L'accusa: "Detenuto non venne curato". Ma il giudice assolve i quattro medici imputati
La parte offesa aveva un tumore e soffriva molto. La denuncia presentata da un altro recluso.
Tre sono stati assolti con la formula “perché il fatto non sussiste”. Nei confronti del quarto è stato disposto il non doversi procedere. Sono i quattro medici (tre dell'Asl di Biella, uno di Novara) imputati di omicidio colposo per il decesso di un detenuto Ioan Gal, che oggi avrebbe 56 anni, morto nell'agosto 2016 nell'hospice “Orsa Maggiore” di Biella, in cui era stato ricoverato non appena uscito dal carcere di viale dei Tigli, dove aveva scontato meno di due anni di pena per furto. In quel lasso di tempo l'uomo, originario di Timisoara, in Romania, era stato colpito da un tumore, la sindrome di Ciuffini Pancoast, che l'avrebbe consumato in pochi mesi, facendogli perdere oltre venti chili di peso e facendogli passare giorni di atroce dolore. Per quel tumore, secondo la Procura, il detenuto non sarebbe stato adeguatamente curato in carcere, ritardando così l’accesso a cure più efficaci. Per conoscere le motivazioni della sentenza si dovranno attendere novanta giorni.
Tutto da un altro detenuto
A sollevare il caso era stato un altro detenuto, compagno di cella e amico di Gal. Dopo la sua morte, l’uomo aveva consegnato ai Carabinieri della sezione di polizia giudiziaria coordinati dal luogotenente Tindaro Gullo, una lettera dell'uomo, in cui spiegava le condizioni in cui versava nel periodo in cui era detenuto.
Erano così iniziate le indagini, coordinate in seguito direttamente dal procuratore capo, Teresa Angela Camelio. Tra gli altri sono stati interrogati i compagni di cella della vittima. Erano state inoltre sequestrate le cartelle mediche relative al paziente e il diario clinico dell'infermeria della casa circondariale. Erano stati così ricostruiti in una manciata di giorni i mesi d’inferno vissuti da Gal.
L'aiuto dei compagni
Alla fine sarebbe emerso un quadro drammatico con Gal che per mesi non sarebbe neppure riuscito ad alzarsi dalla branda. Erano gli altri detenuti a doversi occupare di lui, lavandogli i vestiti, cercando di farlo mangiare e accompagnandolo in sedia a rotelle alle visite. Quando - stando sempre alla lettera e al racconto dei testimoni - nelle docce il detenuto aveva avuto una copiosa perdita di sangue dal retto, l’amico avrebbe chiesto ai medici dell'infermeria che gli venissero fatte tutte le analisi necessarie. Gli avrebbero però risposto di farsi gli affari propri. Il giorno della scarcerazione, gli stessi agenti di Polizia penitenziaria avevano chiesto l’intervento di un’ambulanza che lo aveva portato in ospedale. Era stata così confermata la presenza del tumore e delle relative metastasi.