento al 3°livello super nonché un incremento dell’elemento di perequazione dagli attuali 200 euro a 300 euro annui. Dall’altro Smi, rappresentativa delle parti datoriali, che sottolinea come già nel precedente triennio, con il contratto scaduto, siano stati concessi aumenti retributivi superiori all’inflazione verificatasi e che, pertanto, propone di valutare ora gli adeguamenti salariali solo ex post ossia con riferimento all’effettivo tasso di inflazione dell’anno.  «Le posizioni restano molto distanti - conferma, infatti, Gloria Missaggia, segretaria di Filctem Cgil Biella -. Peraltro, a rendere irricebibile per noi la proposta di Smi sta il fatto che la categoria ha già rinnovato il contratto nazionale per oltre 400 mila lavoratori dei comparti manifatturieri associati a Confindustria, alcuni dei quali appartenenti proprio al comparto Moda, con una previsione ex ante degli incrementi sui minimi salariali. Non si capisce perché in questo caso debba invece valere una determinazione ex post che, oltre a spostare più avanti  quantificazione e erogazione dell’incremento, rischia di renderla addirittura inefficace in un momento congiunturale come l’attuale.  Alla luce di ciò, è stato quindi proclamato lo “stato di agitazione”. Al termine dell’incontro fissato in plenaria per il prossimo 20 ottobre assumeremo, a seconda dell’esito, le eventuali iniziative  finalizzate allo sblocco della trattativa». A parlare di stallo nella trattativa è il vicedirettore e responsabile dell’Area Relazioni Industriali di Smi, Carlo Mascellani. «Non c’è stata rottura formale della trattativa - spiega Mascellani -, ma dobbiamo ammettere che si è verificata una situazione di stallo. Il nocciolo della questione continua a essere rappresentato proprio dalla particolarità del settore tessile nel suo complesso: è un settore che, al di là dei risultati delle singole aziende, continua a soffrire. La situazione delle sue realtà industriali è troppo variegata e disomogenea perché si possa credibilmente e responsabilmente pensare ad aumenti eguali per tutti fissati ex ante. Noi non abbiamo mai affermato l’indisponibilità a valutare incrementi salariali; abbiamo piuttosto detto che essi vanno legati all’andamento effettivo dell’inflazione, non a quello presunto che, secondo i vecchi schemi, ha fatto sì che le aziende del settore, nel 2015, finissero per essere costrette ad erogare un incremento retributivo medio di 65 euro assolutamente non corrispondente all’effettivo livello del costo della vita. Citare altri contratti conclusi in altri settori, come fa il sindacato, significa quindi non tener conto delle peculiarità del tessile. Il nostro confronto, invece, potrebbe essere occasione per esplorare un nuovo modello di relazioni, usando piuttosto la produttività come criterio per l’incremento salariale e ampliando la contrattazione di secondo livello che meglio consente di tener conto della eterogeneità delle realtà del settore».

Giovanni Orso

 

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