Ventiseienne si uccide per i “bulli”
Aveva denunciato un anno fa i colleghi di lavoro alla Polizia postale di Biella, il giovane di Borgo D’Ale, 26 anni, Andrea Natali, trovato dalla madre impiccato alcuni giorni fa in una camera della sua abitazione. Potrebbe essere l’ennesima vittima del cyberbullismo: una tortura durata quattro lunghi anni. E ora i genitori chiedono giustizia, convinti che il ragazzo sia stato spinto al suicidio dai bulli che per mesi lo avrebbero perseguitato costringendolo a rinchiudersi in casa, colpito da una pesante depressione. La notizia, rimasta finora riservata, ha iniziato a circolare dopo che il padre, durante la messa dopo il funerale, ha chiesto pubblicamente che i personaggi che avrebbero perseguitato il figlio vengano assicurati alla giustizia. Sembra che il giovane, troppo sensibile per sopportare alcuni atteggiamenti, sia stato vittima di scherzi sul luogo di lavoro filmati e postati sui social network. «La polizia non ha avuto il coraggio di farmi vedere tutto il materiale raccolto - racconta al Corriere della Sera in lacrime, il padre della vittima - So solo che più volte mio figlio è stato gettato nel bidone dell’immondizia, fotografato e filmato. Ci sono anche cose più pesanti ma non mi sono state riferite e io non ho avuto il coraggio di guardarle sul computer». Andrea lavorava in una carrozzeria di Borgo d’Ale dal 2006. «Diceva sempre che non si era rivolto alle forze dell’ordine solo per fermare i suoi aguzzini - dicono i genitori a La Stampa stringendo tra le mani una sua fotografia - ma per evitare ad altri ciò che era accaduto a lui».
In merito alla prima denuncia - presentata nell’aprile 2014 - la polizia biellese aveva fatto scattare nell’immediato le indagini che si erano concluse quattro mesi dopo con la rimozione del materiale incriminato dal web e l’individuazione di un responsabile che era stato anche indagato. Ma il processo non è ancora iniziato. Era stato lo stesso giovane, dopo essersi confidato con la psicologa ed aver trovato il coraggio, a denunciare i bulli, lamentando la pubblicazione su social network di foto di scherzi a suo carico risalenti al periodo in cui lavorava in carrozzeria definite «sgradevoli e di cattivo gusto» dagli stessi inquirenti. Dopo il suicidio, la Procura di Vercelli ha avviato un’ulteriore indagine conoscitiva per far luce sulle cause che hanno spinto il giovane ai primi di settembre a suicidarsi.
V.Ca.
Aveva denunciato un anno fa i colleghi di lavoro alla Polizia postale di Biella, il giovane di Borgo D’Ale, 26 anni, Andrea Natali, trovato dalla madre impiccato alcuni giorni fa in una camera della sua abitazione. Potrebbe essere l’ennesima vittima del cyberbullismo: una tortura durata quattro lunghi anni. E ora i genitori chiedono giustizia, convinti che il ragazzo sia stato spinto al suicidio dai bulli che per mesi lo avrebbero perseguitato costringendolo a rinchiudersi in casa, colpito da una pesante depressione. La notizia, rimasta finora riservata, ha iniziato a circolare dopo che il padre, durante la messa dopo il funerale, ha chiesto pubblicamente che i personaggi che avrebbero perseguitato il figlio vengano assicurati alla giustizia. Sembra che il giovane, troppo sensibile per sopportare alcuni atteggiamenti, sia stato vittima di scherzi sul luogo di lavoro filmati e postati sui social network. «La polizia non ha avuto il coraggio di farmi vedere tutto il materiale raccolto - racconta al Corriere della Sera in lacrime, il padre della vittima - So solo che più volte mio figlio è stato gettato nel bidone dell’immondizia, fotografato e filmato. Ci sono anche cose più pesanti ma non mi sono state riferite e io non ho avuto il coraggio di guardarle sul computer». Andrea lavorava in una carrozzeria di Borgo d’Ale dal 2006. «Diceva sempre che non si era rivolto alle forze dell’ordine solo per fermare i suoi aguzzini - dicono i genitori a La Stampa stringendo tra le mani una sua fotografia - ma per evitare ad altri ciò che era accaduto a lui».
In merito alla prima denuncia - presentata nell’aprile 2014 - la polizia biellese aveva fatto scattare nell’immediato le indagini che si erano concluse quattro mesi dopo con la rimozione del materiale incriminato dal web e l’individuazione di un responsabile che era stato anche indagato. Ma il processo non è ancora iniziato. Era stato lo stesso giovane, dopo essersi confidato con la psicologa ed aver trovato il coraggio, a denunciare i bulli, lamentando la pubblicazione su social network di foto di scherzi a suo carico risalenti al periodo in cui lavorava in carrozzeria definite «sgradevoli e di cattivo gusto» dagli stessi inquirenti. Dopo il suicidio, la Procura di Vercelli ha avviato un’ulteriore indagine conoscitiva per far luce sulle cause che hanno spinto il giovane ai primi di settembre a suicidarsi.
V.Ca.