«Vengo dal Mali, ma voglio tornare a casa»

«Vengo dal Mali, ma voglio tornare a casa»
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PRAY - E’ una storia di insoddisfazioni che si incrociano quella che racconta la vicenda umana e sociale di una Pray diventata luogo d’accoglienza di migranti. Le retoriche buoniste e la voglia di far del bene qui non bastano a invertire la direzione ormai presa dalle cose. C’è qualcosa che non va. Che non funziona. E nessuno, a questo punto, lo nega più.

Lo avevano detto, i giovani migranti ospitati nella casa di via Curino, che qui non stanno bene. Non tutti, certo. Ma molti. Avevano confessato, avvicinati proprio da Eco, una certa insoddisfazione. Non solo questioni logistiche dovute al semplice fatto di essere finiti “fuori dal mondo”. Questo, tutto sommato, potrebbe anche essere il problema minore. A rappresentare il loro cruccio maggiore sarebbe, stando a quanto dicono, la mancata assegnazione della quota quotidiana che, per legge, sarebbe loro dovuta: 2,50 euro giornalieri che potrebbero consentire loro, considerato che vitto e alloggio sono garantiti, di togliersi qualche sfizio. Ma i soldi non arrivano. E questo, unito al crescente disagio dovuto al fatto di non potersi in alcun modo rendere utili, né di poter fare alcunché durante il giorno, ha finito per innescare la miccia della prima bomba. L’esplosione non è ancora avvenuta. Ma potrebbe essere questione di ore. Solo pochi giorni fa, i carabinieri di Coggiola hanno ritrovato uno dei ragazzi, un trentenne proveniente dal Mali, a Quaregna. Vagava senza nascondere la sua insoddisfazione, una sorta di tristezza ormai vicina alla disperazione. Avvicinato dai militari, il ragazzo ha fatto una richiesta che nessuno, tra gli 850 migranti ospitati nel Biellese sino ad oggi da marzo 2014, aveva mai fatto: «Voglio tornare a casa». Un altro compagno, successivamente, pare si sia poi unito alla richiesta. I carabinieri hanno immediatamente contattato l’associazione che gestisce i ragazzi, chiedendo di farsi carico del problema. Ma ad oggi, nessuna richiesta ufficiale è ancora giunta ai tavoli della Prefettura: «Siamo a conoscenza della vicenda ma non abbiamo ancora ricevuto domande specifiche in merito - spiega il viceprefetto Davide Garra -. In ogni caso, se la richiesta dovesse essere ufficializzata, ci muoveremo immediatamente per andare incontro alle esigenze della persona. Esiste un istituto specifico, il rimpatrio volontario assistito, ma non abbiamo mai avuto occasione di attuarlo: se sarà necessario, prenderemo contatti con il Ministero per capire come agire. Non sarà semplice: sono richiesti fondi specifici, per cui dovremo capire cosa fare».

In paese, intanto, la convivenza con il gruppo di 26 migranti si va facendo ogni giorno più complessa. Il sindaco Gian Matteo Passuello, senza nascondere la sua preoccupazione, sta pianificando un nuovo incontro con il gruppo, per chiarire ancora una volta i limiti che non devono essere superati in un contesto di rapporti civili: «Alcuni di loro - spiega - hanno iniziato a darsi all’accattonaggio, mentre si sono verificati anche casi di prepotenze nei bar, con i ragazzi che pretendevano di bere senza pagare. Certo, se il problema del pocket money fosse risolto avrebbero almeno qualche soldo da spendere e la tensione scenderebbe. Ma così la vicenda si sta facendo veramente delicata».

Veronica Balocco

PRAY - E’ una storia di insoddisfazioni che si incrociano quella che racconta la vicenda umana e sociale di una Pray diventata luogo d’accoglienza di migranti. Le retoriche buoniste e la voglia di far del bene qui non bastano a invertire la direzione ormai presa dalle cose. C’è qualcosa che non va. Che non funziona. E nessuno, a questo punto, lo nega più.

Lo avevano detto, i giovani migranti ospitati nella casa di via Curino, che qui non stanno bene. Non tutti, certo. Ma molti. Avevano confessato, avvicinati proprio da Eco, una certa insoddisfazione. Non solo questioni logistiche dovute al semplice fatto di essere finiti “fuori dal mondo”. Questo, tutto sommato, potrebbe anche essere il problema minore. A rappresentare il loro cruccio maggiore sarebbe, stando a quanto dicono, la mancata assegnazione della quota quotidiana che, per legge, sarebbe loro dovuta: 2,50 euro giornalieri che potrebbero consentire loro, considerato che vitto e alloggio sono garantiti, di togliersi qualche sfizio. Ma i soldi non arrivano. E questo, unito al crescente disagio dovuto al fatto di non potersi in alcun modo rendere utili, né di poter fare alcunché durante il giorno, ha finito per innescare la miccia della prima bomba. L’esplosione non è ancora avvenuta. Ma potrebbe essere questione di ore. Solo pochi giorni fa, i carabinieri di Coggiola hanno ritrovato uno dei ragazzi, un trentenne proveniente dal Mali, a Quaregna. Vagava senza nascondere la sua insoddisfazione, una sorta di tristezza ormai vicina alla disperazione. Avvicinato dai militari, il ragazzo ha fatto una richiesta che nessuno, tra gli 850 migranti ospitati nel Biellese sino ad oggi da marzo 2014, aveva mai fatto: «Voglio tornare a casa». Un altro compagno, successivamente, pare si sia poi unito alla richiesta. I carabinieri hanno immediatamente contattato l’associazione che gestisce i ragazzi, chiedendo di farsi carico del problema. Ma ad oggi, nessuna richiesta ufficiale è ancora giunta ai tavoli della Prefettura: «Siamo a conoscenza della vicenda ma non abbiamo ancora ricevuto domande specifiche in merito - spiega il viceprefetto Davide Garra -. In ogni caso, se la richiesta dovesse essere ufficializzata, ci muoveremo immediatamente per andare incontro alle esigenze della persona. Esiste un istituto specifico, il rimpatrio volontario assistito, ma non abbiamo mai avuto occasione di attuarlo: se sarà necessario, prenderemo contatti con il Ministero per capire come agire. Non sarà semplice: sono richiesti fondi specifici, per cui dovremo capire cosa fare».

In paese, intanto, la convivenza con il gruppo di 26 migranti si va facendo ogni giorno più complessa. Il sindaco Gian Matteo Passuello, senza nascondere la sua preoccupazione, sta pianificando un nuovo incontro con il gruppo, per chiarire ancora una volta i limiti che non devono essere superati in un contesto di rapporti civili: «Alcuni di loro - spiega - hanno iniziato a darsi all’accattonaggio, mentre si sono verificati anche casi di prepotenze nei bar, con i ragazzi che pretendevano di bere senza pagare. Certo, se il problema del pocket money fosse risolto avrebbero almeno qualche soldo da spendere e la tensione scenderebbe. Ma così la vicenda si sta facendo veramente delicata».

Veronica Balocco

 

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