Violentarono una ragazza, condannati

Violentarono una ragazza, condannati
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Accusati del reato di stupro di gruppo per aver violentato una ventenne dopo averla ubriacata, Emilio Zanella, 51 anni, di Cossato, e Ioan Pinteanu, 60 anni, di Brusnengo, origini rumene, sono stati condannati pochi giorni fa dai giudici della Corte d’appello di Torino a tre anni di reclusione ciascuno (tenuto conto dello sconto previsto per la scelta del rito).

Al termine del processo di primo grado, entrambi gli imputati erano stati invece assolti con una formula dubitativa, corrispondente alla passata “insufficienza di prove”. Il giudice di Biella (che in caso di processo con rito abbreviato deve giudicare sulla base degli atti), aveva ritenuto contraddittorio e lacunoso il compendio probatorio a carico degli imputati, costituito, in tema di violenza sessuale, unicamente dalle dichiarazioni della persona offesa che non era stata però risentita in aula. La presunta violenza sarebbe avvenuta nel mese di giugno del 2009.

Il ricorso. Contro la sentenza di primo grado, avevano pro- posto appello sia la parte civile (rappresentata dall’avvocato Ilaria Sala) sia il pubblico ministero. Di anni ne sono passati considerato che era il 13 luglio 2011. L’udienza è stata fissata dalla Corte d’appello al 20 dicembre scorso. Decisiva è risultata la testimonianza della presunta vittima della violenza, la quale, dopo tanti anni, non ha fatto un passo indietro rispetto a ciò che aveva raccontato in fase di denuncia. A chiedere che i giudici ascoltassero la versione della ragazza, è stato il Procuratore generale, che ha fatto propria una sentenza Corte di Cassazione che, seguendo i principi contenuti nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ha affermato che il Giudice d’Appello, in caso di impugnazione del Pubblico ministero, avverso una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, «non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità della persona penale dell’imputato, senza aver proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado».

La condanna. La giovane è stata sentita nel corso dell’udienza di mercoledì mattina. Alla fine, la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, ha ritenuto gli imputati colpevoli del reato di violenza sessuale di gruppo e li ha condannati a tre anni ciascuno oltre all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Gli imputati sono stati condannati a pagare una provvisionale di diecimila euro in favore della parte civile, oltre al maggior danno da liquidarsi in separato giudizio e al pagamento delle spese processuali.

I fatti. Le indagini erano stato svolte dall’ormai famosa “squadra antimostro” formata dai carabinieri che lavorano in Procura, coordinati dal maresciallo Tindaro Gullo. Secondo l’accusa, la ventenne si era recata a casa di uno dei due imputati, conosciuti in un ristorante. Era in compagnia di un amico che si era allontanato dopo aver avuto un diverbio con uno dei due imputati. Nella sua denuncia, la giovane spiega che quella sera aveva bevuto parecchio e in quel momento appariva stordita, senza forze e incapace di reagire. I due - sempre stando al racconto - avevano a quel punto approfittato di lei e delle sue condizioni psicofisiche non ottimali, per violentarla.

La difesa. «Non è vero - si sono sempre difesi gli imputati - lei era consenziente...». In primo grado, al termine della requisitoria, il pubblico ministero aveva chiesto per i due (difesi dall’avvocato Sandro Delmastro) una condanna a due anni e otto mesi.

Accusati del reato di stupro di gruppo per aver violentato una ventenne dopo averla ubriacata, Emilio Zanella, 51 anni, di Cossato, e Ioan Pinteanu, 60 anni, di Brusnengo, origini rumene, sono stati condannati pochi giorni fa dai giudici della Corte d’appello di Torino a tre anni di reclusione ciascuno (tenuto conto dello sconto previsto per la scelta del rito).

Al termine del processo di primo grado, entrambi gli imputati erano stati invece assolti con una formula dubitativa, corrispondente alla passata “insufficienza di prove”. Il giudice di Biella (che in caso di processo con rito abbreviato deve giudicare sulla base degli atti), aveva ritenuto contraddittorio e lacunoso il compendio probatorio a carico degli imputati, costituito, in tema di violenza sessuale, unicamente dalle dichiarazioni della persona offesa che non era stata però risentita in aula. La presunta violenza sarebbe avvenuta nel mese di giugno del 2009.

Il ricorso. Contro la sentenza di primo grado, avevano pro- posto appello sia la parte civile (rappresentata dall’avvocato Ilaria Sala) sia il pubblico ministero. Di anni ne sono passati considerato che era il 13 luglio 2011. L’udienza è stata fissata dalla Corte d’appello al 20 dicembre scorso. Decisiva è risultata la testimonianza della presunta vittima della violenza, la quale, dopo tanti anni, non ha fatto un passo indietro rispetto a ciò che aveva raccontato in fase di denuncia. A chiedere che i giudici ascoltassero la versione della ragazza, è stato il Procuratore generale, che ha fatto propria una sentenza Corte di Cassazione che, seguendo i principi contenuti nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ha affermato che il Giudice d’Appello, in caso di impugnazione del Pubblico ministero, avverso una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, «non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità della persona penale dell’imputato, senza aver proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado».

La condanna. La giovane è stata sentita nel corso dell’udienza di mercoledì mattina. Alla fine, la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, ha ritenuto gli imputati colpevoli del reato di violenza sessuale di gruppo e li ha condannati a tre anni ciascuno oltre all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Gli imputati sono stati condannati a pagare una provvisionale di diecimila euro in favore della parte civile, oltre al maggior danno da liquidarsi in separato giudizio e al pagamento delle spese processuali.

I fatti. Le indagini erano stato svolte dall’ormai famosa “squadra antimostro” formata dai carabinieri che lavorano in Procura, coordinati dal maresciallo Tindaro Gullo. Secondo l’accusa, la ventenne si era recata a casa di uno dei due imputati, conosciuti in un ristorante. Era in compagnia di un amico che si era allontanato dopo aver avuto un diverbio con uno dei due imputati. Nella sua denuncia, la giovane spiega che quella sera aveva bevuto parecchio e in quel momento appariva stordita, senza forze e incapace di reagire. I due - sempre stando al racconto - avevano a quel punto approfittato di lei e delle sue condizioni psicofisiche non ottimali, per violentarla.

La difesa. «Non è vero - si sono sempre difesi gli imputati - lei era consenziente...». In primo grado, al termine della requisitoria, il pubblico ministero aveva chiesto per i due (difesi dall’avvocato Sandro Delmastro) una condanna a due anni e otto mesi.

v.ca

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