LA LETTERA DI UN DETENUTO

Nelle celle del carcere di Biella si produce grappa in cambio di droga e tabacco

Nelle celle del carcere di Biella si produce grappa in cambio di droga e tabacco

Un detenuto con una lettera scritta a giugno del 2025 ma giunta in redazione a “Eco” solamente lo scorso 2 settembre, contesta gli stili di vita all’interno del carcere di Biella. E denuncia comportamenti pericolosi all’interno delle celle. Tutti fatti che trovano riscontro nelle denunce effettuate negli ultimi anni dagli agenti di polizia penitenziaria, alle prese con organici ridotti all’osso e problemi di sovraffollamento che limitano i controlli.

LA LETTERA INTEGRALE

IL FUMO. In carcere ci sono tante “cose strane”, persino assurde. Appena si entra c’è scritto su ogni muro “vietato fumare” ma qui fumano tutti, detenuti e personale. È possibile acquistare tabacco, cartine, accendini e pacchetti di sigarette ma nessun tipo di alcol né collutori o deodoranti che lo contengano; di contro con sistemi altamente ingegnosi e neppure troppo “oscuri” si può produrre una grappa casalinga che viene usata come merce di scambio per procurarsi tabacco, hashish e altre droghe. Tutto ciò accade abbastanza liberamente, le perquisizioni sono a campione, ma non per tutti, poiché alcuni detenuti “intoccabili” vengono avvisati in anticipo dal personale interno. In sintesi: senza tabacco non ci sarebbe merce di scambio, si rispetterebbe la legge e si rispetterebbero le persone che non fumano.

IL TEMPO. In carcere ci sono orari per ogni cosa (ma difficilmente puoi avere un orologio) per telefonare, per lavarsi, per l’aria, la socialità, i colloqui, la chiusura delle celle e l’attività sportiva. Tutto ha regole precise, domande da fare e risposte da attendere, basta però pochissimo per sovvertire l’ordine: si viene provocati spesso, gli orari non vengono rispettati in primo luogo dal personale che arbitrariamente cambia modi, regole, giri di visita, apertura e chiusura di docce e celle. In un ambiente così compresso e privo di stimoli, cambiare all’improvviso una routine consolidata è come far esplodere una bomba: così dal semplice malumore tutto può rapidamente degenerare.

IL LAVORO. Chi ha la fortuna di avere una occupazione diventa “lavorante”, sono in pochi e per poco tempo, ma hanno il privilegio di poter uscire spesso dalle celle. Questo privilegio diventa una costante occasione per deridere, fomentare e sbeffeggiare chi invece è tutto il giorno chiuso (tranne che negli orari prestabiliti). Chi porta il cibo, pulisce i corridoi oppure svuota i bidoni dovrebbe, una volta terminate le proprie mansioni, tornare in cella senza girovagare tutto il giorno in attesa di potersi scontrare con qualcuno. La detenzione dovrebbe essere anche rieducazione, non vivere con il timore di essere provocati, non rispettati e magari poi ulteriormente puniti a causa di reazioni del tutto umane.

LE CELLE. In estate sono ancora più soffocanti viste le dimensioni ridotte, la finestra si apre in modo da sbattere contro le brande e quindi blocca ulteriormente l’aria. È possibile acquistare un ventilatore ma non ci sono prese a cui collegarlo. Questi ipotetici collegamenti sono in programma, ma nessuno sa quando né da che piano partiranno, bisogna attendere i permessi, i disegni, i progetti; bisogna fare tutto in sicurezza… intanto si va arrosto… aspettando il Natale! Le celle sono sporche e senza arredi basilari, se hai buona volontà e vuoi pulire o sanificare devi comprare tutto e spesso non puoi fare neppure quello.

GLI AFFETTI. In questo luogo quello che pesa di più è la lontananza dai propri cari: hai bisogno di sentirli, di rimanere collegato al mondo esterno, devi essere sostenuto e sostenere i tuoi cari. Tranne che per i figli minorenni, si ha diritto a una sola telefonata alla settimana verso un familiare adulto e dover scegliere tra un padre, un fratello, una sorella o una moglie è frustrante. È vero, siamo detenuti ma siamo esseri umani e meritiamo di essere trattati come tali; qui si hanno molti doveri ma non per questo decadono i diritti!

I TEMPI DELLA GIUSTIZIA. In media un processo, in tutti i suoi gradi di giudizio, può durare dai cinque agli otto anni durante i quali, a prescindere dall’esito, rimane con la vita “sospesa”, un’esistenza a metà nell’attesa di… È possibile che nel mentre tu sia cambiato, ravveduto, che tu abbia imparato, capito, incontrato le persone giuste nel momento giusto. All’improvviso la condanna, la pena da scontare e la detenzione, una vita che implode e tutto va a rotoli. Perdi il lavoro, la famiglia, i punti fermi, perdi tempo prezioso. Quindi hai scontato tutti gli anni fuori in attesa di giudizio, poi come minimo sei mesi in attesa di valutazioni degli organi preposti a vigilare sul detenuto e poi si vedrà… magari hai una condanna a due anni e ne passano dieci! Quando si smette di pagare?

Casa Circondariale di Biella – Giugno 2025
Un detenuto demoralizzato ma non sconfitto