«Mi ha sempre detto di essere innocente»

«Mi ha sempre detto di essere innocente»
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BIELLA - “Assolto per non aver commesso il fatto”, con queste parole la Corte d’Appello di Perugia ha scagionato Hashi Omar Hassan arrestato, nel gennaio del 1998, con l’accusa di aver ucciso, il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin.

La fine di un incubo, per il cittadino somalo, durato 17 anni di carcere. Inchiodato dalla testimonianza di Ahmed Ali Rage (detto Jelle), Hassan si è sempre dichiarato innocente ed è sempre stato “appoggiato” anche dalla famiglia di Ilaria Alpi che l’ha sempre definito come un “perfetto capro espiatorio”. Un anno fa la svolta: al programma Chi l’ha visto? Jelle ritratta la sua testimonianza: “L’uomo in carcere accusato di aver ucciso Ilaria Alpi è innocente. Io non ho visto chi ha sparato. Non ero là”. Il processo viene riaperto e si chiude con l’assoluzione dell’imputato.

«Ho sempre pensato fosse innocente» racconta Teresina Boschetto, ex insegnante elementare, che una decina di anni fa conobbe Hassan nel suo periodo di detenzione nel carcere di Biella. «Fin da subito mi stupì come i suoi compagni di scuola, detenuti “molto difficili”, lo difendessero dicendomi che era dentro ingiustamente: lo trattavano come se fosse un loro figlio adottivo». Quando Hassan raccontò la sua storia a Teresina, crebbero i dubbi sulla sua colpevolezza. «Mi spiegò che era legato all’omicidio Alpi assicurandomi che quel giorno lì lui non era nella città in cui avvenne l’omicidio». Quando a tavola con i suoi famigliari, in confidenza, la ex insegnante raccontava del cittadino somalo, le frasi che accompagnavano i racconti erano sempre le stesse “se è dentro un motivo ci sarà”, “ti fai ingannare dalle impressioni”. «I dubbi ovviamente li avevo anche io, perché a prescindere da tutto quello che potevo vedere di lui, rimaneva il fatto che fosse in carcere».

Tre giorni fa, quando è arrivata la sentenza che scagionava Hashi, quelle impressioni sono state definitivamente confermate. «Sono stata molto felice e la tenerezza che provavo in quegli anni quando gli facevo scuola si è subito trasformata in ammirazione per come ha vissuto questa ingiustizia: rare lamentele sul fatto che fosse lì anche se innocente e uno spirito sempre gioioso».

Teresina lo ricorda come un uomo grande e grosso sempre pronto a scherzare e ridere. «Io gli insegnavo matematica e storia, due materie che a lui non interessavano minimamente. Ogni volta che arrivava con i compiti fatti, io gli dicevo che non era stato lui a farli e lui, ridendo, insisteva battendosi la mano sul petto “li ho fatti io, li ho fatti io”: a ogni lezione rendeva l’atmosfera più leggera». Teresina è convinta che quello che ha salvato Hashi «è stata la profonda convinzione, mai persa, che i genitori di Ilaria sarebbero riusciti a tirarlo fuori» ed è fiduciosa sul futuro del cittadino somalo: «Rientrare nella società di oggi è difficile, ma il ragazzo che ho conosciuto io può farcela».

Luca Rondi

BIELLA - “Assolto per non aver commesso il fatto”, con queste parole la Corte d’Appello di Perugia ha scagionato Hashi Omar Hassan arrestato, nel gennaio del 1998, con l’accusa di aver ucciso, il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin.

La fine di un incubo, per il cittadino somalo, durato 17 anni di carcere. Inchiodato dalla testimonianza di Ahmed Ali Rage (detto Jelle), Hassan si è sempre dichiarato innocente ed è sempre stato “appoggiato” anche dalla famiglia di Ilaria Alpi che l’ha sempre definito come un “perfetto capro espiatorio”. Un anno fa la svolta: al programma Chi l’ha visto? Jelle ritratta la sua testimonianza: “L’uomo in carcere accusato di aver ucciso Ilaria Alpi è innocente. Io non ho visto chi ha sparato. Non ero là”. Il processo viene riaperto e si chiude con l’assoluzione dell’imputato.

«Ho sempre pensato fosse innocente» racconta Teresina Boschetto, ex insegnante elementare, che una decina di anni fa conobbe Hassan nel suo periodo di detenzione nel carcere di Biella. «Fin da subito mi stupì come i suoi compagni di scuola, detenuti “molto difficili”, lo difendessero dicendomi che era dentro ingiustamente: lo trattavano come se fosse un loro figlio adottivo». Quando Hassan raccontò la sua storia a Teresina, crebbero i dubbi sulla sua colpevolezza. «Mi spiegò che era legato all’omicidio Alpi assicurandomi che quel giorno lì lui non era nella città in cui avvenne l’omicidio». Quando a tavola con i suoi famigliari, in confidenza, la ex insegnante raccontava del cittadino somalo, le frasi che accompagnavano i racconti erano sempre le stesse “se è dentro un motivo ci sarà”, “ti fai ingannare dalle impressioni”. «I dubbi ovviamente li avevo anche io, perché a prescindere da tutto quello che potevo vedere di lui, rimaneva il fatto che fosse in carcere».

Tre giorni fa, quando è arrivata la sentenza che scagionava Hashi, quelle impressioni sono state definitivamente confermate. «Sono stata molto felice e la tenerezza che provavo in quegli anni quando gli facevo scuola si è subito trasformata in ammirazione per come ha vissuto questa ingiustizia: rare lamentele sul fatto che fosse lì anche se innocente e uno spirito sempre gioioso».

Teresina lo ricorda come un uomo grande e grosso sempre pronto a scherzare e ridere. «Io gli insegnavo matematica e storia, due materie che a lui non interessavano minimamente. Ogni volta che arrivava con i compiti fatti, io gli dicevo che non era stato lui a farli e lui, ridendo, insisteva battendosi la mano sul petto “li ho fatti io, li ho fatti io”: a ogni lezione rendeva l’atmosfera più leggera». Teresina è convinta che quello che ha salvato Hashi «è stata la profonda convinzione, mai persa, che i genitori di Ilaria sarebbero riusciti a tirarlo fuori» ed è fiduciosa sul futuro del cittadino somalo: «Rientrare nella società di oggi è difficile, ma il ragazzo che ho conosciuto io può farcela».

Luca Rondi

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