No al permesso in mare a pagamento
Ogni tanto qualche parlamentare ci riprova: infila il solito emendamento in mezzo a qualche pacchetto di leggi da approvare e rischia di far diventare reali dei veri incubi per i pescatori come quello di un ragazzino che, felice, lancia la lenza da un molo o da una spiaggia e rischia di vedersi appioppare un’ammenda fino a 204 euro. Il tentativo era contenuto di recente nel collegato Agricoltura alla Manovra economica per il 2014 attraverso il quale si chiedeva l’istituzione di una licenza di pesca in mare a pagamento. Con i soldi racimolati si intendeva finanziare prevalentemente la pesca professionale. Una cosa veramente demenziale: in un mare dove i pescatori sportivo-ricreativi e gli stessi pescatori professionali pescano sempre meno per un eccessivo sfruttamento delle risorse, a causa degli scarsissimi controlli, dell’inquinamento, dell’esercito di bracconieri all’opera che fanno ciò che vogliono e per colpa di leggi che consentono ai pescatori professionali di mettere le loro reti in ogni dove, provocando inutili stragi di piccoli pesci, si cercano di finanziare “azioni di sviluppo della concorrenza e della competitività delle cooperative e imprese di pesca nazionali”. Con quali soldi? Con quelli di tutti gli altri pescatori non professionali, da coloro che passano ore su una spiaggia praticando il surf casting, dagli spinnofili, dai pensionati o dai ragazzini sui moli, fino ai pescatori in kayak e agli amanti del bolentino con lenza a mano: in tutto, più di un milione di appassionati (contro 19mila addetti alla pesca professionale) che avrebbero dovuto finanziare l’intero Piano Nazionale Triennale della Pesca, comprese ricerche, convegni e sostentamento dei pescatori professionali. Roba da ridere a crepapelle se non ci fosse da restare basiti e con le antenne dritte. Non c’è stata associazione di pescatori che non abbia preso posizione (a partire dalla Fipsas, Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquea) e che non sia attualmente pronta a scendere sul terreno di guerra se qualche altro parlamentare (stavolta il primo firmatario dell’emendamento era il senatore Giuseppe Ruvolo da Agrigento - ex Pdl ora nel Gal), dovesse riproporre il permesso di pesca in mare a pagamento (ora è obbligatorio averlo, ma è gratuito). Forse i pescatori avrebbero potuto accettare a denti stretti l’idea di una “tassa di scopo” che destinasse i fondo raccolti allo sviluppo della pesca sportiva sostenibile e del turismo ricreativo ad essa collegato, ma di finanziare strutture che di sportivo nulla hanno a che fare, proprio non lo si può digerire.
Valter Caneparo
Ogni tanto qualche parlamentare ci riprova: infila il solito emendamento in mezzo a qualche pacchetto di leggi da approvare e rischia di far diventare reali dei veri incubi per i pescatori come quello di un ragazzino che, felice, lancia la lenza da un molo o da una spiaggia e rischia di vedersi appioppare un’ammenda fino a 204 euro. Il tentativo era contenuto di recente nel collegato Agricoltura alla Manovra economica per il 2014 attraverso il quale si chiedeva l’istituzione di una licenza di pesca in mare a pagamento. Con i soldi racimolati si intendeva finanziare prevalentemente la pesca professionale. Una cosa veramente demenziale: in un mare dove i pescatori sportivo-ricreativi e gli stessi pescatori professionali pescano sempre meno per un eccessivo sfruttamento delle risorse, a causa degli scarsissimi controlli, dell’inquinamento, dell’esercito di bracconieri all’opera che fanno ciò che vogliono e per colpa di leggi che consentono ai pescatori professionali di mettere le loro reti in ogni dove, provocando inutili stragi di piccoli pesci, si cercano di finanziare “azioni di sviluppo della concorrenza e della competitività delle cooperative e imprese di pesca nazionali”. Con quali soldi? Con quelli di tutti gli altri pescatori non professionali, da coloro che passano ore su una spiaggia praticando il surf casting, dagli spinnofili, dai pensionati o dai ragazzini sui moli, fino ai pescatori in kayak e agli amanti del bolentino con lenza a mano: in tutto, più di un milione di appassionati (contro 19mila addetti alla pesca professionale) che avrebbero dovuto finanziare l’intero Piano Nazionale Triennale della Pesca, comprese ricerche, convegni e sostentamento dei pescatori professionali. Roba da ridere a crepapelle se non ci fosse da restare basiti e con le antenne dritte. Non c’è stata associazione di pescatori che non abbia preso posizione (a partire dalla Fipsas, Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquea) e che non sia attualmente pronta a scendere sul terreno di guerra se qualche altro parlamentare (stavolta il primo firmatario dell’emendamento era il senatore Giuseppe Ruvolo da Agrigento - ex Pdl ora nel Gal), dovesse riproporre il permesso di pesca in mare a pagamento (ora è obbligatorio averlo, ma è gratuito). Forse i pescatori avrebbero potuto accettare a denti stretti l’idea di una “tassa di scopo” che destinasse i fondo raccolti allo sviluppo della pesca sportiva sostenibile e del turismo ricreativo ad essa collegato, ma di finanziare strutture che di sportivo nulla hanno a che fare, proprio non lo si può digerire.
Valter Caneparo