Camere di commercio, la fusione Bi-Vc non basterà

Camere di commercio, la fusione Bi-Vc non basterà
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La riorganizzazione delle Camere di Commercio, attivata dal decreto licenziato giovedì scorso dal Consiglio dei Ministri nell’ambito dell’attuazione della riforma sulla Pa, cambierà l’assetto camerale anche in Piemonte dopo l’unico accorpamento effettuato in regione, quello tra Biella e Vercelli. Per ragioni strettamente numeriche anche questa Camera (conta oltre 40mila imprese) non sarebbe sufficiente a restare sola, ma pure Novara - rimasta cefala - non potrà crogiolarsi nella sua autoreferenzialità con le sue 30.862 unità registrate al 30 giugno.  La riforma prevista dal governo non piace però ai sindacati. «Il decreto di riordino del sistema camerale prevede solo tagli lineari ai finanziamenti, ai servizi, al personale e alle sedi periferiche». Il commento di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl è un chiaro annuncio di mobilitazione a fronte di un migliaio di posti a rischio.  «Ancora una volta passsa il concetto dei tagli lineari alla spesa, noncuranti del fatto che così facendo non solo si privano le imprese di importanti servizi, ma si allontanano gli enti dal territorio che dovrebbero presidiare».  I sindacati aprono lo stato di agitazione del personale delle Camere di Commercio «con una forte mobilitazione che culminerà a settembre in una grande manifestazione nazionale per ribadire ancora una volta il fermo ‘no’ al decreto».

Il nuovo disegno delle Camere di Commercio, secondo il provvedimento assemblato al ministero dello Sviluppo Economico guidato da Carlo Calenda d’accordo con Tesoro e ministero della Pa, prevede che in sei mesi le Camere scendano del 43% da 105 a non più di 60 coi seguenti vincoli direttivi: «almeno 1 camera di commercio per Regione; accorpamento delle camere di commercio con meno di 75mila imprese iscritte». Per tagliare i costi si prevedono poi altri quattro passaggi: riduzione del diritto annuale a carico delle imprese del 50%; riduzione del 30% del numero dei consiglieri; gratuità per tutti gli incarichi degli organi diversi dai collegi dei revisori; razionalizzazione complessiva del sistema attraverso l’accorpamento di tutte le aziende speciali. Il Mise - che avrebbe affidato l’arduo compito a Unioncamere a guida di Ivan Lo Bello - è stato incaricato dal governo “di una valutazione stringente sulle performance delle Camere di Commercio da parte di un comitato indipendente di esperti». Lo stesso Lo Bello ha commentato gettando acqua sul fuoco: «La riorganizzazione degli uffici derivante dagli accorpamenti sarà gestita senza traumi». Anche perché agli enti verranno affidati - ha aggiunto  -  nuovi incarichi «in materia di orientamento, di alternanza scuola-lavoro, di supporto all’incontro fra domanda e offerta di lavoro».

Il tema delle fusioni e accorpamenti non è nuovo. Dopo l’unico caso, quello di Biella e Vercelli, oggi presiduta da Alessandro Ciccioni, c’è stata la presa di posizione di Maurizio Comoli, presidente di Novara, il quale ha perorato pubblicamente la causa di «un accorpamento che tenga insieme tutto il Piemonte Orientale, Alessandria compresa».

Roberto Azzoni

La riorganizzazione delle Camere di Commercio, attivata dal decreto licenziato giovedì scorso dal Consiglio dei Ministri nell’ambito dell’attuazione della riforma sulla Pa, cambierà l’assetto camerale anche in Piemonte dopo l’unico accorpamento effettuato in regione, quello tra Biella e Vercelli. Per ragioni strettamente numeriche anche questa Camera (conta oltre 40mila imprese) non sarebbe sufficiente a restare sola, ma pure Novara - rimasta cefala - non potrà crogiolarsi nella sua autoreferenzialità con le sue 30.862 unità registrate al 30 giugno.  La riforma prevista dal governo non piace però ai sindacati. «Il decreto di riordino del sistema camerale prevede solo tagli lineari ai finanziamenti, ai servizi, al personale e alle sedi periferiche». Il commento di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl è un chiaro annuncio di mobilitazione a fronte di un migliaio di posti a rischio.  «Ancora una volta passsa il concetto dei tagli lineari alla spesa, noncuranti del fatto che così facendo non solo si privano le imprese di importanti servizi, ma si allontanano gli enti dal territorio che dovrebbero presidiare».  I sindacati aprono lo stato di agitazione del personale delle Camere di Commercio «con una forte mobilitazione che culminerà a settembre in una grande manifestazione nazionale per ribadire ancora una volta il fermo ‘no’ al decreto».

Il nuovo disegno delle Camere di Commercio, secondo il provvedimento assemblato al ministero dello Sviluppo Economico guidato da Carlo Calenda d’accordo con Tesoro e ministero della Pa, prevede che in sei mesi le Camere scendano del 43% da 105 a non più di 60 coi seguenti vincoli direttivi: «almeno 1 camera di commercio per Regione; accorpamento delle camere di commercio con meno di 75mila imprese iscritte». Per tagliare i costi si prevedono poi altri quattro passaggi: riduzione del diritto annuale a carico delle imprese del 50%; riduzione del 30% del numero dei consiglieri; gratuità per tutti gli incarichi degli organi diversi dai collegi dei revisori; razionalizzazione complessiva del sistema attraverso l’accorpamento di tutte le aziende speciali. Il Mise - che avrebbe affidato l’arduo compito a Unioncamere a guida di Ivan Lo Bello - è stato incaricato dal governo “di una valutazione stringente sulle performance delle Camere di Commercio da parte di un comitato indipendente di esperti». Lo stesso Lo Bello ha commentato gettando acqua sul fuoco: «La riorganizzazione degli uffici derivante dagli accorpamenti sarà gestita senza traumi». Anche perché agli enti verranno affidati - ha aggiunto  -  nuovi incarichi «in materia di orientamento, di alternanza scuola-lavoro, di supporto all’incontro fra domanda e offerta di lavoro».

Il tema delle fusioni e accorpamenti non è nuovo. Dopo l’unico caso, quello di Biella e Vercelli, oggi presiduta da Alessandro Ciccioni, c’è stata la presa di posizione di Maurizio Comoli, presidente di Novara, il quale ha perorato pubblicamente la causa di «un accorpamento che tenga insieme tutto il Piemonte Orientale, Alessandria compresa».

Roberto Azzoni

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