Ndrangheta: «17 anni al boss Raso» Chiesti 112 anni per 15 dei 23 imputati.
TORINO - Si conosceranno il 28 giugno le decisioni del giudice del processo “Alto Piemonte” in corso al Tribunale di Torino sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta nel Biellese, Vercellese e Novarese (con a capo - a detta degli investigatori - alcuni componenti della famiglia Raso di Cavaglià), nonché nel Torinese. Un filone dell’inchiesta, riguarda infatti il tentativo della criminalità organizzata calabrese di “infilarsi” nella curva bianconera, tramite il bagarinaggio dei biglietti delle partite della Juventus.I piemme torinesi, Paolo Toso e Monica Abbatecola, hanno chiesto nel complesso centododici anni di carcere in totale per 15 dei 23 imputati nel processo. La pena più alta, 17 anni, un mese e 16 giorni di carcere, è stata chiesta per Diego Raso, residente nel Biellese, esponente di quella che gli investigatori della polizia (hanno indagato anche gli operatori della Squadra mobile di Biella) avevano denominato “locale di Santhià”, che controllava gli appalti del movimento terra nel Nord del Piemonte, tra Biella e Vercelli.Tra gli imputati compaiono Saverio Dominello e suo figlio Rocco, capo ultrà della Juve, accusati di associazione mafiosa e tentato omicidio, per i quali la Procura ha chiesto rispettivamente 12 e 8 anni di reclusione. Alla sbarra, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, anche il tifoso bianconero Fabio Germani: per lui la pena richiesta è stata di 5 anni di carcere. Imputato anche il capostipite della famiglia Raso, Antonio (difeso dall’avvocato ex biellese, Ugo Fogliano), che si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda, per il quale la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio.«La ‘Ndrangheta controllava il bagarinaggio, ogni gruppo ultrà aveva una famiglia della ‘Ndrangheta e otteneva una parte dei profitti», hanno spiegato i Pubblici ministeri che durante la loro requisitoria hanno ricostruito la dinamica con cui la criminalità organizzata calabrese si sarebbe inserita negli affari della curva e dei gruppi ultrà, tra cui il principale, quello dei “Drughi”, guidato da Dino Mocciola, di cui facevano parte sia Rocco che Raffaello Ciccio Bucci, diventato collaboratore della società bianconera e morto suicida il 7 luglio, proprio dopo essere stato interrogato nell’ambito dell’inchiesta. «Rocco Dominello aveva tutti i tagliandi che voleva», hanno concluso i piemme.V.Ca.
TORINO - Si conosceranno il 28 giugno le decisioni del giudice del processo “Alto Piemonte” in corso al Tribunale di Torino sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta nel Biellese, Vercellese e Novarese (con a capo - a detta degli investigatori - alcuni componenti della famiglia Raso di Cavaglià), nonché nel Torinese. Un filone dell’inchiesta, riguarda infatti il tentativo della criminalità organizzata calabrese di “infilarsi” nella curva bianconera, tramite il bagarinaggio dei biglietti delle partite della Juventus.I piemme torinesi, Paolo Toso e Monica Abbatecola, hanno chiesto nel complesso centododici anni di carcere in totale per 15 dei 23 imputati nel processo. La pena più alta, 17 anni, un mese e 16 giorni di carcere, è stata chiesta per Diego Raso, residente nel Biellese, esponente di quella che gli investigatori della polizia (hanno indagato anche gli operatori della Squadra mobile di Biella) avevano denominato “locale di Santhià”, che controllava gli appalti del movimento terra nel Nord del Piemonte, tra Biella e Vercelli.Tra gli imputati compaiono Saverio Dominello e suo figlio Rocco, capo ultrà della Juve, accusati di associazione mafiosa e tentato omicidio, per i quali la Procura ha chiesto rispettivamente 12 e 8 anni di reclusione. Alla sbarra, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, anche il tifoso bianconero Fabio Germani: per lui la pena richiesta è stata di 5 anni di carcere. Imputato anche il capostipite della famiglia Raso, Antonio (difeso dall’avvocato ex biellese, Ugo Fogliano), che si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda, per il quale la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio.«La ‘Ndrangheta controllava il bagarinaggio, ogni gruppo ultrà aveva una famiglia della ‘Ndrangheta e otteneva una parte dei profitti», hanno spiegato i Pubblici ministeri che durante la loro requisitoria hanno ricostruito la dinamica con cui la criminalità organizzata calabrese si sarebbe inserita negli affari della curva e dei gruppi ultrà, tra cui il principale, quello dei “Drughi”, guidato da Dino Mocciola, di cui facevano parte sia Rocco che Raffaello Ciccio Bucci, diventato collaboratore della società bianconera e morto suicida il 7 luglio, proprio dopo essere stato interrogato nell’ambito dell’inchiesta. «Rocco Dominello aveva tutti i tagliandi che voleva», hanno concluso i piemme.V.Ca.